Viviamo in un tempo in cui molte persone si
costruiscono una "fede" a propria misura,
oppure su misura la va a cercare tra gruppi e sètte o
novità varie.
In tutta questa baraonda di credenze e religioni io godo
ancor più di quella fede, sicura e secolare, che mi è
trasmessa dalla Chiesa. In essa sono stato battezzato fin
dalla culla, in essa voglio terminare i miei giorni. Se
di qualcosa posso vantarmi è proprio di questa fede: ne
sono fiero, con umiltà e con amore. Questa fede, che è
mia perché è un dono che ho ricevuto e non una mia
costruzione, è la mia grandezza: essa mi tiene piccolo,
abbandonato alle braccia forti e tenere del Padre, come a
quelle di una madre! È una fede di cui mi sento onorato,
come dice S.Pietro.
Amo la mia fede! Don Vigilio Covi
1.
"Tutto ciò che non viene dalla fede è
peccato." (Rom 14,23b)
"La parola di Dio è viva, efficace..." (Ebr
). Ogni parola di Dio è viva. Ogni parola di Dio produce
frutto. Anche la Parola che ho messo a titolo di questa
pagina è parola viva. Oggi l'apostolo me l'ha ripetuta,
me l'ha seminata nel cuore. È stata una sorpresa, anzi,
una frustata, come quella con cui Gesù sul piazzale del
tempio ha rovesciato tavoli e scacciato mercanti con buoi
e pecore e colombe.
Questa parola rimane in me e mette radici adagio adagio.
"Tutto ciò che non viene dalla fede..."
Mi ero abituato a pensare che ci sono molte cose buone al
di fuori della fede. La cultura in cui sono immerso mi
porge continuamente questa bevanda: anche senza un
rapporto con Dio c'è molto del bene. Atei buoni,
cristiani anonimi, azioni e iniziative sociali e
umanitarie, proposte di pace e di collaborazione con
chiunque "crede" nella bontà e nel valore
della vita e del benessere, della solidarietà e
dell'ecologia...
Mi ero abituato a questa visione della realtà e mi ci
trovavo bene, tanto bene che ormai quasi consideravo la
"fede" come qualcosa in più, un bene grande,
ma non assolutamente necessario, perché molti si
occupano di valori grandi anche senza di essa.
Ora è giunta questa parola che S.Paolo ha inviato ai
cristiani di Roma.
Se un valore non viene dalla fede è peccato.
Se la pace non viene dalla fede è peccato.
Se la solidarietà non viene dalla fede è peccato.
Se l'ecologia, l'amore alla vita, la grandezza dell'uomo,
la fraternità, l'uguaglianza sociale... non viene dalla
fede è peccato!
Se la purezza e il rispetto sessuale, i sentimenti di
amore per un uomo o per una donna e il conseguente
desiderio di maritarsi, il rifiuto della violenza, la
protezione dei bambini, l'onestà sul lavoro,
l'osservanza dei riti... non viene dalla fede è peccato!
S.Paolo scuote la mia anima come si scuote una tovaglia:
tutto vola via come immondizia. Rimane la possibilità di
adagiarvi sopra la fede come un grande recipiente. Da
esso si potrà attingere.
Perché è peccato tutto ciò che non viene dalla fede?
Provo a comprendere questa parola dell'apostolo, che è
parola di Dio, per renderla del tutto mia. Dio infatti
non parla per ingannarmi.
"Tutto ciò che non viene dalla fede è
peccato."
Provo a rifare il ragionamento che ha fatto
l'apostolo, per comprendere questa parola di Dio, per
renderla tutta mia.
S.Paolo sa che si può mangiare di tutto e che l'uomo non
può essere condannato da Dio perché mangia qualunque
cosa Egli ha creato. L'apostolo sa però che non tutti
godono di questa libertà interiore: egli, con la propria
libertà, non vuol causare sofferenza o scandalo ad
altri, né spingere alcuno ad agire contro la propria
fede.
