5.
OBBEDIENZA: TESTIMONIANZA DI UNITÀ
L'obbedienza non è quindi solo una delle tante virtù:
essa è molto di più, è il rapporto d'amore che il Figlio di Dio mantiene
verso il Padre, è la sua vita. Per Lui il termine obbedienza non ha sapore
amaro, se non da quando il Figlio assume la carne umana e inizia a vivere in
mezzo a uomini eredi di disobbedienza. Allora il suo amore obbediente costa
sangue.
Per Gesù uomo obbedire è il modo concreto per essere
unito al Padre, per manifestare la sua unità al Padre. Obbedire diventa
testimoniare la Tri-unità di Padre, Figlio e Spirito: martirio che fa
risplendere nel mondo la luce divina, la rende presente, abbordabile agli
uomini.
La vita santissima di Dio Trinità viene «concretizzata»
negli atti di obbedienza di Gesù e nel suo spirito di obbedienza. Il momento
che segna l'inizio pubblico e solenne della sua obbedienza è il momento della
grande teofania, manifestazione Trinitaria. Quando Gesù scende nell'acqua del
Giordano «per compiere ogni giustizia», cioè per portare a compimento ogni
segno della volontà del Padre e manifestare all'umanità fin dove arriva il suo
amore, allora si fa udire la voce stessa di Dio e si fa vedere l'immagine dello
Spirito che scende e rimane sul Figlio prediletto. Gesù si umilia
nell'obbedienza, il Padre lo esalta e lo Spirito si posa su di Lui per rimanervi
sempre.
Preludio di ciò che avverrà sul Calvario: «umiliò
se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per
questo Dio l'ha esaltato ... » (Fil 2,8-9).
lo non posso ignorare questa vita del Figlio di Dio. Egli
è il Figlio modello e vita di ogni figlio di Dio. Se non faccio mia la sua
vita, non sono figlio per il Padre. Se faccio mia la sua vita, se l'accolgo,
divento obbediente. La mia obbedienza sarà testimonianza, martirio: per chi?
per il Figlio di Dio. La mia obbedienza d'amore mi tiene I unito ad altri: e
l'unità nel Nome di Gesù è luogo della sua Presenza: «Dove due o più sono uniti nel mio Nome, là io sono in mezzo a loro»
(Mt 8,20). Per questo cerco di mantenere un cuore aperto all'obbedienza ,
all'amore attento e disponibile: per vivere l'unità, affinché Gesù stesso, il
Salvatore di tutti, possa essere presente qui, oggi. Solo per suo amore.
Altrimenti non ne avrei la forza, né il coraggio, nemmeno ne vedrei ragione
sufficiente.
6.
A CHI OBBEDIRE?
Quando i sette discepoli del Signore, stanchi per una
fatica inutile durata tutta una notte, alzano gli occhi alla prima luce
dell'alba, vedono sulla riva un tale, uno sconosciuto. Questi però parla loro
con familiarità, e con semplicità s'interessa del loro bisogno più immediato,
l'appetito. Essi non hanno nulla per riprendere forza e coraggio, nulla per
vivere la comunione di un pasto per quanto frugale. Nulla per il ristoro
personale e per il rafforzamento comunitario.
Lo sconosciuto allora - bada bene che è uno sconosciuto,
un uomo qualunque - dà un ordine preciso: «gettale
la rete dalla parte destra della barca» (Gv 21, 6).
I sette obbediscono. Come mai? Hanno già fatto uso della
loro esperienze e abilità di pescatori, di tutte le prudenze e le tattiche
possibili, hanno già adoperato le loro forze ed esaurito le ore propizie alla
pesca. Chi sei tu che ci dai quest'ordine? potrebbero chiedersi. E invece no.
Nei loro cuori c'è uno spirito di obbedienza, un atteggiamento umile che
accoglie da uno sconosciuto, da un uomo qualunque, l'ispirazione per un nuovo
tentativo da aggiungersi a quelli già andati a vuoto, demoralizzanti.
Una differenza tra questo ultimo gettar la rete e gli
altri tentativi. Questa volta la rete entra in acqua con un gesto di obbedienza,
le altre volte vi entrava con gesti... autogestiti, ragionati, frutto d'abilità
professionale.
E come mai un gesto di obbedienza ha un risultato tanto
diverso dagli atti compiuti con logica razionale? Credo la spiegazione sia
semplice.
Quando compio un atto di obbedienza la mia vita
s'identifica a quella del Figlio di Dio, l'ubbidiente. Quando obbedisco, vivo la
situazione di Adamo prima della ribellione, anzi ancora più, perché questa
situazione la vivo superando gli ostacoli posti dal ragionamento, dall'orgoglio
e dall'indipendenza frutto di quella ribellione. Quando obbedisco, Dio Padre
vede in me un aspetto della vita del suo Figlio, anzi, l'aspetto più
significativo. Egli riconosce in me la presenza dello spirito umile di Gesù,
Figlio di Dio e Figlio dell'uomo e non può non intervenire. Dov'è il Figlio
suo là è la sua onnipotenza, là Egli interviene.
L'atto di vero amore obbediente realizza la somiglianza
dell'uomo al Figlio di Dio.
