Eucaristia
La celebrazione: gesti e parole

Canto del Gloria
13.

Il canto del Gloria inizia con le parole degli angeli ai pastori a Betlemme: ci fa già partecipi di quello che riempie il cielo! "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà" (s'intende la volontà buona di Dio, che è di amare tutti e perciò si traduce anche: "agli uomini che egli ama")! Il canto fa poi memoria dell'incarnazione del Figlio di Dio, che manifesta l'amore del Padre tra gli uomini (è Gloria) e partecipa ad essi le ricchezze della sua vita (è Pace)! Il resto del canto è conseguenza: con varie espressioni adoriamo il Padre e invochiamo la misericordia del Figlio, chiamandolo "Agnello di Dio", titolo datogli da Giovanni Battista. L'inno termina con il riconoscimento dell'unico Signore, Gesù Cristo, adorato con lo Spirito Santo a gloria del Padre! È un bell'inno, molto antico, arricchito ogni volta di melodie diverse, sempre festose, anche se, con realismo, ci fa ricordare la nostra situazione di peccato: è per esso che Gesù è venuto nel mondo, a causa di esso e per liberare noi dal suo peso ha sofferto, e ora ci ascolta, e per noi intercede alla destra del Padre!
Nei tempi penitenziali, Avvento e Quaresima, come piccolo digiuno, rinunciamo alla gioia di questo bell'inno alla misericordia di Dio.

Preghiamo
14.

Il sacerdote ora invita l'assemblea alla preghiera e poi lascia tutti in silenzio perché presentino al Padre le loro preoccupazioni o qualche grande desiderio. Egli raccoglie poi le intenzioni formulate da tutti nel silenzio, pronunciando a voce alta una preghiera che legge dal messale. Spesso i sacerdoti tengono conto dell'incapacità di molti fedeli a stare un minuto in silenzio, e perciò lo riducono a due secondi! Se puoi, dì al tuo parroco che saresti contento di avere il tempo di formulare la tua preghiera, affinché anche lui sia aiutato e incoraggiato nel suo compito! Questa preghiera viene chiamata "colletta", termine latino che significa "raccolta": essa raccoglie infatti quelle di tutti i fedeli presenti ed è diversa ogni giorno e ogni domenica, perché tiene conto delle letture, o del mistero celebrato nella festa, o delle note distintive della vita del santo ricordato. Essa termina sempre con la formula "per il nostro Signore Gesù Cristo…": sappiamo che la nostra preghiera ha valore agli occhi di Dio Padre perché è presentata a lui dal capo della Chiesa, Gesù! Noi abbiamo solo i suoi meriti da offrire a Dio! Grazie a Gesù il Padre ci prende sul serio e ci ascolta. Questa espressione finale di ogni preghiera vuole esprimere da una parte la nostra umiltà e dall'altra la nostra fede: umiltà, perché siamo sempre debitori a Dio, fede, perché ci appoggiamo decisamente sulla croce di Gesù!

LITURGIA DELLA PAROLA
15.
Alla domenica ascoltiamo tre letture. La prima, di solito, è un brano tolto da uno dei 46 libri dell'Antico Testamento. La seconda è scelta da uno scritto del Nuovo Testamento, dalle lettere o Atti degli apostoli oppure dall'Apocalisse. La terza è tratta da uno dei quattro vangeli. Le prime due letture, con il salmo che le unisce, vengono lette da lettori. I lettori sono fedeli come tutti gli altri: capaci di leggere, amano la Parola di Dio e non hanno paura di coloro che ascoltano! Gloria principale del lettore è che di lui si possa dire quello che S. Vigilio scrisse del lettore S. Martirio: "Si dedicava continuamente ad apprendere e a vivere la parola di Dio che leggeva ed era ansioso di guadagnare anime a Dio"! Il lettore sa che ciò che sta leggendo è Parola di Dio e che questa Parola è importante per coloro che ascoltano: si prepara quindi con una vita fedele al Signore, esemplare per la comunità cristiana, e si prepara pure leggendo e meditando quei brani che proclamerà davanti a tutti. Chi ascolta non è meno impegnato di chi legge: si dispone a far entrare nel proprio cuore la luce e la sapienza e i desideri del Padre!
Della Parola di Dio abbiamo sete, desiderio profondo, perché su di essa si gioca tutta la nostra vita.