La libertà è un grande dono, ma è un dono di quel
Padre che ama anche l'uomo non ancora maturo nella
libertà interiore. Se io, nonostante tutto, mangio ogni
cosa in presenza di chi non è interiormente libero di
farlo, faccio torto al Padre, che invece rispetta la sua
sensibilità.
Se un'azione non ha origine dal rapporto obbediente e
fiducioso con Dio, essa non mi porta a lui. Se un'azione
da me giudicata buona e sgorgante dal mio desiderio di
far cose buone non mi orienta al Padre, non mi avvicina a
lui: di essa io ringrazierò soltanto il mio "buon
cuore", la "mia" propria iniziativa, la
"mia" sensibilità. L'azione "buona"
mi porterà a inorgoglirmi, ad esser soddisfatto di me
stesso, a concludere: io sono qualcuno, ho fatto qualcosa
di utile. Quest'azione perciò è peccato: mi ha - almeno
per un attimo - allontanato dal Padre, non mi ha aiutato
a considerarmi figlio suo, né a considerare le mie
azioni come obbedienza a lui, come conseguenza del suo
amore gratuito per gli uomini, come conseguenza della
sapienza che egli mi ha donato. La mia azione mi ha fatto
continuare il cammino di Adamo, cammino che si allontana
sempre più dal Padre.
So che peccato è il camminare su quella strada che mi
fa sbagliare mèta, su quella strada che non mi fa
giungere al Padre, presso cui soltanto c'è la vita e la
vita eterna!
Peccato sono quindi i passi di Adamo, passi mossi tenendo
le spalle girate a quel Dio che lo sta chiamando, passi -
lenti o veloci non importa - con i quali egli cerca di
raggiungere dei nascondigli in cui occultarsi allo
sguardo mite e tenero del Padre. Qualunque passo Adamo
muova nella direzione presa, lo allontana ancor più.
Ogni sua azione non lo avvicina al Padre, finché egli
stesso, l'Adamo ribelle, non si giri per muovere verso
colui che lo sta cercando, e che, per trovarlo, ha
inviato il Figlio. Quando Adamo si lascia trovare da
Gesù comincia la fede, e con essa inizia la vita!
Nella frase che sto comprendendo non credo che il termine
"peccato" significhi "colpa". Non
c'è colpa nel vivere quei valori umani che danno un po'
di gioia al vivere e al faticare degli uomini. Essi però
non sono sufficienti a darmi la vita, a portarmi presso
Colui che dà la vita, al Padre! Essi sono ancora passi
mossi nella direzione che allontana.
La fede, fiducia e abbandono e obbedienza, che Gesù fa
nascere in me, dà nuovo valore a tutto: ogni cosa io
faccia unito a Gesù è un pane che mi avvicina e mi fa
incontrare il Padre suo e nostro!
Tutto ciò che non ha origine dal mio rapporto di fiducia
verso Dio mi distanzia da lui. S.Paolo è drastico: egli
dice "tutto". Anche il bene che io faccio, se
lo faccio senza alcun rapporto con il Padre e con Gesù,
senza coscienza (almeno implicita) di compiere la
volontà di Dio e di esercitare l'amore che egli ha
riversato nel mio cuore, è un luccichio che distoglie il
mio sguardo dal suo Volto splendente!
Sarò capace di girarmi, di "convertirmi", di
attingere tutto dalla fede in Dio che mi è stata donata?
Dal mattino alla sera e dalla sera al mattino continuerò
a rifarmi al Padre, insieme con Gesù, imparando da lui,
vero Figlio sempre attento a rimanere orientato a Dio!
Comincio ad amare la "mia" fede, che diventa
la sorgente unica di tutto il mio vivere!
2.
"Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come
per il Signore e non per gli uomini..." (Col 3,23)
Ciò che non viene dalla fede ci tiene distanti dal
Padre, fa da ostacolo alla nostra comunione con lui: è
peccato!