I pesci si sono dati appuntamento nella rete di Simon
Pietro! Questa volta è la rete dell'obbedienza! del Figlio di Dio!
A chi hanno obbedito i sette uomini sulla barca?
A una persona che non conoscono. Il discepolo che Gesù
amava riconosce il Signore: «È il Signore!». Chi obbedisce con umiltà e
amore, dopo s'accorge d'aver obbedito al Signore!
Dio solo è, in verità, degno d'obbedienza. E quando io
esercito amore obbediente, poi m'accorgo di aver obbedito a Dio, e m'accorgo
pure che Dio è intervenuto in maniera meravigliosa. Un intreccio misterioso: io
obbedisco come a Dio, Egli riconosce in me almeno qualcosa del suo Figlio e
impegna la sua onnipotenza. L'obbedienza così, da debolezza, quale sembra ai
nostri occhi avidi di vanagloria, è luogo di presenza dell'onnipotenza divina.
S. Paolo ha potuto addirittura raccomandare ai servi di stare sottomessi,
proprio per questa grandezza dell'obbedienza, espressione di Dio perché
espressione d'amore: «Voi, servi, siate
docili in tutto con i vostri padroni terreni,non servendo solo quando vi vedono,
come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del
Signore. Qualunque cosa facciate fatela di cuore come per il Signore e non per
gli uomini» (Col 3, 2223).
7.
SCHIAVITÙ O OBBEDIENZA?
La nostra vita risulta essere sempre una vita di
obbedienza. La libertà che riteniamo di dover difendere consiste in effetti
nello scegliere colui cui obbedire!
Questa è la visione spirituale del nostro comportamento.
Se l'uomo non si tiene in obbedienza libera e amorosa, se
non si sottomette come il Figlio di Dio e invece cerca libertà, di fatto egli
sta già sotto l'influsso di spiriti disumanizzanti, quelli che hanno costretto
Adamo all'inimicizia e alla sofferenza. Chi non cerca l'umiltà dell'obbedienza
perde la sapienza e l'armonia interiore, perde la libertà @<spirituale» e
si dimostra schiavo di forze di orgoglio e superbia appesantite da completa
cecità interiore. Egli non riesce più a rendersi conto della propria
situazione vera, essendo prigioniero di ragioni e ragionamenti materialisti e
sempre più individualisti, incapace di comunione con gli altri uomini, infelice
nel suo intimo senza pace.
Cercando la libertà diventa schiavo.
È la constatazione descritta da S. Paolo nella lettera ai
Romani (cap. 6). L'apostolo suggerisce la strada della obbedienza come via di
liberazione. L'obbedienza naturalmente è concepita come obbedienza a Dio, e
solo a Dio, anche quando riceviamo i segni della sua volontà dagli uomini, o
dalle circostanze in cui veniamo a trovarci. Cercheremo di individuare questi
segni, di leggerli con criteri evangelici, di operare discernimento sapiente e
prudente. L'orientamento però è a Dio sempre, così che rimanga vivo in noi il
discernimento su ciò che gli uomini ci possono chiedere o le circostanze ci
possono prospettare. Se obbedisco a Dio quando faccio ciò che gli uomini
chiedono saprò distinguere quello che non è conforme ai comandamenti del
Signore e potrò aiutare gli uomini a mettersi anch'essi in obbedienza a Lui.
«Non
sapete voi che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per
obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite: sia del peccato che porta
alla morte, sia dell'obbedienza che conduce alla giustizia?» (Rm 6,16).
L'obbedienza
viene proposta da S. Paolo come alternativa al peccato; essa è l'altro padrone cui il cristiano serve: un «padrone»
che non rende schiavi, ma che libera conducendo l'uomo alla «giustizia», ad
essere veramente uomo secondo il modello su cui è stato voluto e creato dal
Padre!
L'alternativa non si pone nei termini schiavitù-libertà,
vediamo piuttosto la schiavitù contrapposta all'obbedienza. Se non vuoi essere
schiavo cerca di amare con cuore disponibile ed obbediente.
Se non vuoi essere schiavo dello spirito di vanagloria,
dell'amor proprio, dell'avarizia, dell'impurità, ecc. - se non vuoi essere
schiavo di «spiriti maligni» e di «demoni» che nemmeno conosci, né sai
intravedere, e ti portano alla morte (interiore, a perdere la gioia e
l'iniziativa dell'amore), se vuoi sfuggire questo «destino» (6,21) cerca il
Padre per ubbidirgli, cerca l'obbedienza per essere riconosciuto figlio di Dio! Strada dura, porta stretta che immette nella libertà
interiore, spirituale, la libertà dagli «spiriti immondi».
A Pietro Gesù ha indicato proprio questa strada, alla
fine, dopo il famoso esame d'ammissione al servizio ecclesiale che ha fatto
risuonare il triplice «mi ami tu?,>. Ebbene, Gesù ha mostrato a Pietro la
strada del vero amore. «Quando eri più
giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi, ma quando sarai
vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove
tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe
glorificato Dio. E detto questo aggiunse: "Seguimi"» (Gv 21,18-19).
8.
