12/03/2006 - 2ª DOMENICA di Quaresima - anno B
Prima lettura Genesi 22,1-2.9°-10-13.15-18 dal Salmo 115/116
Seconda lettura Romani 8,31b.34 Vangelo Marco 9,2-10

Pronunciare il nome inoltre ha il significato profondo di richiamare la presenza, e la presenza del Padre è Presenza di colui che ci ha creati, che ci ha amati fino al sacrificio del Figlio, che ci attende a farci partecipi della sua gloria! Le parole che lo contraddistinguono, e quindi non solo il titolo di Padre, ma anche i termini che usiamo per Gesù e i suoi doni o i suoi amici, vanno usate con rispetto e amore! Usarle per discorsi inutili, futili o sconvenienti, oppure per giuramenti falsi o vani, o per vantarci e sostenere superbia e orgoglio, o per formulare scherzi e barzellette, sarebbe davvero offensivo e blasfemo. Non occorre poi nemmeno dire che la bestemmia, cioè l'uso di titoli ingiuriosi rivolti a Dio e ai suoi doni, è grave peccato: essa è prestar voce a Satana, il nemico di Dio e dell'uomo. Essa è un peccato talmente grave che in nessuna religione viene pensata la possibilità che gli uomini la pronuncino: si è diffusa solo tra i cristiani, che non hanno paura di lui perché sanno che Dio è buono e non si sente offeso! Certamente Dio non si sente offeso, perché nessuna bestemmia lo tocca, ed ha compassione dell'uomo che la pronuncia, perché lo vede già in balia da Satana! Nelle Sacre Scritture come nel Vangelo, quando si parla di bestemmia s'intende soprattutto l'attribuire a Dio le opere del maligno e al maligno le opere di Dio! Ci guarderemo bene dal dare a Dio la colpa del male che gli uomini commettono! Gesù dice perciò che non troverà perdono colui che accusa Gesù di compiere le opere di Satana e di essere uno che rovina l'uomo. Infatti, se rifiuti l'unico Salvatore accusandolo di rovinarti, a chi ti rivolgerai per chiedere salvezza?

Anche questa volta Gesù raccomanda ai discepoli di non dire nulla a nessuno: l'esperienza che li ha lasciati ammutoliti per la sua bellezza e per la sua profezia di sofferenza deve rimanere nascosta nel loro cuore. Hanno visto Gesù in preghiera: sul suo volto e su tutta la sua persona appariva la luce di Dio. Quando un uomo prega non è solo, e su di lui si riflette e si riversa dall'alto la grazia e la pace del Padre: tanto più se colui che prega è lo stesso Figlio di Dio! Nella luce di Dio anche i suoi santi hanno il loro posto, soprattutto attorno a colui che è stato annunciato come colui che deve venire, al Figlio prediletto del Padre.
Mosè ed Elia rappresentano tutti i giusti, tutti i patriarchi e i profeti, tutti coloro che in vari modi hanno fatto risplendere l'autorità e la sapienza di Dio sulla terra in mezzo al suo popolo. Mosè ed Elia in questo momento vivono il loro momento più bello e più atteso, anzi, questa è l'ora in cui la profezia della loro vita si sta realizzando. Mosè ed Elia discorrono con Gesù: quale potrà essere l'argomento del loro colloquio? Tutt'e due hanno sofferto molto per portare a compimento la loro missione. Certamente Gesù con loro parla di ciò che dirà ai tre discepoli scendendo dal monte, cioè del suo traguardo, del mistero finale della sua obbedienza al Padre che lo ha illuminato e che lo ha presentato con quelle pochissime parole tanto significative! "Questi è il Figlio mio", parole che nel secondo salmo si riferiscono al re che riceverà il regno su tutti i popoli! "Prediletto": così Abramo chiama il proprio figlio Isacco mentre lo accompagna al monte dove pensa di doverlo sacrificare. "Ascoltatelo": tutta la Scrittura è percorsa dall'invito ad ascoltare la voce di Dio, ed ora egli stesso dice che il modo per farlo adeguatamente è porgere orecchio a quel figlio che si è recato sul monte a pregare!
La reazione dei tre discepoli sembra abbastanza superficiale. Pietro si trattiene a considerare solo la piacevolezza del momento e desidera prolungarlo, per prolungare l'emozione! La paura li ha presi alla sprovvista, tutti e tre. È vero che stando con Gesù si possono provare delle belle emozioni, si fanno delle piacevoli esperienze. La nostra attenzione non deve fermarsi su di esse, ma deve fissarsi ancor più su di lui, su Gesù, anche a costo di non ripetere più la stessa esperienza! Vivendo con lui percorreremo anche noi la salita percorsa da Abramo, con lui piangeremo, e cammineremo col dubbio nel cuore, abbandonati alla certa, ma sconosciuta possibilità d'intervento del Signore.
Vivendo con Gesù saremo rafforzati, come San Paolo, nella certezza di essere amati dal Padre, di essere al sicuro, di essere al centro del cuore di Dio anche quando il nostro nemico ci fa percorrere la strada della morte. Il nostro cuore diventerà uno scrigno che nasconde preziosi tesori, come fu il cuore dei tre discepoli che riuscirono a tenere per sè l'esperienza vissuta, e a farne oggetto di continua umile meditazione. Quando non si capisce qualche parola o qualche mistero di Dio, questa è la strada da percorrere: con umiltà trattenerlo nel cuore fino a che il Signore stesso ritiene opportuno svelarcelo! Quando rinnoveremo le promesse del nostro battesimo nella veglia pasquale, questa umiltà sarà il dono gradito al Padre, che gli apre il cuore per rafforzarci nella fede e nella carità!

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