SONO PERDONATO

Rendiamo grazie a Dio,
perché voi eravate schiavi del peccato,
ma avete obbedito di cuore a
quell'insegnamento
che vi è stato trasmesso
e così, liberati dal peccato,
siete diventati servi della Giustizia.
 

(Rom. 6, 17) 

 

 

INDICE:       1.                  I peccati cercano perdono               

                     2.                 Parla I' “intelligenza” che hai   

                     3.                 Il cieco non vede 

                     4.                 La prova del nove      

                     5.                 Il segreto del cuore 

                     6.                 Vedere il segno 

                     7.                 Una violenza preziosa 

                     8.                 Un amore che vince il timore          

                     9.                 Peccato, affare sociale 

                  10.                 Un abbraccio eterno  

                  11.                 Come un pastore di... porci     

                  12.                 La festa strappata al cielo       

                  13.                 I segni della comunione con Dio 

                  14.                 Due confidenze  

                  15.                 Sincerità      

 Brani da meditare sul perdono     

 

1 -    I peccati cercano perdono 

“Sono perdonato”. 

La prima volta che ho potuto dire questa parola ero piccolo.  Ero così piccolo che certamente non supponevo nemmeno di quale importanza fosse stato carico quel momento. 

Non ricordo molto di quell'incontro.  Ricordo solo il luogo, una piccola sagrestia d'una delle più piccole chiese che abbia visto; e ricordo il prete, vecchio e buono, buono e semplice. 

Ricordo ancora che subito dopo, uscito all'aria aperta, saltavo di gioia.  Quella gioia la ricordo bene perché si è ripetuta centinaia e centinaia di volte: erano altri luoghi, erano altri preti che incontravo, ma la gioia era quella. 

Ero cosciente di non essermi incontrato solo con un prete.  Il prete era solamente un segno d'una Presenza, che agiva con le sue parole e coi suoi gesti, ma che lo superava e rendeva addirittura indifferenti le caratteristiche della sua persona e della sua personalità. 

M'incontravo con Dio.

M'incontravo con quel Dio che s'è fatto uomo. 

M'incontravo con quel Dio che s'è fatto uomo per amare gli uomini e farsi accogliere da loro. 

Era un Dio capace di perdonare e di Raccogliere me, che avevo ignorato o rifiutato o rinnegato la sua Volontà e disatteso il Suo Amore. 

Ora mi accorgo d'essermi spiegato male: ho usato il tempo passato: “ m'incontravo ”, “ era ”, “ avevo ”, perché ho cominciato coi guardare all'indietro, ma devo confessare che tutto questo vale anche ora; ho la speranza e la gioia di sapere che durante tutti gli anni della mia vita - se Dio me ne concederà - potrò continuare ad incontrarmi coi mio Dio, pieno di amore e ben disposto al perdono, attraverso l'incontro con un prete, con un prete peccatore e misero come me. 

In fondo mi accorgo di esser rimasto un bambino.  Sono, come un bambino, bisognoso di tutto, bisognoso soprattutto di perdono.  Credo sia la cosa più costante di tutta la mia vita.  Quante cose sono cambiate dalla mia infanzia! questa no: sono bisognoso di perdono.  Vivo di perdono.  Ho bisogno che gli uomini mi perdonino ed ho bisogno che Dio mi perdoni. 

Sono cambiate le occasioni, le circostanze e i modi del mio peccato: i miei peccati son divenuti via via più coscienti, più liberi, maggiormente influenti sulla vita degli altri, più nocivi alla mia attività, più grossi'.  E' aumentata pure la dimostrazione di amore del mio Dio, che mi perdona.  Il suo modo di perdonarmi però non cambia: egli usa ancora le parole squillanti o raffreddate, consolatrici o aride di un qualsiasi prete, uomo di questo mondo. 

Nonostante la mia età, nonostante le scoperte delle scienze umane, nonostante l'aumentata conoscenza di me stesso e degli altri, non ho trovato altri modi per riconciliarmi con Dio, per trovare pace nel cuore e ritrovare l'amore e l'amicizia degli uomini.  Anzi, ho scoperto con sempre maggior chiarezza quanta umanità, quanto rispetto della psicologia dell'uomo, quanta carica spirituale, quanta forza di cambiamento, possieda l'incontro dell'uomo peccatore coi suo Dio attraverso la mediazione del prete.  Lo posso dire da due prospettive diverse: da quella di colui che chiede il perdono e da quella di colui che lo concede. 

Non posso certamente pretendere che la mia esperienza abbia valore universale: ma lo presumo, perché la mia esperienza si ritrova pienamente corrispondente a quella di un'infinità di altre persone d'ogni lingua e razza e popolo, e ancora di ogni età ed estrazione sociale. 