16.
Le tre letture della Messa sono programmate in modo che si richiamino a vicenda. Il legame è più evidente tra il vangelo e la prima lettura. Questa di solito contiene dei riferimenti a parole o ad aspetti importanti della vita e dell'insegnamento di Gesù. Risulta così più evidente la bellezza del Vangelo e l'importanza della persona del Signore, quando vediamo che egli realizza quanto già annunciato dai profeti o da altri passi dell'Antico Testamento. Questo poi assume un'autorevolezza e un significato pieno allorché ne costatiamo la continuazione e il perfezionamento nel Nuovo. La seconda lettura ci può fornire un'ulteriore chiave di lettura del brano evangelico per una meditazione più completa, o più mirata verso qualche aspetto della nostra fede e del nostro coinvolgimento in essa. Prima e seconda lettura sono concluse dall'annuncio: "Parola di Dio", al quale tutti rispondiamo: "Rendiamo grazie a Dio"! Davvero rendiamo grazie? Perché Dio ci rivolge la sua parola? È segno che ci stima, che ci ama, che ci ritiene capaci di rispondere a lui, Dio dell'universo! Rendiamo grazie perché ci ritiene idonei a collaborare con lui!
Con la sua Parola, Dio ci vuole educare a vivere in modo diverso da quello abituale, e incomincia con l'educarci a sapere che lui vede le cose in modo diverso da noi. Per riuscire a cambiare la nostra vita, a convertirci, dobbiamo cominciare proprio da questo, dal guardare tutte le cose da una nuova prospettiva. Dobbiamo abituare il nostro sguardo interiore a vedere le realtà create, le persone e i fatti con l'attenzione di Dio, a vedere ciò che lui vede e che noi non riusciremmo a scorgere. La Parola di Dio ci vuol "convertire", ci vuole cioè orientare a passare oltre i pensieri degli uomini. Da ciò che vede e pensa, l'uomo deve andar oltre, a ciò che vede e pensa Dio!

17.
Dopo la prima lettura viene declamato o cantato un salmo, preghiera biblica che risponde o con la gioia o con la supplica o con espressioni di fede all'annuncio che abbiamo udito. Lo chiamiamo salmo responsoriale, proprio perché con esso rispondiamo alla parola di Dio. Sono tre o quattro strofe, intercalate da un ritornello, che nella mia chiesa si canta sempre. Dio certamente gradisce che gli rispondiamo con la sua parola: le nostre parole sono troppo povere, rischieremmo di esprimere ignoranza o egoismo o superficialità. Le parole di un salmo sono preghiera che ci arricchisce, ci stimola, ci aiuta a sviluppare in noi sentimenti adeguati alla bontà e alla serietà di Dio! Tutti facciamo nostra questa preghiera cantando o recitando a voce alta il ritornello.

18.
Siamo stati seduti ad ascoltare le letture: ora ci alziamo per cantare il canto al Vangelo. Perché seduti e in piedi? Ha significato anche la nostra posizione? Tutto ciò che avviene nella Liturgia è segno e dono, frutto di amore, dell'amore di Dio per noi e del nostro con cui cerchiamo di rispondergli. Lo stare seduti è una posizione che esprime un'attenzione calma, riposante, come quando parli con un amico che ti comunica le sue confidenze e ti svela i suoi pensieri. Lo stare in piedi manifesta un'attenzione impegnata, prontezza per muoversi ad agire. Gesù ci sta parlando, certamente ci chiederà di metterci in cammino con lui, o ci manderà, come ha mandato i discepoli a preparare il suo arrivo in qualche villaggio, o come ha mandato qualcuno a preparare la festa…! Stiamo pronti! Stiamo in piedi come stava Maria ai piedi della croce, attenti ad ogni cenno del Signore! In qualche momento ci metteremo anche in ginocchio davanti a lui, come il lebbroso guarito, come tutti quelli che lo hanno riconosciuto Signore. Egli non è solo nostro amico e nostro fratello, è anche il Signore della nostra vita, e perciò è doveroso per noi adorarlo e piegare le nostre ginocchia alla sua presenza. Un'altra posizione sarà il camminare verso di lui: lo faremo al momento della Comunione. Ci avvicineremo a lui uno per uno, camminando alla presenza di tutti, per testimoniare così che egli è il Pane della nostra vita. Talvolta camminiamo anche tutti insieme dietro la sua croce, cantando con gioia perché egli è il nostro re! Durante la recita del Padre nostro alzeremo le braccia (lo si fa in molte chiese) a indicare il nostro desiderio di essere "conformati" al Figlio di Dio, che ha allargato e alzato le braccia sulla croce! Tutte le posizioni del nostro corpo possono essere preghiera, modi di esprimere la nostra fede e il nostro amore a Dio e a colui che egli ha mandato!