OBBEDIRE: MORIRE E NASCERE
Pietro era abituato all'autonomia, a decidere tutti i suoi
movimenti senza confrontarsi con altri, senza cercare l'obbedienza. Poche ore
prima aveva deciso la sua uscita sul lago per pescare (21,3), una decisione
individualistica, presa autonomamente. E pochi minuti prima aveva vestito il
camiciotto e s'era buttato in acqua con un atto altrettanto spontaneo, senza
aver passato parola con nessuno dei fratelli, atto che lo mise in mostra davanti
a tutti e appesantì la fatica degli altri, che dovettero assumersi tutto
l'onere del tirar la rete senza il suo aiuto. A quest'uomo, abituato a decidere
da solo le piccole e le grandi azioni, Gesù indica la via della sequela: «quando
sarai vecchio... un altro... ti porterà dove tu non vuoi». È la via
dell'obbedienza. Pietro impiegherà tutte le sue energie per crescere dentro
questa dimensione della vita, dovrà imparare ad invecchiare così, nell'amore
che si fa obbediente.
Questa è la morte che dà gloria a Dio: la morte
dell'obbedienza, la morte del proprio io, una morte che dà spazio all'amore
umile e obbediente da figlio. Dio riceve gloria, Egli stesso è presente dentro
questa vita, dentro gli atti di obbedienza di chiunque partecipi così al
movimento interiore del Figlio suo, obbediente fino alla morte!
L'obbedire diviene un vero morire, perché dalla
sofferenza dell'obbedienza deve nascere il vero amore. Obbedire è la morte
dell'io, dell'io egoistico, egocentrico, schiavo di sé, morte che fa spazio
all'amore dove l'io è dimenticato a favore del Figlio, di Gesù.
Pietro deve imparare subito che la parola «seguimi»
comporta questo nuovo orientamento. Gli è venuto spontaneo interessarsi della
sorte dell'amico: «Signore è lui?». Ma Gesù lo ha richiamato subito: «...che
importa a te? Tu seguimi!». Pietro non dovrà curiosare nella vita altrui, non
dovrà cercare queste soddisfazioni umane, ma solo seguire Gesù. Dovrà solo
tener gli occhi e il cuore fissi in Gesù, obbedire passo dopo passo a Lui con
perseveranza e continuità. Tu segui me! Percorri la strada dell'obbedienza
nelle piccole cose e nelle grandi, allora sarai d'aiuto a chi ti sta dietro, a
chiunque ti vede camminare.
Pietro, l'uomo che
ha il compito di nutrire gli agnelli e tener unite le pecore di Gesù, deve
vivere continuamente l'obbedienza. È l'obbedienza che forma il «capo»; è
l'obbedienza che con-forma al capo del Corpo, Cristo, le sue membra, e in
particolar modo quelle membra che rappresentano l'unico Capo. «Il
più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che
serve» (Lc 22,26). Come colui cioè che sta nell'obbedienza.
L'autorità non dovrebbe esistere se non come servizio
alla obbedienza. L'unica autorità è Dio! Noi chiamiamo autorità quell'uomo
che deve obbedire di più, che deve dare esempio di ascolto e di obbedienza, di
amore attento ai segni di Dio anche tramite i fratelli. Se fossimo veramente
obbedienti non avrebbe senso parlare di autorità.
Esistono persone obbedienti, che siccome sono obbedienti,
cercano i segni della volontà di Dio nei loro fratelli, particolarmente in
quelli che esercitano ministeri a favore di tutto il Corpo.
Purtroppo... il peccato degli uni e degli altri, la non
piena obbedienza di tutti porta a usare termini (e atteggiamenti) come «autorità»...
Se l'obbedienza fosse vista e vissuta come amore, ciò non servirebbe!
L'egoismo e la vanagloria tentano sempre il cristiano a
non interpellare nessuno, e quindi a mormorare e disubbidire; e tentano coloro
che hanno servizi da svolgere, ad esercitarli con orgoglio o fretta o arroganza,
diventando autoritari.
Per gli uni e per gli altri è sempre necessario
discernimento su se stessi, e abbondante grazia di Spirito Santo!
9.
OBBEDIRE A DIO
Fino a che mi si parla di obbedienza a Dio non sorgono
obiezioni nella mia mente e nel mio cuore. Queste talora si fanno persino
violente quando si parla di obbedire agli uomini. Come mai? Se io ho un cuore
obbediente, cioè se ho un cuore attento ad amare, dovrei rimanere nella stessa
situazione interiore sia davanti a Dio che davanti agli uomini. Anzi, se
veramente fossi obbediente a Dio, quando mi trovo davanti agli uomini dovrei
essere attento a cogliere anche da essi i segni della volontà di Dio, cercando
di discernerli e - se non sono chiari - di farmi aiutare da qualcuno che ama il
Signore e lo ascolta.
Gesù arriverebbe a dire che se ti trovi davanti a un
ladro che ti vuoi togliere la tunica, tu dovrai ubbidire a Dio, che può
chiederti di dargli anche il mantello. E se uno ti chiede un prestito, tu puoi
ritenere volontà di Dio darglielo senza interesse e senza chiederne la
restituzione. Quello che ti chiede un uomo può essere volontà di Dio, anzi,
Dio potrebbe voler di più.
Il Signore stesso ha lasciato capire che il rapporto tra i
suoi discepoli deve essere un rapporto di obbedienza reciproca, perché di amore
reciproco.
