03/06/2007 - Solennità della SS.ma Trinità - anno C
Iª lettura Prv 8,22-31 dal Salmo 8 IIª lettura Rm 5,1-5 Vangelo Gv 16,12-15

La nostra fede, man mano che, crescendo e maturando, cambia d'aspetto, fa cambiare pure la nostra vita, i rapporti col prossimo e la preghiera. Ciò che potremmo dire della preghiera lo potremmo dire della vita e della fede. Il nostro credere è il rapporto che si instaura tra noi e Gesù, Figlio di Dio. I suoi discepoli credevano già all'inizio, quando hanno cominciato a seguirlo e quando hanno gustato il vino pregiato a Cana. Ma ogni volta che Gesù manifestava qualcosa di nuovo della propria identità, la fede dei suoi cambiava, si approfondiva, maturava, e trasformava la loro preghiera e le loro attese. E ancor più quando Gesù rivelava che il suo cammino avrebbe comportato la croce. Allora il credere, avvicinando gli uomini a lui, li allontanava dal modo di pensare e di comportarsi del mondo. I discepoli stessi non erano sempre pronti a questo passaggio. Ne abbiamo una prova addirittura dalla reazione di Simon Pietro, che reagì con forza al primo annuncio della passione, del rifiuto da parte delle autorità e della morte in croce. La sua fede non era ancora maturata, e quindi tutta la sua vita era immersa nello spirito mondano, tanto da far dire a Gesù quella parola forte e per noi inattesa: "Dietro di me, Satana. Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini"! È molto importante perciò per noi non accontentarci di dire "io credo"; dobbiamo vedere come è la nostra fede. E poi dobbiamo fare il passo che la innalzi alle dimensioni adeguate alla croce di Gesù. Possiamo cominciare a chiederci: " La sofferenza mia o degli altri mette in discussione il mio credere? La mia fede mi porta ad amare il mio Dio comunque? ". La risposta ci rivela di che tipo è la nostra fede. Se non è ancora come quella di Gesù, con umiltà possiamo chiedergliela. L'umiltà è d'obbligo. Senza umiltà la fede non avanza, non resiste, non cambia.

Le letture di oggi iniziano con un inno alla sapienza di Dio, una sapienza di cui noi possiamo continuare a contemplare e godere il frutto. Tutto il creato è manifestazione di sapienza, una sapienza pregna di amore per gli uomini. Questa sapienza è descritta come un consigliere di Dio, come Qualcuno che sta presso di lui, "come architetto" da cui Egli si lascia ispirare per dar forma al creato. In questo modo, già prima della rivelazione di Gesù, il popolo di Dio ha contemplato Dio non come essere solitario privo di relazioni, ma come persona che in se stesso può rapportarsi ad altra persona e dar vita così all'amore: può essere in ascolto, amare, dare e ricevere fiducia e vivere umiltà. Se gli uomini imitano un Dio così, la società viene continuamente trasformata, poiché si riversa in essa amore e umiltà. Se Dio non vivesse in se stesso questa relazione d'amore, egli sarebbe osservato e compreso da noi come un solitario, dittatore, capace di essere tiranno. Davanti ad esso avremmo solo paura, e cercando di imitarlo diverremo a nostra volta tiranni gli uni degli altri. Non ci è difficile riscontrare questi atteggiamenti nelle società la cui religione preponderante conosce solo un Dio solitario senza relazioni.
La rivelazione della vita trinitaria di Dio, iniziata timidamente negli scritti antecedenti a Gesù, continua in maniera più chiara ed esplicita con lui. Egli ci parla del Padre, ci dice esplicitamente la sua unità con lui attraverso una piena e amorosa ubbidienza, ci promette la presenza in noi e l'assistenza dello Spirito del Padre, che è anche suo. Ascoltando Gesù abbiamo la netta sensazione di trovarci all'interno di una famiglia, dove si vive reciproca fiducia, reciproco ascolto, amore ubbidiente, volontà di essere uniti in un'armonia piena. Quest'ambiente è tanto bello, che siamo attirati a viverlo nelle nostre famiglie, nei gruppi, nelle comunità. È faticoso per noi, talora difficile, perché siamo impregnati di egoismo, attaccati ai nostri modi di vedere, alla voglia di emergere. Per questo Gesù ci esorta all'umiltà, quell'umiltà che ci fa chiedere e donare perdono, che ci permette di stimare gli altri superiori a noi stessi, non perché migliori di noi, ma perché amati dal Padre come noi. E affinché noi possiamo entrare nell'amore trinitario di Dio, Gesù promette e dona lo Spirito Santo! Questi ci santifica, cioè ci divinizza. Abbiamo quasi timore e pudore ad usare questa parola, ma non dobbiamo avere paura della verità. Accogliendo in noi lo Spirito Santo diventiamo davvero partecipi dell'amore di Dio, che così può manifestarsi attraverso di noi. Noi veniamo ad essere la gloria di Gesù, come lui è quella del Padre! Pure San Paolo ce lo dice chiaramente: "Ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio"! Diventa necessaria per noi la pazienza, perché non ci mancano le tribolazioni causate dai nostri peccati e da quelli dei fratelli. Infatti anche in noi, come in Gesù, la gloria di Dio viene rivelata nella prova. È sulla croce che abbiamo visto che Dio è diverso da come lo pensa l'uomo, è lì che Gesù ci ha manifestato la pienezza dell'amore del Padre, e attraverso il suo sacrificio ce l'ha donata. Anche noi manifesteremo agli uomini l'amore di Dio Padre quando saremo pazienti in tutto nelle tribolazioni. Lo Spirito Santo datoci da Gesù ci rende gloria di Dio, rivelatori di un Dio capace di essere Padre per tutti! La nostra vita, attraverso l'amore paziente, diventa partecipe del mistero della Ss.ma Trinità!

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