19.
Il canto che ci prepara all'ascolto del Vangelo è un canto di gioia, un alleluia! Il vangelo è buona notizia, notizia che riempie il cuore della Chiesa di gioia vera e santa. Mentre tutti in piedi cantano, il sacerdote che proclamerà la Parola del Signore, inchinandosi, dice sottovoce: "Purifica il mio cuore e le mie labbra, Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il tuo vangelo"! Quindi si rivolge a tutti col saluto benedicente: Il Signore sia con voi! Per ascoltare la Parola è necessaria la grazia e la pace di Dio! Per questo ciascuno, col pollice, segna con tre piccoli segni di croce la propria fronte, la bocca e il petto: la Parola viene accolta dalla mente, alimenta i nostri discorsi, è custodita con amore nel cuore! Terminato di leggere il Vangelo, il sacerdote bacia il libro dicendo: "La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati". È davvero importante questa lettura introdotta e conclusa dalla preghiera di purificazione! La Parola stessa, accolta nel cuore, lo purifica, come aveva detto Gesù ai discepoli: "Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato" (Gv 15,3). Nelle grandi feste il libro del Vangelo viene incensato e con solennità mostrato al popolo; e con esso viene fatto un grande segno di croce come benedizione. Hai ascoltato la Parola di Gesù? È in base ad essa che egli giudicherà i vivi e i morti alla fine dei tempi, è la Parola più autorevole e più necessaria. È giusto che le diamo importanza e che lodiamo colui che ce la dona sempre come parola viva: Lode a te, o Cristo!

20.
Un buon predicatore… Trovare un buon predicatore, uno che ti faccia rimanere a bocca aperta e ti faccia mozzare il fiato per mezz'ora, per un'ora…? Dopo il Vangelo, la predica. Quale delusione, spesso. Molti cristiani valutano tutta la Messa dal tenore della predica. Chi è buon predicatore? Due secoli fa circa un famosissimo predicatore a Parigi attirava tanta gente da gremire la chiesa all'inverosimile; un giorno disse: "Quando predico io la chiesa si riempie tanto che, per avere un posto, qualcuno sale sopra i confessionali! Invece ad Ars, dopo la predica di Giovanni Vianney la gente entra nei confessionali per confessarsi". Tutti i preti invidiavano quel predicatore perché sapeva, con la sua eloquenza, attirare grandi folle, lui invece invidiava il povero curato d'Ars perché, nonostante la sua ignoranza, all'udirlo molti si convertivano e cambiavano vita! Non l'eloquenza, ma l'amore al Signore produceva effetto! Io non sono un buon predicatore: me l'ha confidato un mio amico, che le mie prediche non hanno nè capo nè coda! Quando mi preparo a predicare so che non devo solo pensare cosa dire, quanto piuttosto preparare il mio cuore perché sia umile e docile allo Spirito Santo, che possa suggerirmi ciò che è necessario perché quelli che ascoltano si convertano, siano consolati, ricevano sostegno per la loro fede e per il loro amore! La predica deve essere una spiegazione delle Scritture, o meglio, un aiuto a vedere come attraverso quelle letture Dio ci aiuta ad affrontare i nostri problemi, le nostre situazioni, come lui vuole arricchire il nostro cuore e la nostra mente della sua sapienza! Io perciò mi preparo invocando lo Spirito Santo: anche tu preparati ad ascoltare lo Spirito di Dio, perché egli, delle mie parole, forse userà quelle meno appariscenti e meno preparate per interpellare il tuo cuore. È lui che devi ascoltare!