Quando Egli ha spaventato Saulo sulla via verso Damasco,
gli ha parlato direttamente, ma gli ha dato solamente l'indicazione di mettersi
in obbedienza a un uomo. Saulo, per divenire Paolo, deve fare la volontà del
Signore obbedendo alle istruzioni di Anania, un discepolo timoroso. Il Signore
Gesù, quando conquista un uomo, lo vuol vedere unito ai suoi discepoli. Vivere
quest'unità può significare talora essere sottomesso con umiltà, disponibile
ad apprendere il nuovo stile di vita, disponibile all'obbedienza. Questa
obbedienza sarà segno di fede in Lui, di umiltà, di amore semplice, di
concretezza. Come Egli, Gesù, si è sottomesso a Maria e a Giuseppe, così
vuole che agiscano quanti gli appartengono.
In tal modo l'amore dimostra di essere vero amore e non
amor proprio: amore di Dio e non amore della propria gloria, fiducia nel Padre e
non fiducia nei propri ragionamenti e nella propria capacità.
La mia ribellione al pensiero di obbedire agli uomini può
essere segno di una immaturità del mio discernimento: non riesco a cogliere i
segni della volontà di Dio in ciò che mi chiedono gli uomini. Potrebbe talora
succedere che una persona mi chiedesse qualcosa chiaramente contraria alla
volontà di Dio. In tal caso non dovrei acconsentire, perché voglio obbedire a
Dio. Per questo stesso motivo non accolgo sentimenti di ribellione, che
presuppongono giudizio, accusa e risentimento verso il fratello che scorgo
nell'errore. Volontà di Dio - cui obbedire - in tal caso sarebbe non il fare
quanto mi è chiesto, ma portare la croce di una persona che si trova in errore,
amandola e, se possibile, anche correggendola.
Da parte mia poi non posso «esigere» che degli uomini
obbediscano a me, nemmeno se avessi delle responsabilità nei loro confronti:
diverrei un dittatore! Dovrei occuparmi piuttosto che essi rimangono in rapporto
d'amore a Dio: allora potranno scorgere nelle mie indicazione i segni della sua
volontà! Dio stesso non <esige» obbedienza, non l'impone; Egli propone i
suoi progetti, il suo Figlio: chi lo ama gli obbedisce. L'amore è tale solo se
libero; così l'obbedienza, se è amore!
E la più pura dimostrazione di amore a Dio è proprio
l'obbedienza: «Il Signore forse gradisce
gli olocausti e i sacrifici come obbedire alla voce del Signore? Ecco, obbedire
è meglio del sacrificio, essere docili è più grasso degli arieti» (1 Sam 15,
22). I sacrifici, benché preziosi, non riescono a raggiungere la purezza
dell'amore obbediente: questo è sacrificio di se stesso! Questo è il
sacrificio del Figlio, che ha offerto se stesso, diventando obbediente fino alla
morte, e alla morte di croce!
10.
OBBEDIRE ALL'UOMO?
Ci sono quattro tipi di obbedienza che gli uomini vivono
nell'ambito della vita naturale. Il cristiano li renderà oggetto della propria
obbedienza a Dio, vivendoli coscientemente come tali. Si tratta dell'obbedienza
dei figli ai genitori, dei coniugi tra loro, dei sudditi ai governanti, dei
dipendenti ai loro capi.
Vi sono poi tre forme di obbedienza scelte liberamente dai
cristiani; sono un modo volontario di conformare la propria vita a quella di Gesù
obbediente, in gradi diversi. Si tratta dell'obbedienza del cristiano al proprio
pastore, quella del sacerdote al Vescovo o del religioso al suo superiore, e
quella del figlio al padre spirituale.
Provo ad abbozzare una parola per ognuna di queste
situazioni, che formano un «settenario» dell'amore obbediente!
La prima esperienza di obbedienza l'ho avuta anch'io, come
tu, da bambino nei confronti dei genitori. Un'obbedienza naturale. Il bambino ha
bisogno di tutto e perciò è sottomesso.
I genitori si sentono responsabili della sua crescita e
della sua protezione da innumerevoli pericoli, e così il bambino si trova ad
obbedire tutti i giorni: inconsapevolmente dapprima, poi consapevolmente. I
genitori, e chi per loro nei diversi ambienti in cui i bambini vengono a
trovarsi, sono un punto di riferimento obbligato. A mano a mano che i figli
crescono, imparano ad autogestirsi, a discernere, a scegliere. I genitori
attraverso l'obbedienza dei figli vogliono educare i figli stessi a vivere una
vita regolata, rispettosa di sé e degli altri. In pratica li educano a
un'obbedienza più ampia, libera, espressione di attenzione e di amore.
I genitori cristiani sono coscienti che il loro compito
verso i figli consiste nel portare questi - con l'esempio e con gli insegnamenti
- a obbedire a Dio nelle varie situazioni di vita.'E i figli cominciano la loro
obbedienza a Dio con l'obbedire ai genitori.
