25/02/2007 - 1ª Domenica del T.Q. - anno C
Iª lettura Dt 26, 4-10 dal Salmo 90 IIª lettura Rm 10, 8-13 Vangelo Lc 4, 1-13
Alla santità siamo chiamati tutti, qualunque strada intraprendiamo nella vita. Come abbiamo già visto essa è il vivere in comunione con il Signore Gesù e con la sua Chiesa. In comunione con lui deve vivere ogni cristiano per rimanere sulla strada che ci porta al Padre. Ogni cristiano perciò fa le sue scelte, soprattutto quelle importanti che operano una svolta nella vita, in unità con i fratelli di fede e con la benedizione del Signore, che riceve tramite la preghiera di tutta la comunità e tramite la Parola del ministro di Dio. Mi riferisco alla scelta dei cristiani di iniziare quella convivenza che chiamiamo "famiglia". Due cristiani, uomo e donna, non cominciano nemmeno a vivere insieme se non sono sicuri che questa è la volontà di Dio, e se da lui non ricevono benedizione. Essi perciò mettono sì alla prova i propri sentimenti e la propria capacità di amare, ma non si accontentano di questo, perché sanno di non potersi fidare del tutto di se stessi soltanto. Essi chiedono aiuto anche alla comunità. Ascoltano il consiglio di chi ha esperienza e lungimiranza, e chiedono di essere accompagnati da un padre spirituale. Desiderano comprendere i significati spirituali dell'amore coniugale, il ruolo della famiglia nel disegno di salvezza per tutto il popolo, le condizioni necessarie per essere come coniugi un segno di Dio. Vogliono inoltre godere degli strumenti necessari per maturare, perseverare e crescere nell'amore e per trasmetterlo ai propri figli. Per questi fedeli ecco il Sacramento del Matrimonio. In esso Dio benedice e consacra il loro amore, lo assume come proprio, e trasforma l'impegno dei due cristiani in una missione che egli stesso affida loro: amatevi l'un l'altro fino alla fine, amatevi per rivelare col vostro amore come Cristo ama la Chiesa e come la Chiesa è obbediente al suo Signore! Con questa Parola e benedizione gli sposi avranno pace, e, se continueranno a condividere la preghiera e la fede, cresceranno nell'amore reciproco e avranno luce e serenità nei compiti nuovi, gioiosi e difficili che li attendono.
"Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato": sono parole
con cui l'apostolo Paolo tiene desta la nostra speranza e custodisce la nostra
serenità. Che significa "invocare il nome del Signore"? Questo significa
non porre le nostre attese negli uomini nè nelle cose di questo mondo, nella
compagnia di persone rinomate, nella nostra bravura, nemmeno nella competenza
dei nostri consulenti. Invocare il nome del Signore significa avere lui solo
come garante del nostro futuro e delle nostre attese più profonde! Prima di
questo San Paolo scriveva che "Con il cuore si crede per ottenere la giustizia
e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza". La
salvezza è dono e grazia: che sia dono non significa che sia automatica. La
salvezza non è 'per tutti', ma per tutti quelli che credono e che manifestano
la loro fede! Il credere avviene nel cuore, dove si dà fiducia al Padre, che
conosciamo grazie a Gesù. Chi crede, chi dà piena fiducia a Gesù per affidare
la propria vita al Padre, ottiene "la giustizia", viene a trovarsi
cioè nel posto giusto, al posto di figlio per Dio Padre. Chi tiene nascosta
la fede nel cuore è sì giusto, ma non è al sicuro dalle tentazioni del mondo,
dalle debolezze della sua umanità, dalle seduzioni del nemico. L'apostolo perciò
ci propone un passo ulteriore. Per godere la salvezza è necessario far conoscere
la nostra posizione, senza vergognarci del nostro Salvatore: "con la bocca
si fa la professione di fede per avere la salvezza". Quando diciamo la
nostra fede in pubblico noi stessi siamo più forti, più difesi dalle tentazioni,
e inoltre mettiamo Gesù nelle condizioni di non vergognarsi di noi, ma di testimoniare
per noi davanti al Padre, com'egli stesso ha detto: "lo riconoscerò davanti
al Padre mio che è nei cieli"! La salvezza infatti ha un doppio sviluppo:
nei cieli e sulla terra!
Di salvezza dalla tentazione parla oggi il vangelo: Gesù con prontezza e chiarezza
fa riferimento alla Parola di Dio, e così il tentatore si allontana da lui.
Il tentatore non resiste all'umiltà di Gesù, umiltà manifestata con l'obbedienza
al Padre attraverso l'adesione risoluta alla Parola. Quella Parola era stata
scritta da uomini certamente meno importanti di lui, il Figlio di Dio, ma lui
vi aderisce senza gelosia o superiorità. Nel racconto delle tentazioni questo
colpisce: Gesù è umile! Le parole del tentatore invece lasciano trapelare l'orgoglio
tipico di tutto ciò che viene da Satana, orgoglio che porta alla ribellione,
mascherata dal "fai da te". "Se sei figlio di Dio, decidi tu…".
Gesù invece sembra rispondere: se sono figlio, lascio decidere al Padre, mi
fido di lui! Egli continua e perfeziona la strada percorsa da Abramo, strada
di pellegrino in questo mondo, straniero che si affida alla protezione sicura
di Dio, di quel Dio che mantiene le sue promesse al di là di ogni possibile
delusione e difficoltà.
Noi invocheremo il nome del Signore Gesù, e il tentatore si allontanerà da noi!
Manifestiamo la nostra fede in lui, e cominceremo a gustare la salvezza!