Professione di fede
21.

Dopo l'omelia, tutti insieme con voce chiara proclamiamo il Credo, la professione di fede che da secoli unisce i cristiani di tutto il mondo. Questo elenco di verità è detto "Simbolo della fede": in forma sintetica esso propone quelle verità senza le quali non possiamo ritenerci cristiani. Attraverso di esso riconosciamo chi è nostro fratello e lo distinguiamo da chi non può dirsi tale. È il segno di riconoscimento, non solo per i cattolici, ma anche per gli ortodossi e i protestanti, espressione di quella fede comune che fa di noi fratelli in Gesù Cristo. Se qualcuno introducesse delle varianti al Simbolo della fede non sarebbe da ritenersi cristiano, rientrerebbe tra quei "falsi fratelli" da cui gli apostoli ci raccomandano di difenderci, perché pericolosi per la nostra vita. Cambiare qualcosa al Credo significa infatti accettare un'immagine diversa di Dio, e quindi dell'uomo, e con ciò minare le basi della nostra convivenza e del nostro modo di amarci e stimarci l'un l'altro. Non per nulla la formulazione del Credo ha assorbito tante energie e impegnato tanti dibattiti a Concili e Sinodi per decenni e secoli. All'inizio il Credo era breve, poco più del nostro attuale segno di croce. Col passare del tempo i santi Padri hanno avvertito che bisognava difendere i fedeli da sottili eresie che avrebbero, a lungo andare, reso la fede vana, inefficace per la speranza e senza frutto di carità. A varie riprese, ogni volta che si rendeva necessario, furono indetti Concili per trovare le esatte e complete formulazioni per la fede dei cristiani, sulla base dei santi Vangeli e in armonia con la tradizione genuina della Chiesa. Il Simbolo che proclamiamo oggi si chiama niceno-costantinopolitano, perché ha trovato la sua formulazione al concilio di Nicea (325) e fu completato in quello di Costantinopoli (381). Un cristiano non può accontentarsi di sapere a memoria il Simbolo della fede, ma deve averne assimilato e compreso i contenuti, cosa che avviene in lunghi periodi di partecipazione alla liturgia e ad incontri di catechesi.
Il Simbolo della nostra fede è come la voce del pastore riconosciuta dalle pecore. Noi, nella grande abbondanza di parole e discorsi che ci vengono proposti e anche gridati, dobbiamo saper distinguere ciò che è vero da ciò che ci inganna, ciò che viene dal Signore da ciò che è propinato dal suo nemico. Ecco, il Credo, pur nella sua formulazione scarna, è un criterio sicuro. Se qualche dottrina e filosofia o qualche attraente discorso si discosta da esso, dobbiamo rafforzare la nostra vigilanza: se avessimo delle incertezze dobbiamo farci aiutare da qualcuno che conosce meglio di noi la nostra fede.
Riconoscere la voce del nostro Pastore è di vitale importanza, per non seguire falsi pastori e trovarci poi su strade senza pace che ci portano a soddisfare gli egoismi, nostri o altrui! Per quest'opera di discernimento ecco il Credo, ma ecco anche coloro che nella Chiesa hanno il carisma e il compito di rappresentare il Pastore, guida e custode della fede!

Preghiera dei fedeli
22.

