11/03/2007 - 3ª Domenica del T.Q. - anno C
Iª lettura Es 3, 1-8. 13-15 dal Salmo 102 IIª lettura 1 Cor 10, 1-6. 10-12 Vangelo Lc 13, 1-9
Perché comportarci onestamente, con fatica e talora ricevendo ingratitudine? Noi vogliamo, con il nostro comportamento, rivelare Dio ai nostri fratelli! Per esprimermi con correttezza: il nostro comportamento non deve ostacolare il Padre a rivelare se stesso! Tenendo vivo questo scopo cerchiamo di vedere quale potrebbe essere il fondamento su cui impostare il nostro impegno per una vita onesta, giusta e irreprensibile. Moltissimi passi delle Sacre Scritture ci ripetono in maniera martellante: "Principio della saggezza è il timore del Signore" (Sal 111,10)! "Fondamento della sapienza è il timore di Dio" (Prov 1,7). "Principio della sapienza è temere il Signore" (Sap 1,12). "Purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio" (2Cor 7,1). Il timore di Dio non deve mai mancare. Da esso viene saggezza, sapienza, forza per una vita che sa andare contro corrente. Timore di Dio non significa aver paura di lui, ma nutrire per lui un amore tanto forte da non volerlo assolutamente offendere, e nemmeno disattendere i suoi benché minimi desideri. Il timore di Dio è dono dello Spirito Santo, e viene coltivato costantemente dalla nostra umiltà e compunzione. La compunzione è uno dei primi segni dell'umiltà, e viene dalla consapevolezza di essere peccatori, di essere sempre debitori verso Dio, anche se la coscienza non avesse nulla di grave da rimproverarci. Il timore del Signore ci avvia all'umiltà. Anche san Benedetto assegna al timore del Signore il primo gradino della scala dell'umiltà. Questo grande santo ha provato a disegnare questa scala, e l'ha dotata di ben dodici gradini! Li possiamo raggiungere e percorrere tutti partendo dal timore del Signore.
Le notizie di cronaca nera non hanno spaventato Gesù. Egli sa che nel mondo
succedono molti fatti che fanno soffrire, molti fatti che ci spaventano e pongono
interrogativi al nostro cuore. Spesso la paura della morte e il nostro peccato
ci fanno sorgere domande cui rispondiamo giudicando gli uomini o Dio stesso.
Perché quella disgrazia? È un castigo? Se l'è meritata? Come mai Dio è tanto
ingiusto da permettere che soffrano dei bambini senza colpa? Perché Dio non
ferma la mano dei delinquenti e dei violenti? Domande e risposte che alimentano
nuovi interrogativi, osservazioni che non rappacificano l'uomo. Pilato ha fatto
uccidere degli uomini mentre offrivano i loro sacrifici: chissà per quali delitti
Dio li ha puniti, se ha permesso che muoiano in quel modo! Essi erano Galilei,
eretici! Gesù ripete la domanda per quelli che erano rimasti sotto il crollo
di una torre, e non erano eretici, erano Giudei! Questi interrogativi vengono
perché noi siamo abituati a guardare al passato, l'unica realtà che presumiamo
di conoscere. Dio conosce anche ciò che a noi è nascosto, persino il futuro:
Gesù lo sa, e perciò si limita a dare una risposta che tenga conto di ciò che
dovrà accadere a noi. Gli altri non li possiamo giudicare, dobbiamo solo fare
in modo da non meritare il giudizio che noi siamo pronti a formulare contro
di loro.
"Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". Per noi stessi,
se continuiamo a vivere così come siamo abituati, come ci piace, seguendo i
nostri impulsi, la morte sarà una disgrazia, un castigo. La morte di quelli
che sono stati uccisi e di quelli che sono stati sepolti sotto le macerie è
un avvertimento per noi. Non giudichiamo la loro vita, ma stiamo attenti alla
nostra. "Se non vi convertite…": noi abbiamo la possibilità di un
cambiamento, possiamo aderire a lui, a Gesù, e allora tutto cambia: la vita,
compreso il momento della morte, avrà un nuovo traguardo, un nuovo significato.
Accogliendo Gesù la nostra vita porterà frutto, darà gioia a Dio, sarà collaborazione
al suo disegno di salvezza per gli uomini che opprimono e per quelli che sono
oppressi.
La chiamata di Mosè attraverso la voce che arrivava dal roveto ardente ci lascia
vedere lo scopo della venuta e della presenza di Gesù: come Mosè doveva liberare
il popolo dalla sofferenza della schiavitù, così Gesù deve liberarci tutti dalla
sofferenza e dall'oppressione del peccato che travolge l'umanità. Come Mosè
aveva bisogno di collaboratori, così Gesù. Noi perciò ci disponiamo non solo
ad accogliere la salvezza, la gioia, la vita nuova, ma ci mettiamo pure a disposizione
del Signore. Ci disponiamo a rispondere alle sue chiamate tenendo conto che
è lui che conosce il nostro bene, che vuole la nostra beatitudine, che ci dona
pienezza di vita facendoci partecipi del suo amore e del suo amare.
Tutto ciò che Dio ha operato nella storia del suo popolo ha il significato di
rivelare a noi chi è Gesù. In tal modo dobbiamo leggere gli avvenimenti del
passato: la nube, il mare, la manna, la roccia da cui scaturì l'acqua sono segni
comprensibili solo alla luce della vita del Signore morto e risorto. Noi siamo
sempre deboli e bisognosi di lui: gli stiamo perciò uniti, altrimenti cadiamo
nel vuoto. "Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere", ci
esorta l'apostolo. Staremo in piedi, cioè vivi nella fede, e la nostra fede
sarà fonte di vita e di gioia per molti: coloro che cercano la propria soddisfazione
tra le foglie di molte cose inutili, troveranno il nutrimento dolce, il frutto,
che la nostra adesione a Gesù produce!