PADRE

A.

I discepoli di Gesù sanno pregare come tutti i buoni ebrei, che, tre volte al giorno, si fermano a recitare brani della Parola di Dio, in particolare i Salmi.

Tuttavia essi percepiscono che Gesù, loro Rabbi, ha un nuovo modo di vivere la preghiera. Spesso lo vedono lasciare il gruppo e ritirarsi in luoghi solitari. Sanno che lo fa per pregare. E quando egli prega con loro, essi s'accorgono che le sue parole non sono ripetizione meccanica, ma sgorgano cariche di vita dalle sue labbra, come fossero dette per la prima e unica volta.

Maestro, insegnaci a pregare!

Insegnaci! Vogliamo imparare da te!

Del resto ogni rabbi si distingue per la sua preghiera. Ogni rabbi ha regole particolari di preghiera per i suoi discepoli, diverse da quelle degli altri. Anche i discepoli di Gesù vogliono distinguersi dagli altri gruppi, vogliono essere 'qualcuno'.

Quale può essere la preghiera che li faccia riconoscere appartenenti allo stesso gruppo e nello stesso tempo li distingua dagli altri gruppi?

La domanda dei discepoli di Gesù è bella, benché pericolosa.

Gesù ha realmente un modo di pregare unico, nuovo, vero, ma il motivo per cui i discepoli lo vogliono conoscere potrebbe nascere dal confronto con gli uomini, da orgoglio e da spirito di divisione. Essi motivano infatti così la loro richiesta: "Poiché anche Giovanni ha insegnato a pregare ai suoi discepoli". (1)

Essi vorrebbero essere un gruppo distinto, riconoscibile da gesti e formule che non costano! Non conoscono ancora il loro Maestro, che si distingue dagli altri maestri per il fatto che egli si dona, si offre, fino alla morte!

Gesù risponde alla domanda dei suoi discepoli. Egli con molta benevolenza accoglie la loro richiesta e "detta" una preghiera, che non è fatta per riconoscersi e per distinguersi! Si accorgeranno che non è una preghiera che da adito all'orgoglio spirituale e alle divisioni, bensì è una preghiera che trasforma il cuore di colui che prega, una preghiera che mette l'uomo davanti a Dio come membro di un corpo, mette i discepoli uniti davanti al Padre come fratelli coscienti d'essere a servizio di tutto il mondo.

Non sarà infatti un metodo diverso di pregare a farli riconoscere come discepoli di Gesù, ma la loro vita: "Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".(2)

La loro preghiera sarà quindi l'accoglienza intima di un atteggiamento che li rende "in pratica" fratelli. Se pregheranno così, i discepoli di Gesù diverranno 'uno' con lui, diverranno dono, offerta. Se pregheranno come Gesù, la loro vita sarà 'uno' con la sua!

I discepoli di Gesù diverranno capaci di essere fratelli, di morire gli uni per gli altri, di portare i pesi gli uni degli altri, di vivere senza interessi personali, senza ambizioni, senza idoli!

La preghiera di Gesù non è un momento distinto dagli altri momenti, ma esprime il vero senso di tutto il suo vivere, che è il rapporto col Padre, e, nello stesso tempo, lo alimenta.

Imparare a pregare da Gesù non significa quindi imparare a "fare" qualcosa, o a "dire" qualcosa, ma imparare a vivere un rapporto continuo, stabile e fedele col Padre: e questo trasforma tutta la vita!

PADRE,

abbi pietà di noi:

desideriamo pregarti col cuore del tuo Figlio!

Ti ringraziamo di avercelo dato

come Maestro del nostro rapporto con te.

1) Lc 11,1  -  2) Gv 13,35

B. 

"Quando pregate dite: Padre..."

Gesù comincia il suo insegnamento facendo notare ai suoi che la loro preghiera è diversa da quella dei farisei e da quella dei pagani, non perché siano diverse le parole (anche queste sono diverse!), ma perché è diverso il cuore che prega, sono diversi i desideri, diverse sono le prospettive della vita, diversa è la conoscenza di Dio e la conoscenza di se stessi, diversi sono gli interessi che muovono i sentimenti e i pensieri. 