Desiderio di tutti i credenti è potersi rivolgere a Dio come figli, con grande confidenza. Il sacerdote perciò, terminata la proclamazione del Credo, invita l'assemblea a rivolgere al Padre alcune richieste per le necessità della Chiesa e del mondo. Questa preghiera è chiamata "universale", oppure "dei fedeli". È detta "universale" perché vorrebbe supplicare Dio per i gravi problemi del momento presente che riguardano tutti, ed è detta "dei fedeli" perché anticamente veniva formulata dopo la dimissione dei catecumeni. Questi si dovevano allontanare e rimanevano solo i battezzati, i fedeli, a esprimere e condividere questa preghiera che segnava lo stacco tra la liturgia della parola e il momento culminante della celebrazione, la liturgia eucaristica. Le singole domande possono essere proposte da qualche gruppo che le prepara in precedenza, oppure formulate in maniera spontanea al momento: ciò avviene più facilmente quando alla celebrazione partecipa qualche gruppo di cristiani un po' più preparati e più coraggiosi di quanto non siano quelli che frequentano le normali parrocchie. Tutti poi fanno proprie le singole domande rivolte a Dio ripetendo un'espressione che può variare di volta in volta. Spesso si usa questa: "Ascoltaci, Signore!" Questa invocazione a me non garba molto: il Padre ci ascolta di certo, e con molta attenzione! Egli è attento a vedere se il suo amore è corrisposto da noi! Io dico piuttosto: "Noi confidiamo in te, Padre!", oppure: "Venga il tuo Regno!". Il sacerdote conclude brevemente prima di procedere alla presentazione delle offerte.

Presentazione dei Doni
23.

In alcune chiese il calice col vino e la patena con le particole (pezzetti di pane azzimo ritagliati da ostie più grandi) vengono preparati su di un tavolino nella navata. Dopo la preghiera universale alcuni fedeli si accostano, prendono calice, patena, ampolla con acqua, altre eventuali offerte significative per qualche evento particolare, e si avviano verso l'altare. Ho assistito ad una celebrazione dove gli africani, con gioia, portavano all'altare queste offerte danzando e cantando! Il sacerdote le attende, le riceve e le depone sull'altare. Qui egli, mentre di solito il popolo canta, alza la patena con il pane e benedice Dio con parole mutuate dalla liturgia ebraica: "Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo. Lo presentiamo a te perché diventi per noi cibo di vita eterna"! Parole simili ha detto Gesù stesso. Gli evangelisti infatti, narrando l'ultima cena, dicono: "Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione…". Prima di alzare ugualmente il calice col vino, il sacerdote vi versa alcune gocce d'acqua. Il significato di questo gesto è pratico: in oriente il vino è fortemente alcolico, perciò viene mescolato con acqua; così si faceva anche alla cena pasquale. Noi diamo un significato spirituale anche a questo piccolo segno: "L'acqua unita al vino sia segno della nostra unione a colui che ha voluto assumere la nostra natura umana". Noi siamo come un goccia d'acqua che si perde nella grandezza e ampiezza dell'amore divino acquistando le sue caratteristiche! Piccolo segno, espressivo della dignità che riceviamo celebrando l'eucaristia! Altro segno che ci tiene uniti alla tradizione ebraica, è il "lavabo": il chierichetto versa dell'acqua sulle mani del sacerdote. Gli ebrei compiono le abluzioni: e noi ricordiamo che Gesù si è alzato per lavare i piedi agli apostoli. Egli ha dato grande importanza al suo gesto, per vari motivi. "Se non ti laverò non avrai parte con me" aveva detto a Pietro che si rifiutava di accettare. Il sacerdote lavando le mani chiede perdono per i propri peccati.

24.
Egli poi si rivolge all'assemblea e la invita a pregare perché al Padre sia gradita la nostra presentazione del sacrificio di Gesù! È una preghiera dettata dall'umiltà. Certamente il sacrificio di Gesù è sempre accetto a Dio, casomai è inadeguato il nostro modo di viverlo. Egli non guarderà alla nostra povertà, bensì alla pienezza d'amore del Figlio suo! L'assemblea risponde, consapevole che tutta la Chiesa riceve beneficio dalla celebrazione, e che questa è una lode all'amore del Padre!
Il sacerdote continua con una preghiera, detta "sui doni", prima di iniziare la preghiera eucaristica, momento culminante di tutta la celebrazione.