So perciò che le cose che dirò troveranno un'eco anche in te, se sei credente e se hai esperienza del perdono di Dio.  E se non lo sei, se non hai esperienza e non vivi nella fede... ancora sono sicuro di... farti venire l'acquolina in bocca con un grande desiderio di provare finalmente la cosa più bella che un uomo peccatore possa desiderare: la liberazione. 

Ne sono sicuro, anche se non sei credente, perché almeno uomo sei. 

 

2.      Parla I'“ intelligenza” che hai. 

Sei uomo. 

L'uomo che non si rassegna a vivere solo mangiando, bevendo, dormendo e divertendosi, che non si accontenta cioè di fare la vita dei cavalli, si mette a pensare.  Pensando si pone molti interrogativi.  Non riesce a rispondere esaurientemente a tutti.  Si rende conto che ci sono cose ed esperienze più grandi di lui, che sorpassano la sua capacità di comprensione.  Ciò è capitato anche a me: non me ne vergogno.  Anzi, credo di non essere meno uomo se riconosco di ritrovarmi sempre a corto di parole e di ragionamenti, per es., quando muore qualcuno, quando incontro qualche disgrazia, e così pure quando trovo persone contente.  I miei perché rimangono punti interrogativi. 

Credo che uno solo è capace di rispondere e credo pure che la risposta che ricevo non è ancora del tutto alla portata della mia intelligenza, ammesso che io sia intelligente.  Cos'è la mia intelligenza? secondo alcuni è stupidità. Povero me. 

Un' “intelligenza” per fare i suoi ragionamenti parte da alcuni presupposti che le fanno da colonne.  La maggior parte della gente che incontri negli affari, ad esempio, ha un' “intelligenza” che parte dalla intenzione di guadagnare il più possibile, dal desiderio di eccellere, di farsi valere, di prevalere.  Quando questo tipo di “intelligenza” viene usata dal mio cervello non capisco più molte cose: non capisco più perché sono prete; non capisco più perché sono cristiano, e non capisco più perché dovrei ubbidire ad un Dio; perché dovrei amare il prossimo.  Non capisco più me stesso. 

Per fortuna, di solito, la mia intelligenza si posa su altri pilastri.  Normalmente ragiono partendo dalla certezza che il mondo è creatura e non Dio, che io sono creatura e non Dio, che i miei sogni e desideri sono creature e non Dio.  Un altro pilastro è la certezza che il Dio che ha creato, ha creato tutto con intelligenza vera e stabile e con sapienza eterna, e quindi anche la mia vita è stata “ pensata ” e inserita in uno scopo grande, bello, santo, degno di Dio.  La mia intelligenza ha ancora qualche pilastro, ma non occorre che te lo dica ora.

Purtroppo, mi accorgo che, nonostante tutto quello che so e nonostante tutto quello che vorrei essere, nonostante i pilastri della mia intelligenza, mi ritrovo a vivere talvolta inquietudine, amarezza, desiderio di sparire, d'esser lontano, di non incontrare nessuno, mi ritrovo ad aver paura d'essere uomo.  Come mai?

E' la stessa esperienza che la Bibbia riferisce ad Adamo e a Caino.  Sono caduto anch'io nel peccato.  Macché peccato, mi dice la mia vecchia “ intelligenza ”, è soltanto senso di colpa!  Senso di colpa o peccato?  Chiamalo come vuoi, so io quale peso c'è nel cuore.  Chi me lo leva? quale uomo può levare dal cuore questo peso?

Cos'è senso di colpa, cos'è senso del peccato?  Sono parole diverse, o sono realtà diverse? 

Quando un uomo esce dal suo ruolo di uomo, quando fa ciò che lui stesso e gli altri chiamano male, quando rompe o rende ostile il rapporto con gli altri uomini, si accorge di aver sbagliato: anche non ammettesse con la ragione il proprio sbaglio, lo ammette il suo cuore.  In una tale circostanza io potrei ritrovarmi in due situazioni diverse: vedo solo me ed il mio sbaglio: sono colpevole, ho sbagliato, ho rovinato me o gli altri, la colpa è mia. lo mi ritrovo di fronte a me.  Il mio “ io ” “ come vorrei essere ” si trova davanti il mio “ io ” “ come è ” e non corrispondono. lo sono diviso in due personaggi.  Chi ritrova la mia unità e armonia interiore?  Psicologi, psicoanalisti, ipnotizzatori ecc. ecc. si danno il turno per risolvere gli enigmi, per far sedute e guarigioni... perché un “ io ” diviso in due è malato.  Il senso di colpa ha portato alla schizofrenia.  Siamo tutti un po' schizofrenici, dice qualcuno per consolarsi. 

lo non mi consolo.  Quando sbaglio nel vivere la vita mia personale o di rapporto con gli altri io mi ritrovo davanti al mio Dio: davanti a Colui che mi ama e che si attende da me solo amore, parole, pensieri e azioni d'amore.  E' lui che mi fa notare il mio sbaglio.  A Lui dico il mio dispiacere; a Lui riconosco d'esser peccatore, infedele e ingrato al Suo Dono costante.  In me c'è il senso del peccato.  Il senso del peccato non è senso di colpa.  Il senso di colpa è dell'uomo senza Dio - o che lo dimentica temporaneamente -, il senso del peccato è dell'uomo che vive con Dio.  