Il genitore dovrà essere obbediente veramente a Dio,
altrimenti i figli si troveranno ben presto in conflitto; se il genitore non è
obbediente a Dio, la sua parola sarà senza autorevolezza, anche se venisse
detta con forza. Quando il figlio sarà ragazzo o giovane, le attese del
genitore potrebbero essere dissonanti o contrarie a quelle che lo Spirito del
Signore lascia percepire nel suo cuore disponibile. Se le richieste del genitore
sono conformi a quelle di Dio e le sue parole sono riscontrabili come
espressione dell'amore di Dio, allora i figli sono aiutati alla vera obbedienza.
« Voi,
figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore!» (Col 3,20).
«Figli,
obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo
padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa:
perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra. E voi, padri, non
inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del
Signore» (Ef 6,1-4).
Altra situazione concreta di obbedienza è quella degli
sposi. Essi si amano, si vogliono bene, si donano reciprocamente. Tra di loro c'è
obbedienza. Nota bene, non dico che tra loro c'è autorità, ma tra di loro c'è
obbedienza.
I conflitti, talora con tristi conseguenze, non nascono
mai quando c'è gara di obbedienza, ma quando c'è gara di autorità: in tal
caso l'amore per il coniuge non è stato lavato, purificato, separato dall'amor
proprio!
Tra gli sposi cristiani ci dev'essere amore obbediente, la
caratteristica del vero amore.
«Le mogli
siano sottomesse ai mariti come al Signore» (Ef 5,22). «E voi mariti,
amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per
lei» (25).
«Sara
obbediva ad Abramo» (1Pt 3,6). «Voi mariti, trattate con riguardo le vostre
mogli.. e rendete loro
onore... così non saranno impedite le
vostre preghiere» (7).
Quando un coniuge obbedisce al proprio coniuge cresce
reciproca la fiducia, l'armonia, la comprensione. L'eventuale sofferenza
dell'obbedire è ampiamente ripagata dalla consolazione dell'unità profonda del
cuore. Un coniuge che ama il proprio coniuge, non fa nulla senza averlo
interpellato, non intraprende nulla se non in unità. Così essi sono veramente
«una carne sola» e Dio agisce tramite loro, e con loro benedice il mondo.
E la prima benedizione la godono essi stessi, perché
stanno vivendo qualcosa della armonia e della pace divina!
«Ciascuno
sia sottomesso alle autorità costituite,- poiché non c'è autorità se non da
Dio, e quelle che esistono sono stabilite da Dio»... «È necessario stare sottomessi,
non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per
questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo
compito sono funzionari di Dio» (Rm 13,1.5s).
S. Paolo scrive queste parole ai cristiani di Roma, il cui
imperatore tramite i suoi funzionari già lo aveva tenuto in prigione.
L'obbedienza che i cristiani offrono al loro Signore diventa sottomissione alle
autorità civili, chiunque esse siano. Come l'apostolo Paolo, anche S. Pietro
raccomanda: «State sottomessi a ogni
istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai
governatori come suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché
questa è la volontà di Dio: che operando il bene, voi chiudiate la bocca
all'ignoranza degli uomini stolti» (1 Pt 2, 13-15).
L'obbedienza dovuta alle autorità civili è dovuta loro
per ciò che riguarda il loro servizio. Qualora l'autorità civile esigesse ciò che spetta solo a Dio, il cristiano piuttosto muore, testimone
dell'autorità di Dio sulla propria vita: «Adora il Signore Dio tuo e a Lui
solo rendi culto» (Mi 4, 10). «Se sia
giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi» (At
4,19): con queste parole Pietro e Giovanni ci aiutano a vedere il limite
dell'autorità costituita, un limite che trova la sua origine ancora in Dio, che
ha concesso l'autorità agli uomini come servizio: di esso renderanno conto. Così
vediamo che Gesù accetta il potere di Pilato, ma gli richiama il dovere di
esercitarlo secondo le intenzioni di Colui che gliel'ha dato, il dovere quindi
di stare in «contemplazione» di Dio: «Tu
non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per
questo, chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande» (Gv 19,
I 1). Il potere civile è una responsabilità verso Dio, unico Re dell'uomo: non
può esser esercitato come potere assoluto; chi governa può peccare! Come Gesù
accetta l'autorità di Pilato, così il cristiano nel suo rapporto con Dio vive
in obbedienza alle leggi civili, non solo per timore, ma anche perché ama gli
uomini, e la società degli uomini amati da Dio!
«Schiavi,
obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità
di spirito, come a Cristo; e non servendo per essere visti, come per piacere
agli uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore,
prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a uomini. Voi
sapete infatti che ciascuno, sia schiavo che libero, riceverà dal Signore
secondo quello che avrà fatto di bene» (Ef 6,5-8).
«Domestici,
state soggetti con profondo rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli buoni
e miti, ma anche a quelli difficili» (1 Pt 2, 18).
Gli apostoli non contemplavano tutti gli aspetti che sono
mutati lungo i secoli nei rapporti sociali tra imprenditori e dipendenti, tra
capi di vario genere e operai o impiegati. Il mondo è cambiato molto da allora
a oggi. Ma l'uomo è sostanzialmente lo stesso... recipiente, che può albergare
Spirito Santo oppure atteggiamenti di ribellione, di vendetta, di dominio, di
avarizia, di pigrizia ecc...