LITURGIA EUCARISTICA
Il prefazio

Un dialogo tra il celebrante e l'assemblea introduce la proclamazione del Prefazio, il rendimento di grazie al Padre. Il dialogo inizia con la parola di benedizione che già abbiamo ricevuto all'inizio e prima del Vangelo: "Il Signore sia con voi!" e continua con l'invito a tenere in alto i cuori. Il cuore, cioè il centro della nostra volontà e dei nostri desideri, è già presso "le cose di lassù", già presso il Signore: le letture e le preghiere, l'omelia e i canti ci hanno aiutato a indirizzare la nostra attenzione a lui! Non possiamo che dire grazie, esprimendo riconoscenza per i preziosi e grandi misteri con cui il Padre arricchisce la nostra vita. "Rendiamo grazie al Signore nostro Dio!" "È veramente cosa buona e giusta!". Dopo questa introduzione ecco che viene proclamata o cantata la solenne preghiera di azione di grazie a Dio!

25.
Il grazie rivolto a Dio da un cuore sincero e da un'assemblea riunita è frutto della presenza dello Spirito Santo! È lo Spirito Santo infatti che ci dà luce per conoscere, apprezzare e amare i misteri dell'amore del Padre! È lo Spirito Santo che ci fa riconoscere Gesù come il Figlio di Dio e il nostro Salvatore. Illuminati dallo Spirito e uniti dalla sua forza di comunione partecipiamo al rendimento di grazie che viene innalzato a Dio con il prefazio, la solenne preghiera con cui inizia la liturgia eucaristica. I motivi del nostro rendimento di grazie sono infiniti, perché infiniti sono i fatti e i modi con cui il Padre ci manifesta e ci comunica il suo amore, infiniti sono i Misteri della sua bontà. Nei vari tempi liturgici e nelle varie feste dei Santi i prefazi perciò esprimono diversamente la riconoscenza della Chiesa!
"È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre…". Rendere grazie è davvero fonte di salvezza! Quando ti trovi stanco o sfiduciato, rendi grazie e guarirai! Sei deluso e scoraggiato? Rendi grazie e risorgerai. Soffri di solitudine o per altri problemi, tentazioni e tribolazioni? Il trovare motivi nella vita e nella morte di Gesù per render grazie ti risolleva, e ti prepara a "cantare uniti agli angeli e ai santi con voce incessante l'inno di lode: Santo, santo, santo!"

26.
La preghiera del Prefazio si conclude sempre con il canto dei Serafini: Santo, santo santo! Il profeta Isaia (c 6) è testimone di questo canto, che noi facciamo risuonare con un'infinità di melodie. Davvero santo è il Signore, davvero grande il nostro Dio e degno di essere lodato e cantato da tutte le voci, anche dalle nostre, che certamente non possono competere con quelle degli angeli! Dio però gradisce il suono della nostra voce, perché in essa percepisce il desiderio del nostro cuore e la gioia del nostro spirito, gioia di figli che si sanno da lui amati. Noi poi completiamo il canto dei Serafini con quello con cui i discepoli hanno accompagnato Gesù in Gerusalemme: Benedetto colui che viene…! Osanna nell'alto dei cieli! In tal modo facciamo della nostra lode un atto di fede, fede nella uguaglianza di dignità di Gesù e del Padre, fede nell'amore del Padre che ci dona il Figlio, fede nello Spirito che ci riempie il cuore di gioia per riconoscere e l'uno e l'altro uniti come unica luce! Questo canto conclude la grande preghiera di azione di grazie e vi fa partecipare tutta l'assemblea, che si dispone poi a vivere nel silenzio il mistero più grande: la presenza divina nel pane e nel vino donati da Gesù!

