18/04/2010 - 3ª DOMENICA DI PASQUA - C
Iª lettura At 5,27-32.40-41 dal Salmo 29 IIª lettura Ap 5,11-14 Vangelo Gv 21,1-19
"Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura". Gesù parla ancora come fosse già risorto e già nella gloria che ha chiesto al Padre. Ora egli riassume con poche parole tutto il suo operato dei tre anni trascorsi con i discepoli. Che cos'ha fatto Gesù? Qual era il suo obiettivo di ogni momento? Aveva già detto: "Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo", e ora dice: "Io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi". Ha fatto conoscere il nome del Padre ai discepoli, ma è ancora più forte dire "io conservavo nel tuo nome": conservare nel nome è un'espressione cui non siamo abituati. Con essa Gesù intendeva esprimere tutto il suo amore per i discepoli: egli li voleva attirare a sè soltanto per affidarli al Padre, anzi, perché fossero trasformati dall'amore del Padre. L'impegno di Gesù per loro è far sì che essi siano costantemente figli di Dio, cioè aperti a lui, obbedienti a lui, protesi verso di lui come egli stesso era consapevolmente e volutamente figlio. Essere "nel nome del Padre" è il contrario dell'atteggiamento di Adamo, che si era posto di fronte a Dio come rivale. Gesù, che è venuto come Figlio e ha incarnato l'amore del Figlio, incomincia finalmente il modo vero di rapportarsi con Dio Padre. Egli lo incomincia e noi lo continuiamo. Viviamo con Dio come figli, senza mettere davanti a lui una nostra volontà per la nostra vita, desiderando invece che essa serva a realizzare i santi ed eterni disegni dell'amore di Dio. Prima di prestare attenzione alle nostre aspirazioni e di formulare progetti, dovremmo metterci in ascolto del nostro Padre che è nei cieli. Questo atteggiamento non è facile: lo troviamo realizzato nella vita dei santi. E anch'essi lo hanno dovuto imparare con molta fatica: purtroppo siamo nati e cresciuti nell'eredità di Adamo e perciò quasi automaticamente portati a ignorare la bellezza della volontà di Dio; per le nostre scelte ci riferiamo soltanto alle aspirazioni del nostro cuore. Queste portano con sè l'impronta della cupidigia e delle passioni egoistiche. È grande perciò l'opera di Gesù che ci conserva "nel nome del Padre"!
San Giovanni ci fa godere per un attimo la vita celeste: angeli e redenti pronunciano
la lode dell'Agnello e si prostrano in adorazione. È una visione paradisiaca che
ci fa gioire per la gloria del nostro Signore e salvatore. Per lui apostoli e discepoli
stanno soffrendo persecuzioni e morte: mentre Giovanni scrive questo libro è, con
ogni probabilità, condannato ai lavori forzati. Egli, e nessuno di loro, si è mai
lamentato di soffrire per la fede in Gesù. San Luca infatti ci racconta come fin
dall'inizio, poco dopo la Pentecoste, gli apostoli fossero "lieti di essere
stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù". Erano stati
flagellati, partecipando così alle sofferenze del Signore. Quando Gesù era stato
condannato essi erano fuggiti, avevano avuto paura della sofferenza e della morte.
Ora invece, ricevuto il suo Spirito, riescono a dire con franchezza: "Bisogna
obbedire a Dio invece che agli uomini". Essi non sono più attenti a salvare
se stessi, perché ricordano quanto Gesù aveva detto: "Chi vuol salvare la propria
vita la perde", ma ricordano soprattutto l'amore che Gesù continua ad avere
per loro. Il brano del vangelo narra quest'amore, conosciuto nell'ultimo incontro
che i discepoli hanno avuto con lui dopo la risurrezione: si è presentato a loro,
senza essere riconosciuto, dopo la grande delusione della fatica inutile di tutta
la notte. Non erano riusciti a pescare nulla. Egli si interessa di loro: "Non
avete nulla da mangiare?". E dona un consiglio che accolgono gettando la rete
dalla parte destra della barca. La pesca abbondantissima li aiuta a riconoscere
in quello sconosciuto, che li ama, il Signore stesso! Inizia così un nuovo periodo
della vita degli apostoli: Gesù chiede amore a Pietro e gli affida le sue pecore.
Egli non deve più salire sulla barca per tornare alla vecchia vita. Ormai egli vive
una vita nuova, da quando ha seguito Gesù, e non deve più voltarsi indietro. Gesù
non lo rimprovera, ma con un atto d'amore grandissimo glielo fa comprendere. Con
Pietro stavano altri apostoli, che avevano seguito il suo esempio. Anch'essi ora
imparano a donare tutto l'amore al Signore e a compiere la nuova missione che egli
dona: pascere i suoi agnelli e le sue pecore. Essi saranno impegnati a donare il
vero nutrimento della vita divina a coloro che cominciano a seguire Gesù e poi a
custodirli, difenderli dai pericoli, guidarli tenendoli uniti. La parola "pascere"
è molto efficace e comprende molte azioni: dare il cibo, difendere, tenere uniti,
guidare a luoghi sicuri: un compito difficile, ma possibile, perché dato da Gesù
e sostenuto dall'amore per lui. Amare Gesù è l'unica cosa necessaria per svolgere
il compito che egli affida! Per questo egli non chiede altro a Pietro: "Mi
ami tu?".