La preghiera dei farisei è impregnata di ambizione e di orgoglio. Sono contenti di se stessi, del proprio pregare e del proprio agire. La loro preghiera viene fatta e vissuta per attirare la stima degli uomini. I farisei credono d'essere i migliori tra gli uomini, di essere quelli che non peccano, quelli che osservano la Legge, quelli che perciò 'meritano' la stima di Dio! Essi ritengono, dato che sono ligi alle norme, di essere già in possesso del Regno dei cieli. Ritengono di non aver bisogno di misericordia, perché non sono peccatori come gli altri! La loro preghiera perciò risente di questa maniera di pensare. In che modo?

Essi non hanno nulla da ascoltare da Dio, perché già sanno tutto! Non hanno da chiedere clemenza e perdono, perché sono osservanti. Non si pongono davanti a Lui insieme con gli altri per non diventare immondi come loro. 

Non fate e non pregate  come loro!

Gesù raccomanda ai suoi discepoli di non pregare così perché questa non è preghiera. Questo modo di pregare non incontra Dio, che è amore.
Questo pregare è una strumentalizzazione del rapporto con Dio per far bella figura davanti agli uomini. (1)

I discepoli di Gesù non dovranno prendere come modello nemmeno la preghiera dei pagani.

Per quanto essi preghino e per quanto moltiplichino le loro parole nel pregare, i pagani non devono suscitare invidia ai cristiani. I pagani pregano, eccome! Ma la loro preghiera in fin dei conti è tempo ed energia sprecati. "Non sprecate parole come i pagani!" Gesù è così chiaro e sicuro. Come mai?

E' semplice. I pagani non cercano "il volto di Dio" (2), ma cercano solo di ottenere qualcosa da lui. Non amano Dio, a loro interessa 'qualcosa'! Adoperano molte parole (3) perché vogliono essere ascoltati, essere esauditi. Credono di sapere cosa manca alla propria esistenza, alla propria felicità e fanno di tutto per ottenerla da quel "dio" che secondo loro può tutto! Chiedendo, cercano di convincerlo ad intervenire. Se non bastano le parole a renderlo bendisposto gli offrono persino sacrifici.

Il profeta Elia diceva così ai profeti pagani del dio Baal: "Gridate con voce più alta, perché certo egli è un dio. Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato si sveglierà." (4)

Gli stessi filosofi dell'antichità, sia gli stoici che gli epicurei, sono giunti a concludere che pregare è inutile. E non hanno tutti i torti: una preghiera intesa così è inutile, non lascia traccia nella vita, non migliora l'esistenza.

L'egoista, pregando così, rimane egoista. Il violento e il prepotente con questa preghiera rimangono oppressori. Il ladro e l'impuro rimangono tali. L'avaro rischia persino di diventare ancora più avaro.

La preghiera del pagano contiene una certa fiducia in Dio, ma si tratta di una fiducia interessata. Il cuore di chi prega rimane chiuso, ripiegato su di sé e sui propri "bisogni". Il pagano che prega per ottenere qualcosa da Dio non si ferma a considerare invece se Dio ha qualcosa da chiedere: non ascolta! E nemmeno si ferma a incontrare il suo sguardo per godere della luce del suo Volto!

Evidentemente Gesù ha una preghiera molto diversa da proporci! 

Signore Gesù, insegnami a pregare! Donami una preghiera che mi aiuti a entrare nel cuore del Padre, che ama sempre!

Padre, ti amo, ti ascolto: parla al mio cuore perché voglio assomigliare a Te!

 

1) Mt 6,5 2) Sal 27,8 3) Mt 6,7 4) 1Re 18,27

  

C.

Gesù vuole che i suoi discepoli, mentre pregano, siano liberi da ogni preoccupazione. Egli sa che le preoccupazioni impediscono di incontrare veramente una persona nel suo intimo, perché tengono la mente e il cuore bloccati. Le preoccupazioni, anche le più semplici e immediate che possiamo avere, ci impediscono di 'vedere' il Volto di Dio, di incontrarlo, di amarlo perfettamente.