Il canone
27.
La preghiera eucaristica che continua dopo il canto del Santo porta il nome di Cànone. È una parola latina atta a sottolineare il fatto che tale preghiera è fissata da una regola e nessuno può apportarle cambiamenti. Fino al Concilio Vaticano II usavamo sempre la stessa, che chiamiamo Canone romano. Dopo il Concilio i Vescovi hanno approvato l'uso di altri Canoni, riscoperti dall'antichità o nuovi, formulati sul loro schema. I sacerdoti possono scegliere di volta in volta quello che ritengono più opportuno. Lo schema di queste preghiere è sempre lo stesso: lode al Padre, invocazione dello Spirito Santo sui doni del pane e del vino, le parole di Gesù nell'Ultima Cena, l'acclamazione dei fedeli, il ricordo del mistero centrale della salvezza, l'offerta del sacrificio, l'invocazione dello Spirito sui fedeli, la memoria dei santi, la preghiera per i pastori e per i propri cari viventi e defunti, e la dossologia finale.
Prendiamo in considerazione il terzo Cànone, che mi pare sia il più usato, forse perché non è molto lungo, ma nemmeno il più breve. Esso inizia riprendendo la parola del "Santo": Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura! Il Padre è degno di essere ammirato perché per mezzo di Gesù e grazie allo Spirito, egli dà vita e santità alla Chiesa e la riunisce come popolo che non ha altri confini che quelli della fede. La Chiesa è riunita proprio per celebrare l'Eucaristia, il sacrificio perfetto. Noi godiamo di questo disegno del Padre che ci fa grandi, ci rende degni di un mistero che mette in risalto la nostra indegnità!

28.
Iniziata la preghiera eucaristica con la lode al Padre, a lui rivolgiamo una richiesta: è il motivo per cui siamo riuniti. Gli chiediamo di mandare il suo Spirito perché il pane e il vino, posti sul tavolo-altare, siano da lui santificati e diventino quello che dicono le parole stesse di Gesù: suo Corpo e suo Sangue! Il sacerdote durante questa preghiera stende le mani sulla patena, che contiene le ostie di pane azzimo, e sul calice. Questo è un gesto consacratorio che esprime la fede della Chiesa: lo Spirito Santo dà nuovo significato e nuova " sostanza " a quel pane e a quel vino. Su di essi il sacerdote traccia pure un segno di croce con la destra, segno che rivela il nesso esistente tra quanto avviene qui e quanto è avvenuto sul Calvario. È sulla croce che il corpo di Gesù è stato offerto e il suo sangue è stato versato, non possiamo dimenticarlo. Calvario e Ultima Cena sono un unico mistero di amore di Dio realizzato da Gesù, mistero che ora riviviamo! Ora il sacerdote, tenendo in mano il pane, dice cosa ha fatto il Signore nella notte in cui è stato consegnato. Egli rese grazie al Padre, spezzò il pane e lo distribuì ai discepoli. Questi erano i gesti di ogni capofamiglia alla cena pasquale: li ha compiuti anche Gesù, attribuendo loro un significato nuovo, rivelato dalle parole pronunciate. Quel pane non sarebbe stato più un memoriale della liberazione dalla schiavitù dell'Egitto, ma di un fatto nuovo, il sacrificio della sua vita! È questo il fatto che costituisce noi popolo di Dio, fatto che ci apre la porta a diventare santi, figli di Dio, portatori della grandezza del suo amore! Quel pane non è più un cibo per sostenere il corpo, ma un nutrimento che costruisce la nostra vita interiore introducendo in noi la pienezza stessa di Dio!

29.
"Prendete, e mangiatene tutti": è l'invito con cui Gesù richiama l'attenzione dei discepoli e introduce le parole nuove sul pane e sul vino. Il sacerdote le ripete ad alta voce: tutti i presenti ricevono l'invito! Per accoglierlo senza compiere un gesto sacrilego dobbiamo prima di tutto esaminare noi stessi, come ci raccomanda San Paolo. Gesù tiene in mano il pane spezzato: "Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi"! Le sue parole dicono che mangiando quel pane saremo un tutt'uno con lui mentre viene consegnato alla morte, con lui mentre si offre per le iniquità di noi tutti. Il "per voi" ci fa ricordare le profezie di Isaia, che parlano del Servo di Dio consegnato alla morte, "trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità". Le parole che il sacerdote pronuncia mettono con chiarezza il pane in relazione con la morte di Gesù, una morte da lui non subita, ma accolta per offrirsi: è l'offerta che ha valore di sacrificio. Queste stesse parole sono percepite dal sacerdote e dai fedeli come profezia che li riguarda direttamente, perché essi mangeranno quel corpo: anch'essi saranno offerti in sacrificio, anch'essi sono quindi pronti a non vivere per se stessi, ma per lui che "è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione".

continua >>>>>>>>>