22/10/2006 - XXIXª Domenica del T.O.
- anno B
Prima lettura Isaia 53,2-3.10-11 dal Salmo 32/33
Seconda lettura Ebrei 4,14-16 Vangelo Marco 10,35-45
Giornata missionaria mondiale
Menzogna veramente grave è giurare il falso. Chi poi lo facesse
in tribunale, in particolare se viene danneggiato o condannato qualche innocente,
commette peccato gravissimo. Giurare ha il significato di chiamare Dio a testimone
di quanto si afferma o si nega. Nessun giuramento fa onore all'uomo: è segno
che egli stesso ammette di non esser degno di fiducia. Gesù ci insegna: "Non
giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco
o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più
viene dal maligno" (Mt 5,36-37).
Gesù non ha avuto il tempo di rispondere a Pilato che gli chiese: "Che
cos'è la verità?". Ai discepoli però lo aveva già detto: "Io sono
la verità"! Quel Dio che nessuno ha mai visto nè può vedere, Gesù ce lo
fa conoscere: vedendo lui conosciamo il Padre! Conoscere il Padre significa
anche sapere con quale amore dobbiamo guardare gli uomini, e significa leggere
tutto il tempo come compimento della risurrezione di Gesù e tutti gli eventi
come preparazione del nostro ingresso nell'eternità! Gesù è la verità: infatti
egli è la rivelazione dell'amore nascosto di Dio, nascosto in ogni avvenimento
e in ogni uomo. La verità la possiamo conoscere solo con lo sguardo compiaciuto
con cui Dio guarda il Figlio suo e la possiamo comunicare solo attraverso quel
suo amore che passa per la croce, come dice San Paolo: "Vivendo secondo
la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che
è il capo, Cristo" (Ef 4,15)! "Non pronunciare falsa testimonianza"
impegna quindi a dire e fare ciò che possa manifestare la misericordia e la
fedeltà della paternità di Dio presente in Gesù. Non ci preoccupiamo perciò
di rendere pubblico sempre tutto quello che sappiamo, ma quanto favorisce l'amore,
e di dirlo nel modo che esprima carità, comprensione, benedizione. Questo dev'essere
tenuto presente sia in famiglia, sia nella società, nell'esercizio di professioni
che impegnano al segreto professionale, ma anche utilizzando i mass-media. Coloro
che scrivono su giornali, rotocalchi e internet o che parlano a radio e televisione
devono svolgere la loro attività come servizio alla unione e alla reciproca
comprensione di tutte le persone di ogni categoria. Le menzogne in questo ambito
sono grave offesa all'uomo e a Dio, ma lo sono anche il divulgare notizie vere
che possano creare divisioni e lotte o favorire mentalità e sensibilità superficiali,
frivole, se non addirittura turpi. Un sano equilibrio è difficile! Gli operatori
dei mass-media devono pregare molto per potersi mantenere nello Spirito Santo
e ricevere da lui sapienza e luce.
"Accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia, per
ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno".
Così la lettera agli Ebrei ci incoraggia e ci esorta ad aver confidenza in Dio:
egli non è indifferente alla nostra situazione di peccatori sofferenti, anzi,
ha vissuto la nostra vita con tutte le prove di cui è costellata, e in tal modo
ha dimostrato la sua solidarietà verso di noi.
La sofferenza di Gesù non è dimostrazione di debolezza, ma occasione con cui
egli si guadagna la nostra simpatia, anzi la nostra piena fiducia. Noi soffriamo
a causa del nostro peccato, e Gesù, anche se non aveva peccato, si è addossato
il peso della nostra iniquità: per questo la maggior parte del castigo meritato
da noi è finito sulle sue spalle. Ecco perché noi ora lo guardiamo con attenzione
e con sentimento di amicizia. La sua sofferenza non ci scandalizza, non ci allontana
da lui, anzi ci attira ad amarlo.
Egli sapeva dalle Scritture che avrebbe dovuto offrirsi a morire in sacrificio
per realizzare la volontà del Padre di salvare gli uomini. Quando i due figli
di Zebedeo gli hanno presentato il loro desiderio, Gesù ha capito immediatamente
che essi avevano dimenticato il vero ruolo del Messia, o non lo avevano mai
compreso. Essi pensavano che sedere a fianco del Signore significasse avere
un posto di onore e di comando, come l'avevano coloro che sedevano a fianco
di Erode. Comprendevano il regno di Dio allo stesso modo dei regni terreni.
A Gesù non dispiace il loro desiderio di essere vicini a lui, ma gli dispiace
che pensino che stare con lui significhi accontentare ambizioni e sogni di gloria
umana. Così pensavano tutti gli apostoli, e così spesso pensiamo anche noi.
La risposta che il Signore offre ai Dodici è un dono grande. Non è volontà di
Dio che noi imitiamo o invidiamo i capi delle nazioni: essi fanno i loro interessi,
a loro piace comandare e arricchire. Noi invece, volendo essere figli di Dio,
desidereremo la sua grandezza. Dio è grande perché ama, perché si occupa dei
piccoli e dei deboli, perché vuole che tutti siamo fratelli. Saremo grandi quando
la nostra vita diventa dono, quando serviamo il vero bene di chi soffre e di
chi cerca la vita eterna! Imiteremo il Figlio di Dio: egli ha evitato i posti
di comando e si è offerto per liberare tutti dal castigo del loro peccato. Noi,
membri della sua Chiesa, continuiamo a offrire la nostra vita per la salvezza
di tutti: partecipiamo così alla sua missione, quella di far vedere e far godere
l'amore del Padre ad ogni uomo, soprattutto a coloro che ancora non sanno di
essere amati da lui!