3.     Il cieco non vede 

L'uomo che vive con Dio pecca.  Non scandalizzarti.  Voglio dire che l'uomo che vive in rapporto con Dio, che vive nella fede e nell'amore di Dio, chiama i suoi sbagli volontari col nome di “ peccato ”. Il peccato non esiste a detta di coloro che non hanno un rapporto sano e di amore con Dio: potresti incontrare qualcuno che ti dice: il peccato? non c'è, non esiste più! io non ho peccato, difatti non ho ammazzato nessuno.  E quelli che hanno ammazzato arrivano a scoprire che ammazzare non è peccato perché... e tutte le scuse sono buone.

Succede così per i pesci che vivono nell'acqua: la pioggia per loro non è bagnata.  Per i carboni che sono nel fuoco, il fuoco non scotta.  Per chi ha addosso il letame, il letame non puzza.  Chi è immerso nel peccato non si accorge dei propri peccati.

S.Giovanni, l'apostolo particolarmente amato da Gesù, dice che il “ peccato ” è non riconoscere Gesù Cristo, non accoglierlo come Figlio di Dio mandato dal Padre per noi.  Questo è il peccato.  Questo è “ il peccato ” per eccellenza, perché chi vive così è nelle tenebre più fitte.  Chi è al buio dice di non vedere nulla davanti a sé, anche se ci fosse una montagna piena di oggetti.  Chi è al buio inciampa dappertutto, eppure non vede nulla.  Chi è nel “ peccato ” continua a sbagliare e nemmeno si accorge.  Non mi meraviglio perciò di trovare chi mi dice che per lui non ci sono peccati, che lei non ne commette: questa affermazione è il segno della cecità, il segno del peccato peggiore, il segno che non c'è rapporto d'amore e di fede con Gesù Cristo e col Padre suo.  Non lo convincerai mai dei suoi peccati finché non accoglierà Gesù nel cuore.  Non arriverai mai a convincere un sordo che ci sono dei rumori: prima devi aprirgli gli orecchi.

La cosa più importante per me è perciò che io non sia al buio, senza la Luce.  Da quando Gesù è la mia Luce io sono fuori del “ peccato ”. Da quando ho accolto Gesù come regola della mia vita, da quando ho accolto la sua Parola e la sua intelligenza come mia intelligenza e la sua Volontà come mia Volontà, da allora la mia vita è uscita dalle tenebre: da allora riesco a vedere e riconoscere ogni giorno i miei peccati.  I miei peccati sono come l'inciampare di giorno: vedo in quale gradino o in quale sasso m'imbatto.  Mi dico: “ stupido, che sono, non potevo guardare? ”. Così i miei peccati: “ ho la luce della Vita.  Non potevo fare come Lui mi dice? ”.

Ecco la mia convinzione: se Dio esiste, io sono peccatore.  Dio, il Dio in cui credo, è Amore, Amore infinito per me e per tutti. lo sono perciò peccatore, sempre peccatore.  Con questa luce vedo che sono sempre a corto di amore per rispondere adeguatamente all'Amore che ricevo.  Inoltre so, dalle parole di Gesù Cristo, a cui credo più che ai miei occhi, che Dio ha pensato di farmi a sua immagine e somiglianza: mi ha fatto cioè con l'intento che io arrivi ad assomigliare a Lui, ad essere così capace di amare come lo è Lui stesso: “ siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli! ”, “ amatevi come io vi ho amato! ”. Se penso a questa intenzione di Dio mi ritrovo ancor più fuori strada, ancora più lontano dalla meta cui sono destinato, ancor più peccatore.

Non per nulla s. Paolo ricorda ai cristiani: “ fatevi imitatori di Dio! ” e s. Giovanni: “ chi ama viene da Dio ”. Ma come faccio io a non esser peccatore?  Ogni giorno trovo in me delle forze che mi portano a gesti p

e parole che, se non sono egoisti del tutto, nascono o si nutrono di un bel po' di egoismo.  E l'egoismo non è amore.  Come fare? 

Mi consolo che anche l'apostolo Paolo abbia avuto questo problema: “ lo non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti, non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto.  Ora, se faccio quello che non voglio io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. lo so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglia, ma il male che non voglio... lo trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me... Sono uno sventurato!  Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?  Siano rese grazie a Dio, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! ” (Rom. 7, 15-24). 