Tutto ciò invece che viene dalla fede è grazia! Ciò
che scaturisce dalla fiducia che ripongo in Dio è dono
gratuito, è forza, è luce, è novità, è pace!
Quando vivo nella fede Dio mi è Padre: lo vedo così, lo
tratto così. Tutto il mio pensare e il mio agire si
riempie di quella caratteristica tipica dell'amore
gratuito di cui il Padre mi avvolge.
Nella fede tutto quello che faccio lo faccio come per il
Signore, e tutto quello che ricevo lo ricevo come da lui:
tutto mi giunge come dono!
Gesù ha avuto i suoi discepoli come dal Padre e ha
ricevuto come dal Padre anche le umiliazioni e la croce.
Ha saputo perciò donare sia ai discepoli che ai soldati
del suo Calvario il suo amore, lo stesso sguardo, la
stessa luce. Gesù è l'esempio per la mia vita di fede:
egli, pur essendo figlio di Dio, - e proprio perché
figlio di Dio - ha vissuto la fede nel modo più sublime
e profondo, nel modo più costante e fermo. Egli si
sapeva mandato dal Padre in ogni momento, e perciò la
sua fiducia e il suo affidarsi a lui lo tenevano
continuamente in ascolto, in attenta disponibilità. Ogni
fatto, ogni incontro, ogni domanda gli fosse rivolta la
sentiva come una parola del Padre che gli donava o gli
chiedeva qualcosa.
La mia fede è quella di Gesù. Io la vivo in modo
imperfetto, tanto imperfetto da dovermi vergognare di
fronte a lui. Però la mia fede è la sua: quella che lui
ha seminato in me e coltivato con la sua Parola. La mia
fede è quella che lui ha nel Padre: io so ciò che Gesù
ha detto del Padre e verso il Padre ho quella fiducia cui
Gesù mi ha sollecitato. Al Padre mi affido con quella
decisione con cui Gesù gli si è affidato. Da questa
fede nascono atteggiamenti e decisioni che sono ancora
quelli di Gesù, e nella fede tutto ciò che faccio e che
ricevo acquista valore di dono.
"Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate
qualunque altra cosa tutto fate per la gloria di
Dio". (1Cor 10,31)
Anche le cose più semplici e più quotidiane, anche
quelle che si fanno ormai automaticamente o quasi, le
faccio come provenienti dalla mia fede, perché tutta la
vita ha preso questa piega. Il Padre non manca mai. Egli
non si assenta. Egli non si addormenta. Ovunque io sia e
qualunque cosa faccia egli è là, proprio come
sottolinea il salmo:
"se salgo nei cieli là tu sei,
se scendo negli inferi, eccoti!" (Sal 139,8)
L'amore del Padre non ha intermittenze, perciò tutto,
proprio tutto è dono suo per me.
La voce di una persona che mi chiama, lo squillo del
telefono, l'insonnia notturna, il cibo preparato, il
ritardo di un amico, il rimprovero di un superiore, la
richiesta pretenziosa di un familiare, il freddo della
strada, la pioggia o il sole, la nebbia o il gelo, la
febbre o il mal di denti, la bravura o l'inesperienza del
dottore, la sete e la bevanda, tutto insomma lo vivo
dentro l'amore del Padre per me: il mio reagire a tutte
queste realtà manifesta la fiducia che ripongo in lui!
Anche la mia capacità di reagire con pazienza e con
serenità e amore ad ogni cosa è suo dono, sua grazia!
Tutto ciò che viene dalla fede è grazia!
3. "Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la
fede sulla terra?" (Lc 18,8)
Perché mai Gesù si pone questa domanda? È una
domanda cui nessuno può rispondere. Non possono
rispondere i suoi discepoli e nemmeno i suoi avversari.
Egli stesso non vuol dare risposta a questo
interrogativo. Si potrebbe dire che questa domanda è una
domanda retorica: con essa egli vuole far comprendere
qualcosa di importante!
Il Figlio dell'uomo al suo ritorno cercherà credenti,
cercherà coloro che lo attendono, che gli danno piena
fiducia.
