18/01/2009 - 2ª Domenica del Tempo
Ordinario - B
Iª lettura 1Sam 3,3-10.19 dal Salmo 39 IIª lettura 1 Cor 6,13-15.17-20 Vangelo
Gv 1,35-42
Primo giorno dell'ottavario di preghiera per l'Unità dei Cristiani
I cristiani che vogliono pregare imparano da Gesù. I suoi discepoli, vedendo come egli pregava, si sono accorti di non esserne capaci, nonostante l'avessero sempre fatto nella sinagoga e nelle liturgie familiari ebraiche. Vedendo Gesù pregare si sono resi conto che il suo modo di rapportarsi con Dio era diverso dal loro, e perciò essi avrebbero dovuto imparare. Gli chiedono perciò: "Signore, insegnaci a pregare!". Qual era la novità che avevano visto e percepito? In che cosa si distingueva la preghiera di Gesù da qualsiasi altra preghiera? Qual era la caratteristica della preghiera di Gesù, per cui la parola usata dai pagani per indicare il rapporto con la divinità non poteva andar bene per descrivere il suo pregare? Gesù, pregando, non pensa a se stesso: egli pensa soltanto al Padre, ai suoi desideri, alla sua volontà, al suo amore misericordioso per tutti i popoli e per ogni singolo uomo. Gesù, pregando, è tutto proteso ad unirsi al Padre, per assumere i suoi modi di guardare il mondo, per diventare un sol cuore con lui, per lasciarsi riempire da ciò che da lui procede come dono d'amore. Quando prega, Gesù non pensa alle proprie necessità materiali, ai propri presunti bisogni, e nemmeno a quelli degli altri. Egli sa che a Dio non sfugge nulla, e che se noi facciamo la sua volontà egli fa volgere tutto al bene. Egli sa che è il peccato dell'uomo che genera sofferenze e disordini, malesseri e malattie, e perciò concepisce la preghiera come strumento per conformarsi in tutto alla volontà del Padre, una volontà che può essere solo amore. Questa caratteristica della preghiera deve comparire anche nel termine che viene usato: nella lingua greca i cristiani coniano perciò una nuova parola, composta da quella usata dai pagani, ma accresciuta di una particella, che lascia intendere che la loro preghiera non è un guardare a se stessi, bensì un protendersi verso Dio con tutto l'amore e il desiderio di cui siamo capaci! Nella lingua italiana e nelle altre lingue occidentali, eredi di termini latini, non abbiamo una parola con questa sfumatura importante: i cristiani latini non hanno sentito il bisogno di una parola nuova, come i greci, e dobbiamo perciò accontentarci di usare lo stesso termine usato dai pagani. Dobbiamo essere consapevoli però che corriamo il rischio di intendere la preghiera e il pregare soltanto come richiesta di favori e benefici, di esaudimento dei nostri desideri.
Oggi ascoltiamo la chiamata di Samuele e la sua pronta disponibilità a rispondere.
La sua generosità è quasi una profezia della prontezza con cui si sono messi
al seguito di Gesù due dei discepoli di Giovanni Battista. Essi hanno udito
dal loro maestro: "Ecco l'agnello di Dio"; hanno così compreso che
Gesù era il Messia promesso. Egli è l'agnello che Dio ha dato ad Abramo da sacrificare
al posto del figlio Isacco, l'agnello il cui sangue ha protetto il popolo dallo
sterminatore in Egitto, l'agnello caricato ogni anno dei peccati del popolo
e cacciato a morire nel deserto, l'agnello che con la sua carne nutriva ogni
famiglia che celebrava l'alleanza con Dio nella Pasqua! I due discepoli seguono
perciò Gesù, non per ottenere qualcosa, ma per stare con lui, per servirlo e
per imparare da lui a vivere secondo il disegno del Padre. Samuele, pronto ad
alzarsi nella notte in obbedienza alla voce di Dio e pronto ad obbedire al comando
del sacerdote Eli che lo rimandava sul suo giaciglio, rimane esempio per coloro
che seguono Gesù. Essi rimangono con lui, e cominciano ad attirare a lui coloro
che amano. L'amore più bello è proprio aiutare a conoscere Gesù. Andrea, uno
dei due discepoli, accompagna suo fratello da Gesù, e questi viene chiamato
dal Signore! A lui Gesù dà un nome nuovo, ad indicare che da quel momento la
sua vita è nuova, è cambiata, è tutta da scoprire! Simone sarà chiamato Pietro,
non più quindi con il nome del pescatore, ma con il nome del discepolo che trova
vita, stabilità e sicurezza in Gesù.
La vita con Gesù è davvero nuova: San Paolo si sente in obbligo di prendere
per mano i Corinzi come fossero bambini, per istruirli, perché considerino la
propria vita nella nuova luce che viene dall'appartenere al Signore. Chi appartiene
a Gesù è diventato tempio dello Spirito Santo. Questa è una verità bella e consolante,
ma davvero concreta, dalla quale scaturisce un nuovo modo di vivere. Chi fosse
abituato a seguire i propri istinti, in particolare quelli sessuali, non deve
sentirsi giustificato nemmeno dalla loro virulenza nè dal comportamento generale:
se sei di Gesù, anche il tuo corpo appartiene a lui ed è lui che lo deve poter
usare per il suo regno. Se adoperi il tuo corpo per soddisfare le tue passioni,
fai torto a Gesù, che ti ha acquistato con la sua morte perché tu sia una delle
sue membra, per la gloria di Dio! "State lontani dall'impurità", dice
l'apostolo, che viveva in un mondo dove l'impurità sessuale non solo era di
moda, ma addirittura consacrata, tanto da essere praticata accanto ai templi
delle divinità. Attraverso il nostro corpo deve risplendere la purezza della
luce di Dio e la novità della risurrezione di Gesù. Non possiamo fare quello
che fanno tutti, accontentare le nostre voglie e il nostro piacere: saremmo
complici di gravi scandali: gli sposi non sarebbero aiutati alla fedeltà reciproca,
ma assecondati ad allontanarsi l'uno dall'altro, incapaci di portare la croce
di qualche loro eventuale crisi.
Il nostro sì a Gesù deve essere completo, sia per la nostra vita personale che
per la vita della Chiesa: essa è il Corpo di Cristo, e nessun membro deve fare
qualcosa che non sia voluto dal Capo. Preghiamo in questi giorni perché ogni
cristiano risponda alla chiamata di seguire sempre e solo Gesù. Preghiamo, perché
si ravveda chi dà ascolto ai propri ragionamenti anziché allo Spirito di unità
che Dio ci ha dato!