Non mi consolo d'esser peccatore, anzi non riuscirei a sopportarmi peccatore se non sapessi che Gesù Cristo ha la vittoria di questa situazione:            Egli sa darmi forza di vincere le tentazioni e di vivere nell'amore,            ma - nel peggiore dei casi - è pronto al perdono del mio peccato,            a cancellarlo, a riagganciarmi con l'amore del Padre, a riprendere fraternità con gli uomini, a ritrovare l'unità di me stesso. 

 

4.      La prova del nove 

Hai visto certamente un elastico.  Un elastico può tendersi, esser tirato, ma solo fino ad un certo punto.  Se lo tiri un poco più della sua possibilità esso si spezza.

Anche il rapporto tra due persone assomiglia - tutto sommato - ad un elastico.  Tra me e te può esserci tensione: una tensione che può esser allentata da una buona parola, da un sorriso, da un gesto d'amore.  Ma la tensione tra due persone potrebbe anche - e succede spesso venire esasperata dall'impuntarsi sulla propria posizione, o dal volere la rivincita o dalla vendetta.  In tal caso, una tensione può arrivare al punto di rottura.

Una cosa del genere capita anche nel rapporto di un uomo con Dio.  Può esser bello, armonioso, filiale.  Ma se l'uomo comincia a seguire la tentazione ed uscire dall'amore (atmosfera in cui dovrebbe rimanere immerso sempre anche per essere in armonia con se stesso) il suo rapporto con Dio comincia ad essere teso.  Non è Dio a tirare l'elastico!  Anzi, Egli cede un po', mi tiene agganciato, ma non può seguirmi se io vado lontano in direzione opposta alla sua, opposta al vero amore: allora il mio rapporto con Lui si spezza.  Non sono più agganciato al Padre, non sono più figlio, non sono più nella santità dello Spirito.  Una volta ho imparato a chiamare "veniale" il peccato paragonabile alla tensione dell'elastico e "mortale" quello paragonabile alla sua rottura.

Mortale: è parola grossa.  Indica la fine di una vita.  La vita di Dio in me non respira più, non agisce più, non illumina più.  L'uomo è consegnato a se stesso. 

E' un grosso guaio.  L'uomo “ senza Dio in sé ” è molto diverso dall'uomo “ con Dio in sé ”. Te ne sei mai accorto?  Un uomo morto è ben diverso da un uomo vivo.  Ebbene, la stessa differenza. 

L'uomo “ con Dio in sé ” ha alcune caratteristiche inconfondibili.  Mi è maestro s. Paolo.  L'uomo “ in grazia di Dio ” è capace di “ amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé ”. Hai letto troppo in fretta: rileggi adagio, cerca di impiegare dieci minuti a leggere queste nove parole.  Potresti prendere una parola al giorno per fare una novena allo Spirito Santo, una novena di supplica e di prova della vita di Dio in te.  Queste nove parole sono come la prova del nove che usavi per vedere se le tue moltiplicazioni erano esatte.  Se queste parole non trovano riscontro in me, il mio rapporto con Dio non è agganciato bene.  Te lo dico per esperienza. 

L'uomo “ senza Dio in sé ” ha ben altre caratteristiche.  Nel suo cuore è nascosta la paura.  Oh, forse è coraggioso, ma c'è molta paura: non si lascia vedere fino in fondo.  Ha qualcosa da nascondere.  Sfugge i momenti di vero rapporto umano, come quelli del grande dolore o della grande gioia.  Li sfugge evitando di incontrarli o travolgendo con la superficialità o con la menzogna, con la rabbia o con la scherzosità... Forse non mi capisci: pazienza, rimane alla prova del nove. 

L'uomo fuori della grazia di Dio, in peccato mortale, non è bello, non dà gioia, non infonde speranza né coraggio la sua presenza.  E' come una fontana disseccata, o come “ una coppa d'oro colma di vino pregiato in cui naviga una mosca nera ”: chi se la accosta alla bocca? 

Talvolta l'uomo può arrivare a questo punto non solo con gesti o azioni clamorose quali un grosso furto, un omicidio, la bestemmia volontaria, la fornicazione, l'adulterio, l'aborto, l'idolatria, il giuramento falso, ma anche poco per volta, quasi senza accorgersi, coi distanziarsi dal suo Dio in modo lento e costante.  Direi che muore di fame.  Uno che per settimane o mesi non si nutre della parola di Dio, non cerca la vera preghiera, non si tiene a contatto con la vita degli altri discepoli del Signore, a quel tale vengono a mancare poco a poco le forze, la luce, l'udito, il vero amore.  Poi t'accorgi che non lo distingui più dai pagani.  Non trovi più in lui alcun segno d'esser figlio del Padre dei cieli; primo fra tutti gli viene a mancare la volontà di perdonare ai suoi nemici.  E' morto, senza Vita.

 

5. Il segreto del cuore

continua