04/04/2004 - Domenica delle Palme
- Anno C * Luca 19,28-40
Prima lettura Isaia 50,4-7 - dal Salmo
22
Seconda lettura Filippesi 2,6-11 - Vangelo Luca 22,14 - 23,56
La celebrazione odierna inizia con un rito gioioso e significativo: vorrebbe
farci rivivere la gioia che ebbero i discepoli di Gesù, quando egli arrivò nei
pressi di Gerusalemme! Avvicinandosi alla città santa tutti i pellegrini esultavano
cantando i Salmi detti 'graduali'. In questa occasione la gioia è molto più
grande perché il Re stesso arriva alla città: "Benedetto colui che viene,
il Re, nel nome del Signore"! Gesù permette ai suoi di chiamarlo così,
e li lascia gioire, pur sapendo che non comprendono appieno la sua regalità.
Essa tuttavia è vera, è la più vera. In lui si realizza pienamente il significato
del termine "re", come rappresentante dell'autorità di Dio per il
popolo. Per aiutarli però a non farsi false illusioni, ecco che manda a prendere
un puledro d'asina: così tutti possono ricordare la profezia di Zaccaria, che
annuncia il Re mite ed umile, re che non viene ad imporsi, ma ad offrirsi.
I farisei, che non accettano le espressioni gioiose dei discepoli, col loro
rifiuto profetizzano tutto il resto. Il loro rifiuto anticipa quello che Gesù
riceverà nella città. Noi comprenderemo anche le altre profezie che presentano
il Servo di Dio non come uno che riceve gloria dagli uomini, ma la persecuzione
e il rifiuto. Già alla prima lettura della Messa infatti sembra finita tutta
la gioia della processione che ci ha introdotto in chiesa.
Ecco che Isaia ci parla di uno che obbedisce a Dio in mezzo a torture impressionanti:
è il Servo di Dio, colui che deve portare tra di noi la gloria di Dio! Questa
lettura potrebbe darci un senso di smarrimento, come pure il canto del salmo.
Come mai l'uomo, scelto per rappresentarci Dio, soffre così, e soffre a causa
degli uomini che egli vuole amare? Come mai gli uomini riversano sull'uomo di
Dio tanto odio e tanta brutalità?
San Paolo ci aiuta a leggere diversamente i fatti: è lo stesso Gesù, Figlio
di Dio, che vuole mettersi vicino a noi. Per poterlo fare egli non trova altro
modo che porsi al di sotto di noi, entrando in quella sofferenza e in quella
morte che tengono noi schiavi della paura. Ciò gli costa umiliazione, l'umiliazione
della croce, terribile supplizio per chi lo subisce, manifestazione di diabolica
cattiveria di chi lo decreta. Dio Padre non impedisce al Figlio di avere un
amore tanto solidale verso l'umanità che soffre. Egli lo premia, esaltandolo.
L'esaltazione da parte del Padre viene poi assecondata da tutti i suoi figli:
chi conosce Dio e lo ama, piega il ginocchio davanti a Gesù, lo riconosce Signore
della propria vita e testimone dell'amore del Padre stesso.
Con questa chiave di lettura ci accostiamo ad ascoltare il racconto della Passione
del Signore, che i discepoli fedeli hanno vissuto e meditato a lungo per comprenderne
l'amore sconfinato. Il racconto inizia con la confidenza di Gesù ai discepoli
riguardo alla cena pasquale, tanto attesa.
Egli sa che essa è l'ultimo momento in cui può parlare con loro, e diventa il
momento più importante della loro vita. Tutta la Chiesa vivrà fondata su questo
momento, che darà anche luce per comprendere e accettare le terribili ore seguenti,
che vedranno Gesù bagnato di sangue nell'orto degli ulivi, consegnato da un
suo discepolo alle autorità religiose, calunniato e accusato da queste, condannato
da quelle civili, morente tra atroci dolori, aggravati dal disprezzo generale.
Il Signore prende in mano il pane azzimo, quello della festa per la libertà
del popolo dalla schiavitù. Egli sa che gli uomini debbono temere un'altra schiavitù,
ben più infelice e più nascosta. Chi li può liberare da essa? Egli lo farà,
offrendosi a passare in quella morte che li tiene prigionieri della paura e
quindi li rende egoisti: con il suo amore vincerà il potere della morte!
Il pane che ora sta per spezzare continuerà ad essere spezzato dalle mani dei
discepoli nei secoli futuri, e porterà dentro la vita degli uomini lo stesso
amore che a lui fa ora attendere la croce. Il calice, che nel rito pasquale
rende gioiosi per l'alleanza di Dio con il popolo d'Israele, ora diventa il
calice di una nuova Alleanza che sta per avvenire: il sangue di Gesù sarà versato
come sacrificio degno di Dio per i nostri peccati. Potendolo bere e divenendo
così un tutt'uno con il Figlio, veniamo assicurati dell'amore del Padre, che
ci ama come veri figli.
Mangiando il pane e bevendo il vino ci offriamo pure ad essere noi stessi corpo
e sangue del Figlio di Dio, a portare cioè anche noi l'amore del Padre nel mondo
in cui ci troviamo. Mangiando e bevendo il corpo e il sangue di Cristo Gesù
veniamo divinizzati e anche nutriti in modo che la vita nuova, iniziata nel
battesimo, continui a crescere e si manifesti agli altri uomini che attendono
la novità di un amore santo, misericordioso ed eterno!