23/01/2005 - 3ª del Tempo Ordinario * Anno A

(Preghiera per l'unità dei cristiani)
Prima lettura Isaia 8,23 - 9,2 dal Salmo 26
Seconda lettura 1Corinzi 1,10-13.17 Vangelo Matteo 4,12-23

Il sacerdote, con parole sue, invita a fare un breve esame di coscienza e a chiedere perdono al Signore e ai fratelli. Il perdono non lo chiediamo solo per grandi peccati, ma anche per le quotidiane infedeltà ai compiti della nostra missione, per le disobbedienze alle ispirazioni che lo Spirito Santo ci fa sentire nell'intimo, per le impazienze con i fratelli, per le ingratitudini, per le superficialità e le perdite di tempo in occupazioni o chiacchiere inutili, per le parole senza sugo con cui facciamo perder tempo agli altri. Abbiamo necessità di perdono e necessità di chiederlo esplicitamente e comunitariamente. Lo facciamo con umiltà, disposti anche a perdonare a chi celebra con noi qui o altrove il Mistero eucaristico. I peccati più gravi ci riserviamo di metterli alla luce nella celebrazione del sacramento apposito, mentre per quelli quotidiani, e che noi riteniamo piccoli (ma quando sono molti possono diventare grande ostacolo alla fede e alla carità!), ecco che ora il sacerdote dice a tutti la parola del perdono di Dio: "…perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna". Per il Signore darci il perdono è troppo poco, egli vuole portarci avanti, farci fare dei passi sul cammino di una vita più perfetta, più piena, più ricca di amore e di pace, verso la vita eterna!
In ogni nostra celebrazione avviene quello che l'evangelista Matteo dice quando inizia a raccontare l'apparire in pubblico di Gesù: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce". Dalla tenebra, in cui ogni nostro peccato ci chiude, alziamo lo sguardo, perché la parola del perdono ci apre orizzonti nuovi!
L'evangelista prende queste parole dal profeta Isaia, parole che abbiamo sentito nella prima lettura, la quale ci assicura pure che le umiliazioni provenienti dal Signore saranno ricompensate con una gioia immensa: i villaggi della Galilea hanno subito grandi sofferenze, ma proprio essi saranno testimoni della luce nuova che viene dal Messia, dal salvatore di tutti gli uomini! Le parole del profeta ci danno consolazione proprio nel mentre siamo anche noi sofferenti, mentre portiamo la nostra croce per l'obbedienza a Dio nel nostro dovere quotidiano e nella fedeltà alla missione ricevuta sia nella famiglia che nella Chiesa.
Oggi Gesù, dato che è presente nel mondo, invitandoci alla conversione, ci fa capire che la sua presenza non ci lascia dove siamo. Incontrare Gesù vuol dire lasciarsi interpellare da lui, e lui chiama su strade nuove, a compiti nuovi, ad essere segno e dono anche per altri. La chiamata di Simone e di Andrea è una chiamata particolare, come quella di Giacomo e di suo fratello Giovanni. Non tutti ricevono una chiamata così importante per la Chiesa. La loro chiamata però è anche un segno, un emblema di come avviene l'incontro di ogni persona con il Signore, che non si limita a salutare, ma invita a donarsi. Questo è bello: Gesù sa che la pienezza di vita viene raggiunta nel fare di essa un dono, essendo questa la caratteristica della "vita" di Dio! Fare della propria vita un dono, manifestando in tal modo la nostra somiglianza a Dio Padre, comporta lasciare il nostro abituale pensare a noi stessi, ai nostri desideri, alle necessità che riteniamo essenziali! Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni lasciano lavoro, barca e reti, e lasciano pure il padre, che rappresenta il loro passato, le abitudini, le tradizioni, l'attaccamento agli affetti e sicurezze umane. In questo modo il loro seguire Gesù diventa pieno e fonte di vita nuova.
Lasciare il nostro passato con le sue costruzioni e condizionamenti è necessario, altrimenti lo stare con Gesù non porta nessuna novità, diventa illusione e, in seguito, delusione. Chi impara a lasciare qualcosa per amore di Gesù riuscirà a fare quei passi che oggi San Paolo sollecita. Le divisioni nelle comunità cristiane esistono perché qualcuno aderisce al Signore senza aver rinunciato a qualcosa del proprio passato, senza aver rinunciato a se stesso e a voler essere importante e considerato dagli uomini.
La vita della Chiesa diventa scandalo per chi arriva alla fede, se i cristiani non mettono Gesù al di sopra di tutto, a costo di dire di no a se stessi, a ciò che piace, a ciò cui ci si sente portati maggiormente. La croce, con la sua parte di sofferenza, non può mancare nella vita del vero credente! Essa è il clima normale di ogni conversione autentica, quasi segno di autenticità di ogni seguace di Cristo Gesù!
Teniamo nel cuore, in questo giorno, il desiderio di muovere dei passi concreti nel seguire il Signore, che posa il suo sguardo anche su ciascuno di noi! In tal modo rendiamo concreta la nostra preghiera per l'unità di tutte le Chiese!
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