02/12/2007 - 1ª Domenica T. A. -
anno A
Iª lettura Is 2,1-5 dal Salmo 121 IIª lettura Rm 13,11-14 Vangelo Mt 24,37-44
Spunti di catechesi: argomento per il nuovo anno liturgico: "Il Credo".
"Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?"
(Lc 18,8). Questa domanda di Gesù mi interpella fortemente. Forse Gesù prevedeva
un affievolirsi della fede? Lungo i secoli e nelle varie nazioni o regioni la
fede cristiana ha visto il proprio espandersi, ma anche il diminuire fino a
scomparire del tutto. Nella nostra nazione come sarà la fede negli anni prossimi?
Ci sarà sempre chi vive l'amore del Signore Gesù? L'unica risposta che possiamo
dare è un rinnovato impegno a fondare la nostra vita e tutte le nostre scelte
sulla fede che ci è stata donata, sulla fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio!
Quando io credo sto aiutando gli altri, quelli che stanno attorno a me, a rivedere
la propria vita alla luce delle parole del Signore. Se io opero scelte di fede,
chiare e decise, aiuto molti a fare altrettanto. Allora io voglio rispondere
così alla domanda di Gesù: "Sì, Signore, troverai la fede sulla terra!
Troverai la fede mia e quella che io avrò seminato: vieni, Signore Gesù!".
Il termine "fede" vuol concretizzare l'atteggiamento che realizziamo
credendo. Credere è il verbo della fede. Fede è "qualcosa" che si
ha, o che si vorrebbe avere, e credere è ciò che facciamo per esprimere la fede.
È significativo che Giovanni, nel suo vangelo, non usi mai il termine fede,
ma solo - e molto spesso - la parola "credere". Forse vuol farci capire
che non ci dobbiamo illudere di avere la fede una volta per sempre, perché essa
è un rapporto di fiducia con Dio che c'è soltanto mentre la si pratica. Quando
dico "Io credo" significa che io so di non essere solo, ma di vivere
in rapporto con Dio, di donare a lui la mia fiducia, e perciò di essere sereno
perché "portato in braccio" da lui. La fiducia è totale, e perciò
dire "io credo", significa anche che ritengo vero quanto Dio ci ha
rivelato di sè o quanto ha comunicato attraverso la sua Parola, il suo Figlio
Gesù Cristo.
"Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri".
Iniziare un Anno Liturgico è come iniziare la salita sul monte del Signore,
su quel monte dove si potrà incontrare Dio, quel Dio che si è già fatto presente
nella vita degli uomini. Egli infatti ha stabilito con loro delle alleanze per
farsi conoscere come Padre e amico, protettore ed educatore, come appunto a
Giacobbe. Noi ci mettiamo in cammino per incontrarlo e per accogliere i suoi
insegnamenti. Ci mettiamo in cammino su quei sentieri sui quali siamo sicuri
di trovarlo, cioè su quei sentieri che egli stesso ci indica con la parola dei
profeti e, in particolare, di Gesù! Siamo sicuri che i sentieri di Dio sono
i migliori, dove la nostra umanità si realizza pienamente, sia come persone
singole che come popolo. In questo cammino, che ogni anno ricominciamo, vivremo
le varie tappe dell'attesa, del riconoscimento, dell'ascolto, della identificazione
e dell'immersione nel suo amore per riceverlo e donarlo! Sono le tappe appunto
dell'Avvento, del Natale, della Quaresima e Pasqua, fino alla Pentecoste e al
resto del tempo che riceviamo in dono per realizzare la nostra missione. Vivremo
queste tappe in modo nuovo, arricchito dalle nuove esperienze che hanno segnato
la nostra vita.
Siamo stati posti da Dio nel mondo proprio per trasformare il mondo. Lo troviamo
sempre immerso in guerre e lotte che lo rendono luogo di paura, di sofferenza
e di morte. Non è questa l'intenzione che Dio ha avuto nel crearlo, e perciò
ecco il nostro compito di trasformare "le spade in vomeri, le lance in
falci", affinché la pace avvolga tutta la terra. Vogliamo fare la fatica
di percorrere le vie del Signore non per raggiungere una nostra quiete, ma per
immergere il mondo nell'amore del Padre e nell'ubbidienza del Figlio. Non ci
illudiamo di poter cambiare tutto il mondo nè in poco nè in molto tempo. Noi
stessi facciamo gran fatica a sostituire i nostri risentimenti con pensieri
di benevolenza, con desideri di benedizione e preghiere per la salvezza di chi
usa con noi la spada! Con il nostro amore a Dio e l'ubbidienza di fede saremo
di aiuto anche ad altri perché possano venir "presi" dalla medesima
luce e dal medesimo amore.
Gli uomini sono distratti dalle loro stesse occupazioni e dalle necessità materiali
e non pensano che un giorno lasceranno questo mondo. Tale dimenticanza li rende
superficiali e deboli, e, peggio ancora, incapaci di discernere i tempi, come
quell'uomo di novant'anni che ieri mi raccontava il suo odio per una persona
che l'aveva defraudato di un metro di terra. Non si accorgeva che quell'odio
gli impediva di godere i metri che gli sono rimasti e, soprattutto, di raggiungere
la beatitudine dei servi di Dio quando lascerà tutto!
San Paolo perciò ci raccomanda di svegliarci dal sonno: è un sonno l'incapacità
di vedere cose e fatti, belli e incresciosi, nella luce di Dio e del cammino
che ci dovrebbe portare a lui. L'apostolo ci esorta perciò a comportarci in
modo da essere trovati "non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra
impurità e licenze, non in contese e gelosie"! È Gesù il vero vestito dentro
cui porre tutta la nostra vita: la sua parola e il suo amore è vita più sicura
dei piaceri che il mondo ci vuol far vedere come legittimi o come un nostro
diritto. Questi creano contese e lotte, la Parola del Signore invece armonia,
ordine e comunione fraterna.