Prima ancora di insegnarci la preghiera, Gesù ci esorta ad escludere le preoccupazioni, o meglio, lo spirito di preoccupazione. Quel Dio davanti al quale ci poniamo nella preghiera è un padre! Egli sa ciò di cui possiamo aver bisogno. Egli conosce già tutte le nostre necessità, perché ci ama!

Io perciò posso lasciar sgorgare nel mio cuore la gioia di incontrarlo. Mi interesserò di Lui. Egli è già interessato di me.

 Per questo escludo il mio "io" dalla preghiera, altrimenti non si aprono le porte del mio cuore al suo ingresso. 

"Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate". Non serve quindi che io pensi alle mie necessità! 

Proprio perché so che il mio Dio è mio Padre, non ho preoccupazioni, la mia preghiera diviene totalmente nuova: potrò mettermi in contemplazione e in ascolto e lo potrò fare con tutta libertà interiore. Non sarò 'preoccupato' che dal mio incontro con Dio nasca qualche vantaggio, mi giunga qualche novità, si accresca il mio patrimonio di denaro o di idee o di potenza o di capacità o di stima da parte degli uomini...

Il mio "io", se libero da se stesso, potrà protendersi a donarsi, ad amare, a godere la bellezza di Dio, ad ascoltare i suoi desideri e disporsi a realizzarli. 

Abbiamo già notato che Gesù, ancor prima di iniziare la preghiera, non chiama Dio semplicemente 'dio' (questo è un nome generico che ognuno può riempire di un significato diverso). Egli lo chiama 'Padre': dagli evangelisti e dagli apostoli sappiamo che Gesù ha addirittura usato il termine aramaico che stava sulla bocca dei bambini verso il loro genitore: "abbà", come se noi dicessimo oggi 'papà' o 'papi'!

Con questo termine inizia la preghiera che Gesù vorrebbe fiorisse sulle labbra dei suoi discepoli. "Papà"!

Esprimersi in questo modo è diventare bambino! (1) 

Il cristiano che incomincia a pregare si fa piccolo. E diventa tenero, dolce come un bambino.

Così fa Gesù, che sa di essere conosciuto dal Padre. Un papà conosce il figlio prima ancora che nel figlio nasca la coscienza di se stesso, prima che egli si interroghi sul significato della propria esistenza. Questo significato è dentro il segreto dell'amore del papà! Gesù non cerca mai di conoscere se stesso perché a lui basta incontrare il Padre, essere con lui nel rapporto di figlio.

Quando si sviluppa e si manifesta questo rapporto c'è gioia di esistere e tutto acquista un significato grande e bello! Chiamando Dio "papà" l'uomo realizza se stesso pienamente, perché accetta d'essere amato da Colui che continuamente dona vita! 

Signore Gesù, grazie che mi fai conoscere il vero volto di Dio: Tu me lo fai amare con tenerezza come mio papà! Mi dai certezza d'essere amato, seguito, protetto, atteso!

Ti ringrazio.

E ringrazio te, Papà, d'essere davvero mio Papà! Mi affido a te, mi fido di te, vengo a te con Gesù, tuo vero figlio!

 1) Mt 18,3 

 

D. 

Prima di introdurre i discepoli nella propria preghiera, Gesù dona loro la propria conoscenza di Dio: Egli lo rivela come un "papà".

La stessa preghiera può avere significati e effetti diversi se la conoscenza di Dio è diversa. Gesù cerca perciò di rivelare ai discepoli il nome del Padre,(1) di far loro comprendere che sono già amati e voluti da Dio. Egli li rende convinti, con parole e opere, che Dio è amico degli uomini, che non vuole essere loro padrone, che non ha interessi da difendere, ma solo amore da riversare nei loro cuori.(2)

Gli uomini fanno molta fatica ad accettare questa 'lezione' di Gesù, perché essi hanno radicato nel cuore il concetto di un Dio geloso, rivendicatore, punitore, un Dio che non dimentica i peccati dell'uomo. Da quando Adamo s'è lasciato andare al sospetto su Dio è entrata nell'umanità questa diffidenza. E ogni peccato che l'uomo commette risveglia e alimenta questa idea... sbagliata.