Il cristiano ha perciò attenzione a rimanere in un
profondo rispetto, in atteggiamento di sottomissione e di mitezza anche con i
padroni terreni, perché egli sa, da un lato, lasciare le proprie difese a Dio,
d'altro lato esprimere le proprie esigenze-necessità-diritti come amore, con
serenità.
E ancora il cristiano sa che la vita dell'uomo non
consiste nel possedere di più: è la ricchezza infatti che rovina i cuori dei
padroni fino a renderli insensibili e incapaci di fraternità.
Proprio S. Pietro aggiunge al versetto citato: «È
una grazia, per chi conosce Dio, subire afflizioni, soffrendo ingiustamente»
(19).
Quando un cristiano viene battezzato si inserisce in una
comunità che ha una sua vita ordinata, la Chiesa. Si potrebbe dire che egli si
inserisce in un'obbedienza!
«Obbedite
ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi, come
chi ha da renderne conto; obbedite, perché facciano questo con gioia e non
gemendo». Così la lettera agli Ebrei (13,17) esorta i cristiani.
E ai Tessalonicesi S. Paolo scrive: «Vi preghiamo poi, fratelli, di aver riguardo per quelli che faticano tra
di voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono» (1 Ts 5,12). E
lo stesso Apostolo, sapendo di avere autorità, non ricusa di dare ordini e di
esigere d'essere obbedito dai fedeli: «in
realtà, anche se mi vantassi di più a causa della nostra autorità, che il
Signore ci ha dato per vostra edificazione e non per vostra rovina, non avrò
proprio da vergognarmene» (2 Cor 10, 8). Gli apostoli e, oggi, i loro
successori, non possono dimenticare la parola loro rivolta da Gesù stesso: «chi
ascolta voi ascolta me» (Lc 10, 16).
Ma nemmeno i fedeli possono dimenticare questa parola, e
perciò ogni cristiano che vuol essere tale rimane in obbedienza ai pastori, e
in particolare al proprio vescovo.
I vescovi, in genere, si guardano bene dal chiedere
obbedienze personali ai fedeli: si limitano a indicazioni e proposte a livello
generale. Ma se ci fossero cristiani disponibili a donare la vita nel Regno di
Dio, se ci fossero cristiani che vivono profondamente e radicalmente la fede,
allora anche i vescovi e i loro collaboratori potrebbero «osare» di chiedere
obbedienze particolari e personali. Talora è successo, talora succede. E il
Signore ne riceve gloria.
Ci sono cristiani appunto che, scegliendo di donare la
vita al Signore, s'impegnano nell'obbedienza a un uomo che Lo rappresenta. Sono
quei cristiani che chiedono e ottengono di venire ordinati diaconi o sacerdoti:
essi promettono obbedienza al vescovo in maniera solenne e pubblica. Vivranno in
diretta dipendenza da lui per tutto ciò che concerne il servizio alla Chiesa.
Altri cristiani che donano la vita a Dio s'impegnano con
voto speciale all'obbedienza in una comunità «religiosa», ove sono chiamati
fratelli e sorelle o monaci e monache.
Sia questi che i sacerdoti (presbiteri) e i diaconi
scelgono liberamente, sia pure in modo diverso, di rinunciare a una propria
indipendenza per sottomettersi. Il motivo di questa sottomissione può avere una
valenza ascetica, cioè per non dar spazio all'amor proprio, all'egocentrismo e
alla vanagloria, ma viene pure vissuto per favorire il formarsi di un'unità
reale e concreta nella propria comunità religiosa o nel presbiterio attorno al
vescovo. L'unità sarà il luogo di «presenza» e d'azione del Signore. Gesù
Cristo stesso infatti, ha dichiarato: «Dove
due o più sono uniti nel mio Nome, là sono io in mezzo a loro».
lo ubbidisco al vescovo non solo per una mia crescita
spirituale, ma anche perché so che l'unità che ne deriva è «luogo» di
presenza e azione del Signore Gesù. Per amore di Gesù quindi sto
nell'obbedienza. È sempre Gesù, e guai se fosse diversamente, il termine primo
e ultimo di ogni azione, anche dell'obbedienza.
Con intensità più ravvicinata e con espressioni
quotidiane, chi fa parte di una comunità religiosa sta unito ai suoi «fratelli»
o alle sue «sorelle» tramite l'obbedienza a una regola e a coloro che la
regola approvata dalla Chiesa prevede come «superiori». Così ogni comunità
religiosa diviene un luogo «dove due o
tre sono uniti nel mio Nome», luogo della Presenza del Signore Gesù.
Ci sono coniugi che adottano questa visuale per il loro
vivere insieme, e ci sono pure parrocchiani che vivono con tale coscienza l'unità
col parroco e tra loro.
Una vera gloria di Dio! Un dono di Dio al mondo: «Là lo
sono»!
Ci sono fedeli che non sono chiamati né al sacerdozio né
alla vita in comunità religiose, e tuttavia desiderano essere partecipi di
questa grande possibilità: offrire un luogo di presenza al Signore Gesù. Essi
vivono una particolare forma di unità con una persona che chiamano «padre
spirituale».
