26/10/2008 - 30ª Domenica del T.O.
- anno A
Iª lettura Es 2,20-26 dal Salmo 17 IIª lettura 1 Ts 1,5-10 Vangelo Mt 22,34-40
"Credo la Chiesa, una". È importante questa parola nella professione della nostra fede perché la Chiesa, con la sua unità, è e deve essere testimone dell'unità di Dio! Dio Padre, Figlio e Spirito Santo sono uno solo, un unico Dio, e così le varie comunità ecclesiali sono un unico ovile del Signore, un'unica famiglia, un unico corpo con molte membra che vive animato dal medesimo Spirito. L'unità è opera e dono di Dio, miracolo continuo, grazia che manifesta l'amore delle Persone divine. Quanto Gesù dice di quell'altra opera di Dio che è l'unità degli sposi nel matrimonio, vale anche per l'unità della Chiesa: "L'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto"! Le nostre idee, convinzioni, abitudini, i nostri sogni e progetti, nulla deve spezzare ciò che Dio ha voluto unire. Noi siamo figli dell'unico Dio, discepoli dell'unico Maestro, animati dal medesimo Spirito, dobbiamo testimoniare questa verità. Lo possiamo fare restando uniti anche a costo di soffrire persino ingiustizie, come ci esorta San Paolo. Egli dice che è una vergogna per i cristiani ricorrere ad avvocati e a giudici infedeli per portar avanti litigi tra di loro. "Perché non subire piuttosto l'ingiustizia? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene?" (1Cor 6,7). I cristiani pregano ogni giorno dicendo "Venga il tuo regno", perché desiderano che Dio regni, e poi invece vogliono regnare essi stessi! Diciamo al Padre "Sia fatta la tua volontà", e poi dividiamo ciò che egli ha congiunto! L'unità della Chiesa è un bene e un dono cui non possiamo rinunciare: possiamo rinunciare a tutte le ricchezze e a tutti i progetti, ma non a questo. Un unico motivo può giustificare la divisione, ed è quando un fratello o un gruppo di fratelli rinnegano la fede o si ribellano al vescovo: da loro ci distanziamo senza compassione. "Credo la Chiesa, una". È un grande e grave impegno che ci assumiamo pronunciando queste parole. Lo facciamo volentieri e con fede, perché sappiamo che il dono dell'unità è la più bella testimonianza che diamo al nostro Dio e il miracolo che egli adopera per convincere gli uomini a credere: "Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21).
Il comando dell'amore del prossimo è vecchio quanto l'uomo. Da quando Dio lo
ha creato gli ha dato la capacità di amare e il bisogno di essere amato. Tutti
gli uomini hanno tutt'e due le cose, che gli permettono di vivere in comunione
gli uni con gli altri. Chi vive in comunione con gli altri ha la gioia nel cuore
e la diffonde attorno a sè! Chi non esercita la sua capacità di amare e chi
non accetta di lasciarsi amare impedisce a se stesso di godere della comunione
con gli altri e cade nella tristezza e diffonde sofferenza attorno a sè. Purtroppo
l'egoismo e l'orgoglio si insediano facilmente nei cuori: per questo sentiamo
fatica ad amare e ad accettare l'amore, e spesso evitiamo questa fatica. Questo
è il peccato, che distrugge l'uomo, impedendo la sua felicità.
Dio vuole che l'uomo sia libero dal male, e per questo gli comanda l'amore verso
chi soffre la pesantezza del proprio o dell'altrui peccato. Ma Dio conosce pure
le nostre difficoltà. Egli stesso vuole perciò essere in noi in modo fedele
e stabile con la sua forza e la sua capacità di amare. Per poter dimorare in
noi ci chiede di amare lui, di rimanere in comunione con lui, e, per facilitarci
questa via, ecco che ci manda Gesù! Egli riversa su di noi un amore nuovo, libero
da ogni orgoglio e da ogni egoismo: ce lo fa vedere vivendo l'obbedienza al
Padre fino a morire e la compassione verso gli uomini fino a perdonare dalla
croce coloro che ve l'avevano messo.
Il vero amore a Dio e il vero amore del prossimo noi lo possiamo vedere vissuto
da Gesù. Quando egli ha risposto al dottore della legge non ha fatto che descrivere
l'amore che egli già viveva e avrebbe vissuto fino alla fine. Cercheremo di
tenere il nostro sguardo fisso su di lui, per poterlo vedere e imitare.
A questo ci sollecita anche San Paolo. L'apostolo propone anche se stesso, oltre
a Gesù, da imitare, perché egli, da quando è stato conquistato dal Signore,
è vissuto secondo i suoi insegnamenti senza badare a fatiche. E la vita di tutti
i cristiani diventa un modello, come appunto quella dei Tessalonicesi cui sta
scrivendo la lettera. Essi si sono convertiti e allontanati dagli idoli, abbandonando
quei modi di vita che gli idoli permettono e che sono un incitamento all'egoismo
in tutte le forme: disprezzo della vita altrui e della famiglia, impurità sessuale,
infedeltà coniugale, avarizia, violenza. Abbandonando le idolatrie i cristiani
servono il Dio vivo e vero, il Dio che ama ogni uomo, che ha compassione del
povero e dell'orfano, che difende la vedova, che si fa custode del forestiero.
Il cristiano, che vive come forestiero in questo mondo perché sa d'essere cittadino
dei cieli, guarda con simpatia anche i forestieri di questo mondo e desidera
far sentire loro la benevolenza del Padre. Il cristiano non si limita a dare
al forestiero qualche segno materiale dell'amore di Dio, ma desidera anche fargli
conoscere quel dono immenso di Dio che egli ha ricevuto, la conoscenza di Gesù,
"il suo Figlio che ci libera dall'ira ventura", che ci prepara l'ingresso
alla vita eterna!