Ci vuole tutta la sapienza e la pazienza di Gesù, la sua umiliazione nel Giordano, la sua opera a favore dell'uomo indemoniato e oppresso dalle malattie - viste come castigo di Dio per il peccato -, la sua morte e la sua Risurrezione, e infine il dono del suo Spirito perché l'uomo veda realmente e sempre Dio come un vero Padre!

Quando io accetto che Dio sia mio "papà", allora posso entrare nel modo di pregare di Gesù. Solo allora capisco la preghiera di Gesù, e la trovo completa! Allora quella preghiera diventa la strada o la scala o la porta che mi introduce nella vita di Dio, cioè nel suo cuore. Allora la preghiera diventa pure impercettibile, ma sicura via che trasforma la mia esistenza. Allora la preghiera non è più inutile, tempo perso, energia sprecata. 

Quando vedo Dio come abbà/papà mi accorgo che non sono io a raggiungerlo, ma che è Lui che raggiunge me; non sono io ad amarlo, ma è Lui che ama me.(3)

Quando lo vedo 'papà', non lo penso più distante, irraggiungibile; non mi preoccupo più di dirgli qualcosa, ma piuttosto comincio a godere di Lui. Se lo vedo 'papà' sono contento di sentire la sua voce, di udire la sua parola.

Egli mi potrà semplicemente chiamare per nome, o mi potrà dire una parola che mi rassicura e mi consola, o mi potrà pure chiedere di fare qualche fatica...; è papà, lo ascolto con attenzione, gli obbedisco con gioia. Da Lui continua a scaturire la mia vita.

Sento vera la frase del Salmo (4): "Se Tu non mi parli io sono come colui che scende nella fossa!". La parola del mio Dio è opera di un Padre, è vita che sgorga da Lui e mi raggiunge e mi tiene in piedi. Con la parola "papà" Gesù ci introduce nella conoscenza e nel rapporto che Egli ha con Dio!

Quale differenza con la conoscenza di Dio che ci vorrebbero trasmettere i cosiddetti filosofi! Essi costruiscono l'immagine di Dio - o dipingono un Volto di Dio - con  le idee scaturite dalle esperienze dell'uomo. Queste esperienze sono però tutte segnate, oltre che dal limite, anche dal difetto e dal peccato di egoismo e di materialismo. Il Volto di Dio che ne nasce non dona gioia, non porta alla confidenza e all'umiltà, ma solo a farsi grandi e a cercar la propria gloria.

Gesù mi fa godere d'esser amato, e di esser amato da un Padre che vuol essere papà per me. Pregando con Gesù mi trovo davanti a Colui che vuole la mia esistenza e la mia felicità. 

Signore Gesù, voglio imparare da Te a contemplare il Padre, ad amarlo, ad ascoltarlo: Tu solo mi metti con lui in vero rapporto sì che lo possa incontrare veramente! Tu apri i miei orecchi perché io possa ascoltare le parole che il Padre mi rivolge!

 

1) Gv 14,7; 8,19; 17,6.26  2) Lc 15,11ss 3) 1Gv 4,10 4) 28,1

 

  E. 

La prima parola della Preghiera di Gesù, quella preghiera che deve diventare la mia, non è un titolo onorifico, non è un aggettivo per quanto vero e bello possa essere.

La prima parola è uno strappo al mio cuore e alla mia mente, è un'apertura improvvisa per un nuovo rapporto d'amore. 

"Papà!"

Chi non ama, o chi ama se stesso soltanto o la propria gloria tra gli uomini, troverà altre parole per rivolgersi a Dio.

Questa parola è vera quando è pronunciata con amore. Chi non ama non riesce a dirla facendola propria.

