15/02/2009 - 6ª Domenica del Tempo
Ordinario - B
Iª lettura Lv 13,1-2.45-46 dal Salmo 31 IIª lettura 1Cor 10,31 - 11,1 Vangelo
Mc 1,40-45
Gesù introduce il suo insegnamento riguardo alla preghiera dicendo: "Quando pregate, dite". Ci soffermiamo su quel "quando". Quand'è che i discepoli di Gesù pregano, quando devono pregare? Ci sono dei tempi speciali per la preghiera? C'è un numero di volte al mese o alla settimana o al giorno in cui è necessario pregare? Sembra che Gesù lasci tutto nel vago, o meglio, che lasci ogni decisione a loro. Certo, se il pregare è amare Dio e desiderare di essere trasformati in lui, la risposta a questi interrogativi dipende dall'amore, dal tipo di amore e dalla quantità di amore che gli riserviamo. Ma Gesù aveva speso qualche parola per dire ai suoi la "necessità di pregare sempre senza stancarsi" e anche per raccomandare "pregate e vegliate in ogni momento" (Lc 21,36). Che significa pregare sempre, e in ogni momento? Bisogna ripetere continuamente delle parole? Bisogna tenere la mente occupata costantemente con Dio? Non si può fare null'altro? Ormai comprendiamo che, se pregare significa essere protesi verso il Padre per essere accolti nel suo essere amore, ciò può avvenire anche durante le occupazioni della giornata, quando la nostra mente è occupata da lavori, impegni, conversazioni. Pregare sempre è avere sempre vivo il desiderio di essere un tutt'uno con Dio per fare la sua volontà, per realizzare i suoi sogni, per contribuire al suo lavoro di rappacificazione e di amore. Se questo desiderio è sempre vivo, non appena la nostra mente si libera dalle occupazioni corre col pensiero a lui, anzi, le occupazioni stesse le svolge in modo da manifestare e realizzare già i suoi desideri e la sua volontà. In tal modo quando parliamo con qualcuno restiamo umili e miti, veri e seri, gioiosi e fiduciosi; quando lavoriamo siamo pazienti e calmi, svelti e sereni, responsabili e attenti; quando mangiamo siamo riconoscenti e sobri, attenti più a chi ci sta vicino che al piatto o al bicchiere; quando viaggiamo non facciamo nostra compagna di viaggio la fretta o la sbadataggine, nè la disubbidienza al codice della strada. Così il nostro Dio riceve buona testimonianza, proprio perché siamo desiderosi d'essere uniti a lui. Il nostro pregare pervade la vita! E non appena possiamo ci soffermiamo a dialogare con lui, ad ascoltarlo, interrogarlo, a rispondere alle sue domande e richieste.
"Beato l'uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato". Sono
le parole del salmo tra le letture. È bello che la Parola di Dio non dica "beato
l'uomo che non ha peccato", ma l'uomo a cui è tolta la colpa. Il Signore
sa che noi siamo tutti peccatori, che stiamo camminando sulla strada su cui
ci ha lasciati Adamo, una strada segnata dalla superbia che ci fa disobbedire
a Dio. Siamo peccatori e, purtroppo, il nostro peccato porta frutto nella nostra
vita. Il frutto del peccato è male, malattia e morte. Ogni segno di male è testimonianza
che il peccato è entrato nel mondo. Così anche la malattia: quando essa ci colpisce
non andiamo ovviamente in cerca del colpevole, come fanno gli stregoni e gli
sciamani. Noi sappiamo che il peccato è entrato nel mondo per invidia del diavolo
e che è lui il colpevole. I peccatori non sono peccatori più di noi, e non ha
quindi senso incolpare qualcuno per una qualsiasi malattia. Quando incontriamo
un ammalato, o quando noi stessi ci ammaliamo, facciamo come Gesù: cerchiamo
la fede in noi e nel nostro fratello. È la fede, il ritorno al Padre con fiducia
e amore, che rende l'uomo vero uomo, pieno di quella pace e di quella misericordia
che lo fa essere un dono per chiunque lo avvicini. È la fede che trasforma anche
la malattia in occasione di offerta di sè, di amore, di benedizione a Dio, ed
è la fede anche la radice dell'eventuale guarigione del corpo, il clima interiore
che favorisce il risanamento del nostro corpo.
Incontrando il lebbroso, Gesù si muove a compassione, proprio perché quell'uomo
lo supplica di essere purificato dal suo peccato per poter guarire dalla malattia.
La malattia che allontana da sè gli uomini, che rompe la comunione e la pace,
che ostacola il dialogo e la condivisione, è solo segno che il peccato è diventato
operante e il suo frutto terribile devasta la vita degli uomini. Gesù purifica
dal peccato la vita dell'uomo, che torna così ad offrire il sacrificio e a vivere
la fraternità, ricuperata col tornare ad essere figlio del Padre.
San Paolo ci dona una semplice ed efficace ricetta perché la nostra vita sia
sempre nella fede e noi guariamo dalle conseguenze del peccato del mondo. Tutto
quello che fate, anche le piccole cose, anche quelle normali, come mangiare
e bere, tutto fatelo per la gloria di Dio. Qualunque cosa si faccia, non dobbiamo
impedire e nemmeno distrarre nessuno dall'andare a Gesù, dal correre verso il
Padre, dal nutrire fiducia in lui. Ogni nostra occupazione e azione deve orientare
a Gesù! L'apostolo si offre a noi come esempio di vita, e così noi dobbiamo
fare in modo da essere esempio di fede per i nostri fratelli. Abbiamo contribuito
tanto al loro peccato e al peccato diffuso nel mondo, vogliamo ora contribuire
al suo risanamento. Ogni nostro respiro sarà un grazie al Padre, ogni nostra
azione una lode a Gesù, ogni nostro incontro una possibilità data allo Spirito
Santo per trasformare la terra!