07/10/2007 - 27ª Domenica T. O. - anno C
Iª lettura Ab 1,2-3; 2,2-4 dal Salmo 94 IIª lettura 2 Tm 1,6-8.13-14Vangelo Lc 17, 5-10

Dio potrà gradire la mia preghiera quando vedrà che i suoi desideri sono accolti da me come da un figlio attento. Perciò ecco che gli esprimo il desiderio "venga il tuo regno" e "sia fatta la tua volontà". Perché il mondo diventi regno di Dio, egli ha mandato Gesù, e per realizzare la pienezza del suo amore egli ha voluto che Gesù salisse la croce. Gesù offre anche a noi la possibilità di partecipare alla sua missione, per questo ci suggerisce di esprimere nella preghiera il desiderio che si realizzi quel Regno dove il Padre può creare ordine tra gli uomini secondo la sua sapienza, un ordine che viene dall'amore e porta ad amare! E a Gesù preme che anche noi facciamo la volontà del Padre, una volontà che è salvezza per noi e per tutto il mondo: in vista di questa salvezza ci fa desiderare la sua volontà, più sapiente e lungimirante delle nostre povere volontà, mosse per lo più da egoismi e dalla voglia di soddisfare i bisogni immediati. La preghiera più importante di Gesù stesso è stata quella pronunciata nell'orto degli ulivi: "Padre, non la mia, ma la tua volontà sia fatta"! Con quella preghiera egli si preparava a portare la croce. La croce è stata prima di tutto sofferenza e morte, ma poi da essa è venuta la sua gloria e la salvezza per il mondo. Noi vogliamo fare la volontà del Padre anche quando essa ci porta a morire a noi stessi; siamo però certi che alla fine il Padre ci conduce alla gioia e alla gloria. La vita dei santi, che la Chiesa ci propone come esempi di vita, è spesso una illustrazione di questo percorso dalla croce alla gioia e alla gloria. Noi non amiamo la croce in sè o la sofferenza, ma amiamo la volontà del Padre, anche quando essa comporta dolore o tribolazione. Insegnandoci a pregare Gesù ci insegna quindi anzitutto a desiderare i desideri di Dio, a cambiare i nostri modi di essere e di pensare, a protenderci con tutte le nostre forze verso il Padre, a costo di un'autentica profonda conversione!

Gesù ha appena sollecitato i discepoli a donare il perdono continuamente al fratello che lo chiede. Essi si rendono conto che per riuscirci è necessaria una fede tanto grande e profonda che ancora non posseggono. La chiedono a Gesù stesso: "Aumenta la nostra fede!" Per perdonare a chi pecca varie volte è davvero necessaria la fede: se sei rivolto a Dio e da lui ti lasci orientare, allora puoi perdonare e ripetere il dono, perché i tuoi occhi non vedono il fratello peccatore, ma lo sguardo del Dio misericordioso, misericordioso anzitutto verso di te, e poi verso tutti. Può sembrare strano, ma Gesù non promette di aumentare la quantità della fede, anzi, egli dice che la fede che abbiamo è più che sufficiente! La misura della fede è il granellino di senape, il seme più piccolo che si conosca. Ognuno può avere quella quantità di fede. La fede che ci è stata data accogliendo Gesù è completa. Non occorre aggiungervi altro, e non è possibile avere una fede migliore.
È necessario però che teniamo lontano l'orgoglio, altrimenti la fede si rovina, e vengono distrutti i rapporti, quelli con Dio e quelli con gli uomini. Gesù vuole perciò aiutare i suoi discepoli a coltivare un'umiltà sincera e serena. Per questo racconta la parabola con la famosa conclusione, che a noi a prima vista sembra inaccettabile: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare". Dopo la nostra obbedienza non c'è posto per l'orgoglio di aver obbedito, ma ancora l'umiltà, quella pronta a ricominciare il servizio. Il nostro vanto migliore è essere servi. Chi serve con amore sta vivendo la vita del Figlio di Dio! Egli è proprio venuto per servire il Padre, e ha servito l'amore del Padre servendo gli uomini. Non ha egli detto: "Il Figlio dell'uomo è venuto non per essere servito, ma per servire"? Io divento simile a lui e mi unisco a lui servendo i fratelli! Per questo, quando ho finito un servizio ne attendo subito un altro, perché non posso vivere senza essere unito intimamente al Figlio di Dio, a Gesù!
E così la nostra fede diventa la nostra vita, proprio come scrisse Abacuc: "Il giusto vivrà per la sua fede". La fede ci permette di perdonare e di chiedere perdono, e questo è l'inizio della vita gradita al Padre, della vita di figlio, del figlio che si mette a servire per sviluppare e maturare il proprio amore. È la bella testimonianza che possiamo dare al nostro Signore Gesù Cristo. Egli merita che noi mettiamo in luce la sua presenza e la ricchezza del suo amore. Lo facciamo col gioioso servizio gratuito e libero. San Paolo ci aiuta con le sue parole a Timoteo: "Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro". È bello poter pensare di essere testimoni di Gesù, di contribuire, con il nostro amore servizievole, a farlo conoscere come il Salvatore e il Signore che è venuto per tutti. Io sono stato sostenuto e rafforzato molte volte dalla certezza che, anche se nessuno mi vede e mi considera, il mio servizio umile e nascosto serve a glorificare Gesù, a rendere viva e operante la presenza del suo Spirito. E inoltre l'attenzione a glorificare Gesù ci aiuta a discernere il da farsi nelle più svariate circostanze.

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