Dire 'papà' provoca un crollo di quell'orgoglio e individualismo innato o di quello costruito in noi dalla nostra cultura o dalla coscienza che ci siamo fatti di noi stessi.

Il termine 'papà' non è un nome qualunque di persona estranea, ma è un'apertura, un riconoscere la propria dipendenza e poi anche riconoscenza.

Dire 'papà' a Dio è come dirgli: "Io so di esistere perché tu lo vuoi, so che tu mi ami, la mia vita è frutto del tuo amore; io c'entro con te, senza di te non vivo!"

Dirgli 'papà' è mettersi in pace: qualunque cosa mi spaventi o mi opprima, con questa parola nel cuore ritrovo sicurezza e coraggio. Succede a me ciò che avviene al bambino che dà la mano al papà o gli salta in braccio: non ha più paura!

Dire a Dio 'papà' è ritrovare il proprio posto, la propria identità più profonda e più duratura; io non esisto come qualcuno che dev'esser qualcosa, io ci sono come uno che è amato e che può rispondere all'amore.

Io sono 'qualcuno' quando rispondo a colui che mi ama da sempre; la mia grandezza è la grandezza di Colui che mi ama e al quale io mi offro!

Se non rispondessi all'amore del Padre sarei proprio un nulla, un vuoto!

Quando dico, alzando gli occhi al cielo, 'papà', rompo l'orgoglio del mio individualismo, del mio sogno di essere grande. In quel momento si apre in me la possibilità di ricevere i misteri di Dio, che sono misteri d'amore, di umiltà, di semplicità e di mitezza. E' solo ai piccoli che Dio rivela il suo essere, è coi piccoli che Egli entra in comunione. (1)

Quando dico 'papà' a Dio, scompaiono tutti i miei interessi terreni, i miei castelli, i miei desideri. E' come dicessi: mostrami i tuoi desideri, li voglio realizzare anch'io, voglio collaborare con te, fare quel che tu fai. Anche il bambino è contento di fare ciò che fa la mamma, e di aiutare il papà nei suoi lavori da grande! Dio non è più un concorrente, ma il primo confidente; non è colui che mi limita, ma colui che mi apre a possibilità nuove, le sue! 

Quando dico 'papà' a Dio, il mio amore per lui non rimane più nascosto! 

Questa prima parola della preghiera dei discepoli di Gesù porta all'esterno l'affetto che c'è nel cuore: è una parola che li compromette! Chi li ascolta si accorge che essi amano, che il loro cuore è occupato, che essi hanno coscienza d'esser amati, che sono soddisfatti.

Questa prima parola li rende testimoni della salvezza! Essi non si accorgono, eppure l'amore impiegato nel pronunciare queste due sillabe 'abbà', 'papà', li rende testimoni di colui che non si vede; chi li ascolta comincia a 'vedere' Dio, a convincersi dell'esistenza di Uno che ci ama! 

Padre buono e grande, ti voglio anch'io chiamare 'papà'!

Tu sei mio padre, tu mi ami, tu stesso hai voluto che io esistessi, che io venissi alla luce, che io fossi presente in questo mondo creato dalla tua bontà per mezzo del Verbo, tuo Figlio!

Tu ti prendi cura di me, ed io mi presento a te per fare ciò che tu fai, per ascoltare la tua voce e correre ad ogni tuo cenno, perché è il cenno di chi ama!

Papà! 

1) Mt 11,25-27 

 

 

F. 

Gesù ha pregato in questo modo.

Egli inizia tutte le sue preghiere con l'invocazione: 'Padre', "papà"!(1) Egli mette anche sulle nostre labbra la sua parola, perché vuole che nel nostro cuore entri il suo amore.

Donandoci questa parola egli anzitutto ci mette nella condizione di comprometterci.

Chi prega in questo modo non può rimanere freddo, normale, uguale a sempre. Si nota, non che egli è capace di formulare belle parole, ma che egli è in relazione d'amore con l'Amore, che è bambino, figlio!

In tal modo siamo appunto 'portati' ad accettare in noi spirito da figli. 