Alla persona, cui hanno chiesto direzione spirituale per
la loro vita, non si limitano a domandare consigli e a ricevere suggerimenti per
migliorare la propria vita interiore e la propria vita cristiana. Chiedono a
tale persona, che pur continua a guidarli sulle vie del rinnegamento di se
stessi e dell'offerta di sé a Dio, di poter confrontare ogni decisione, ogni
azione, per fare tutto in unità, e non fare nulla senza unità. Chi si
incammina su questa strada, conscio di offrire un « luogo» di presenza al
Signore, esperimento la pace e la benedizione: ogni cosa che fa è frutto
dell'unità, e porta quindi la benedizione della presenza di Gesù. Nello stesso
tempo può sperimentare la croce, perché tale unità costa saper ubbidire in
modo totalmente libero e volontario. li padre spirituale non comanda mai nulla,
anzi. Sei tu, sono io semmai che voglio ubbidire; sono io che dico: «dimmi
il tuo Parere, manifestami il tuo discernimento», mentre nel segreto del
cuore mi dispongo ad accoglierlo come espressione della volontà di Dio per me.
Mi consacro ad essere strumento di una cellula di unità nella Chiesa, luogo
della dimora del Signore nel tempo e nello spazio.
L'unità, conquistata col prezzo dell'umiltà e
dell'obbedienza, è segno della vittoria di Gesù sul maligno, divisore per
eccellenza, superbo e disobbediente, ribelle! Questi si è impegnato a creare
divisioni ovunque nella Chiesa, ad ogni livello.
Costi quel che costi io non voglio assecondarlo. Voglio
dare a Dio la gioia di vedere la sua unità divina prendere posto tra gli
uomini, voglio dare al Padre la gioia di trovare un piccolo spazio sulla terra
per la dimora del suo Figlio!
Voglio dare al mondo la possibilità di vedere un barlume,
per quanto fioco, dell'amore eterno che continua il suo movimento nella vita
divina tri-unitaria, attraverso le possibilità che mi sono date nei miei
rapporti con gli uomini, nelle situazioni dove Dio stesso mi ha chiamato.
L'obbedienza è strumento per l'unità, e l'unità è
manifestazione di Dio.
L'amore di Dio diventa ricerca dell'obbedienza, e
l'obbedienza non è più amara, quando è vissuta come amore!
11.
VIGILANZA
Non vorrei dimenticassimo che l'obbedienza vera è
espressione di amore, e che solo quando essa è amore è dono di Dio e fa
incontrare Dio, che è amore!
Ora l'amore non esaurisce nell'obbedienza il proprio
manifestarsi: chi ama è pure attento, si fa disponibile e generoso, pronto a
prendere iniziative, si offre in modi vecchi e sempre nuovi. Chi ama è
vigilante, chi ama è in costante ascolto di Dio che parla non solo dentro le
situazioni e le occasioni e attraverso le persone, ma anche direttamente al
cuore.
Chi ama e vuol veramente obbedire a Dio, quindi, non
ascolta solo le persone che gli chiedono qualcosa, ma si fa attento a conoscere
il suo Dio per poter discernere i suoi desideri e la sua volontà, che talvolta
può essere contrastante con le richieste implicite o esplicite degli uomini.
A questo proposito ricordo l'episodio successo ad
Antiochia, quando Paolo «si oppose a viso aperto» a Cefa-Pietro: lo sgridò
pubblicamente. Col suo comportamento Cefa avrebbe tradito egli stesso, e avrebbe
trascinato altri a tradire, il messaggio evangelico. Dovremo concludere che
Paolo è stato disubbidiente? Egli ha difeso Cefa e la Chiesa da una grave
disobbedienza a Dio. Paolo, attento alla volontà di Dio manifestata in Gesù,
riporta anche Pietro a quell'obbedienza fondamentale.
Chi obbedisce con amore quindi non si esime e non si
ritiene esonerato dall'usare il proprio discernimento. lo devo stare attento però
perché ci sono almeno due tipi di discernimento: quello razionale o
intellettuale e quello spirituale. Spesso essi non si contraddicono, ma talora
posso davvero correre il rischio di difendere la mia comodità o le mie idee o
la mia bella figura o il mio portafoglio: corro il rischio cioé, con un
discernimento razionale, di mettere l'intelligenza al servizio dell'amor proprio
anziché del Regno di Dio. L'amore deve far uso del discernimento spirituale
anche quando è chiamato a esprimersi nell'obbedire. Devo abituarmi a vedere che
cosa giova alla Chiesa, al mio spirito, alla fede degli altri cristiani, alla
gloria di Dio.
Allora posso scoprire che un comportamento richiestomi da
un fratello, da un «superiore,,, dall'autorità, benché non collimi con le mie
idee, può essere davvero ugualmente volontà di Dio, perché mantiene o fa
crescere l'unità, o fa esercitare la fede o mi salva dall'orgoglio.
Un'altra vigilanza si rende necessaria. Quando amo
obbedendo, non faccio notare che sto obbedendo! Verrebbe talora la tentazione,
se qualcuno non capisce e non si dà ragione del mio agire, di giustificarmi
semplicemente affermando: sono nell'ubbidienza! Come dire: non posso farci
nulla, non sono io che ho deciso questa azione! La decisione di obbedire però
l'ho presa io! Perciò la tale azione è tutta mia, è amore del mio cuore. Non
voglio nascondere il mio amore dietro una giustificazione, che diventi poi
accusa o addossamento di responsabilità a colui cui obbedisco. lo ho deciso di
amare obbedendo, quindi rispondo io stesso di ciò che faccio. E se non so
rispondere con l'intelligenza a chi mi chiede ragione risponderò col cuore!
Talora non sarà facile, né spontaneo: tanto più l'amore è amore! e
assomiglia a quello con cui Gesù si è presentato alle guardie. Dopo aver detto
«non la mia, ma la tua volontà sia fatta»
Gesù ha offerto se stesso liberamente e volontariamente: «offro la mia vita, la offro da me stesso»!
Egli non ha detto: sono in obbedienza! Non si vanta di una
virtù, né scarica la responsabilità sul Padre, ma si offre totalmente!
Quanta pace entra nel cuore e quanta se ne diffonde quando
viviamo così!
Non mi sono soffermato sull'agire di chi deve esercitare
«autorità», semplicemente perché egli darà esempio di obbedienza cercando
aiuto per il proprio servizio anche dai propri «sudditi», che non cessano di
essergli fratelli!
Quando Pietro, rinnovata la propria adesione d'amore a Gesù,
ha ricevuto da Lui il compito di essere pastore, nutrendo, guidando, tenendo
unite le sue pecore, ha subito osservato l'amico che stava dietro e si è
preoccupato della sua sorte; ma così si è attirata una reazione immediata del
Signore: Tu segui me!
Cioè, tu sei pastore, vera guida e vero aiuto per le mie
pecore non quando ti confronti con esse o le vuoi condizionare o vuoi curiosare
nella loro vita, ma quando muovi i tuoi passi decisi dietro a me. Allora tu
sarai vero pastore - vero superiore, diremmo noi - di coloro che amo!
12.
OBBEDIENZA: LA VERA PREGHIERA
Non vorrei tralasciare un significato importante della
nostra obbedienza a Dio: essa è il vero sacrificio gradito al Padre, quindi la
preghiera più vera, quella che ha un peso enorme sul suo cuore.
Egli ci esaudisce non in base al numero o alla bellezza
delle parole che sappiamo inventare per rivolgerci a Lui, bensì in base
all'obbedienza che gli doniamo.
Gesù stesso dice: «Non
chi dice: Signore, Signore!, ma chi fa la volontà del -Padre mio, entrerà nel
regno dei cieli» (Mt 7,21). L'obbedire è segno di vero amore, è amore, è
già essere dentro la vita del Figlio di Dio! La concretezza dell'obbedienza che
ci porta a offrire la vita è ciò che commuove il cuore del Padre e lo obbliga
ad intervenire con la sua potenza!
Il salmo 99(98), 6-8 dice: «Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti, Samuele tra quanti invocano il
suo nome. Invocavano il Signore ed Egli rispondeva. Parlava loro da una colonna
di nubi. Obbedivano ai suoi comandi e alla legge che aveva loro dato. Signore,
Dio nostro, tu li esaudivi, eri per loro un Dio paziente, pur castigando i loro
peccati».
Dio ascolta ed esaudisce chi gli è obbediente!
Quando qualcuno mi chiede di pregare per lui, io non mi
affretto a descrivere al Padre - che del resto è già informato - le necessità
spirituali o materiali di ciascuno! Dico semplicemente a Dio: ecco, ora adopera
la mia obbedienza a Te anche per questa persona. Eccomi, Padre, guarda con amore
questo fratello o sorella: mi offro ad obbedirti anche per lui.
È da Gesù che imparo questo modo di pregare. Durante la
Cena Egli ha pregato il Padre per i suoi dicendo: «per loro io santifico me stesso» (Gv 17, 19), cioè «per
loro io mi presento ad obbedirti». Preghiera di Gesù per noi non sono le
sue parole, ma la sua offerta a fare la volontà del Padre.
E il Padre lo ama e gli obbedisce!
«Per
questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita» (Gv 10, 17).
Egli la offre nell'obbedienza: «questo comando ho ricevuto dal Padre mio» (10, 18). Dio stesso
ubbidisce a chi gli è obbediente! Davanti al sepolcro di Lazzaro Gesù dice: «Padre,
ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto» (Gv 11,
41s).
Il Padre ascolta e realizza le parole di Gesù, perché
Gesù vive in piena obbedienza al Padre.
Dio ubbidisce a chi gli è obbediente!
Spesso qualcuno si interroga o mi interroga: «vale la mia
preghiera?». Ora conosci la risposta! La mia preghiera vale, cioè ha valore e
peso nel cuore di Dio, se è accompagnata dall'amore obbediente! Gli atti di
obbedienza eseguiti come espressione del nostro amore, dell'offerta di noi
stessi, rendono «onnipotente» la nostra preghiera.
Signore Gesù
Cristo, figlio sempre obbediente, ti adoro.
Ti accolgo
in me
sapendo che
continuerai anche in me
ad
obbedire.
Ti accolgo
nella mia mente, nella mia volontà, nelle mie decisioni. Ama Tu in me il Padre,
come lo sai amare Tu: porta l'obbedienza nelle mie membra, sarò trasformato in
amore, amore crocefisso.
Vieni,
Signore Gesù.
Nulla
osta: don Iginio Rogger, cens eccl. - Trento, Natale 1990