Noi siamo tentati di rimanere di fronte a Dio con uno spirito di soggezione, come servi o schiavi di fronte al padrone, col volto abbassato e gli occhi umiliati. Gesù ci vuol rialzare, ci vuol rendere coscienti della nostra grande dignità e del grande rispetto che Dio stesso ha verso di noi, verso la nostra libertà e la nostra persona. 

Dicendo 'Padre' noi accettiamo nella nostra vita lo spirito di figli, lo Spirito Santo: è Lui che grida nei nostri cuori: "abbà". E' lo Spirito Santo stesso, Spirito di Dio, che ci solleva alla confidenza, alla fiducia nel Padre e a godere della fiducia che Egli dà a noi come a figli! Non esiste più la paura di Dio, ma comincia la gioia d'essere più che uomini, "d'essere appunto figli di Dio"! (2)

La preghiera che Gesù ci "insegna" è perciò un nuovo atteggiamento, mai presente sinora nel cuore umano!

Da quando Adamo ha accettato di dubitare dell'amore di Dio, egli non è più stato capace di chiamarlo Padre.

Adamo, e con lui e come lui ogni uomo dopo la prima ribellione della vita, s'è allontanato dalla confidenza e dalla fiducia.

Unendoci ora a Gesù - nuovo Adamo - per dire 'Padre' ritorniamo alla verità piena, torniamo alla luce, per vedere Dio come realmente è, uno che ci ama e ci stima! Non guardiamo più un "dio", ma un "papà"!

Il termine "abbà" non è un 'nome', è di più! Pronunciando questa parola entriamo in un rapporto, in un movimento d'amore reciproco.

Pronunciare un nome divino avrebbe per noi il significato di possedere, di entrare in un rapporto quasi di uguaglianza, se non di superiorità, di conoscenza che possiede qualcosa o tutto di Dio; ne conseguirebbe pure un rapporto di orgoglio o di giudizio verso gli altri uomini che 'non conoscono' lo stesso nome. Per questo il nome di Dio rimane nascosto all'uomo e l'uomo percepisce che non lo potrebbe pronunciare impunemente.

Anzi, Dio stesso non ha bisogno di un nome per essere identificato, essendo Egli l'unico!

L'uomo tentato dagli idoli ha bisogno di distinguere il Dio vivente dagli idoli muti!

L'uomo che presume di poter pronunciare il nome di Dio entra nelle dimensioni della magia e si costruisce un mondo di poteri e di dominio sugli altri uomini: esce dall'amore, s'allontana dal Dio vero! 

Dire "abbà" invece è manifestare la propria appartenenza e dipendenza, è come dire: "So di chi sono, so di non essere solo, di non essere orfano, so di essere accolto, amato! So che qualcuno - Dio stesso - s'è fatto responsabile della mia vita; è Lui che le dà il significato e il valore. Io sono sicuro oggi e domani, qualunque cosa accada, perché ci sei Tu! Mi fido di te!" 

Prova, quando preghi, a ripetere anche tu "papà"!

E quando parli di Dio con qualcuno usa il termine 'Padre'.

E se preghi insieme a qualche amico, o insieme alla tua fidanzata, o insieme ai figli e alla moglie, dì a voce alta non solo "Signore, Dio...", ma anche "Padre" e "papà": t'accorgerai d'esser testimone di Dio, e avrai più umiltà e sicurezza, e potrà nascere un rapporto più semplice e più serio con le persone con cui stai pregando! 

"Papà", eccomi, sono tuo figlio. Ti ringrazio di essere mio padre, di essere tu il mio Dio. Manifestami le tue intenzioni e i tuoi modi di fare, perché voglio collaborare con te ai tuoi progetti!

Eccomi!

"Sono tranquillo e sereno

come bimbo svezzato in braccio a sua madre,

come un bimbo svezzato è l'anima mia." (3) 

 

1) Mt 11,25-27; Mc 14,36; Gv 11,41; 12,28; 17,1.5.11.21.24.25

2) Rom 8,15; Gal 4,6-7  3) Sal 131,2 

indice