È strano: non è l'amore la cosa più importante? Non è
sull'amore che tutti saranno giudicati? Non è dall'amore
che i discepoli saranno riconosciuti? Non è l'amore il
passaporto per il Regno dei cieli?
Eppure Gesù ci pone questa domanda. Ci sarà la fede?
Può essere la fede più importante dell'amore?
Quante persone, già capaci di amare, non sono tuttavia
ancora nel Regno dei cieli perché mancano di fede!
Bastino due esempi, uno tratto dal vangelo e l'altro
dagli Atti degli apostoli. S.Luca racconta di un
ufficiale romano che ama il popolo tanto da favorire la
costruzione della sinagoga a Cafarnao. Gesù però non
loda l'ufficiale per questo suo amore, lo loda e lo
esaudisce nella richiesta, per la sua fede! (Lc 7,1)
Anche Cornelio, altro ufficiale romano, è un uomo che
prega e che fa elemosine. (Atti 10,2) L'angelo che gli
appare non lo sollecita né ad aumentare le preghiere né
ad essere più generoso nelle elemosine. Gli manifesta
invece la possibilità di una fede nuova, quella che
Pietro annuncia.
La salvezza raggiunge Cornelio e la sua famiglia per la
fede in Gesù Cristo e non per il suo amore, nemmeno per
le sue preghiere. Queste gli hanno ottenuto la grazia di
giungere alla vera fede, quella che porta alla salvezza!
Com'è importante la fede! L'amore e la preghiera non
bastano. La generosità e la bontà del cuore non portano
l'uomo alla sua salvezza! Quando la vera fede entra
nell'uomo, allora anche l'amore e la preghiera trovano la
propria pienezza.
Credere in Gesù, morto e risorto: questa è l'opera che
il Dio dell'amore ci propone di compiere.
Il Dio dell'Amore e della Pace, proprio Lui, cui preme la
nostra somiglianza a Lui nell'amore, ci orienta al suo
Figlio, a Gesù e ci accoglie nella sua vita quando noi
accogliamo Gesù.
Mistero dell'amore! Mistero della fede!
In Gesù la fede e l'amore trovano pienezza: la fede
unisce al Figlio amato dal Padre, l'amore diviene
espressione e frutto di quest'unione. L'uomo diviene
figlio di Dio quando crede e si manifesta tale amando!
Non è inutile il S.Battesimo, che consacra la fede nel
Signore Gesù generato dal Padre e datore del suo
Spirito! Il battezzato è già figlio di Dio, prima
ancora d'aver occasione o capacità d'amare!
Com'è grande la fede!
Com'è preziosa la mia fede!
Prima di amare qualunque altra cosa o persona, amo la mia
fede!
La mia fede è la porta aperta nel mio cuore all'amore
eterno e vero del Dio unico e santo!
La mia fede è garanzia della presenza in me del Figlio
di Dio!
La mia fede nel Figlio di Dio è la grazia e la salvezza
della mia vita, del mio essere nel mondo e nella società
degli uomini.
La mia fede in Gesù vale più del mio stesso vivere e
morire.
È da essa che vengo trasformato, è da essa che nasce un
amore continuo e fedele e gratuito, come quello del
Padre!
È da essa che sono salvato dalle tentazioni e dai
tentacoli del mondo che propone e impone l'indipendenza e
la solitudine, la violenza e la divisione, la magia e
l'apostasia.
È da essa che sono elevato ai cieli a godere le
meraviglie dell'amore del Padre per il Figlio e di Gesù
al Padre e a riconoscerle presenti nella santa Chiesa per
l'effusione del Santo Spirito!
4.
"Il più piccolo nel regno dei cieli è più
grande di lui." (Mt 11,11)
Gesù ha occasione di parlare di Giovanni Battista, il
suo precursore. Egli è l'uomo che gli ha preparato la
strada predicando con libertà, - e col rischio della
propria libertà, - la conversione e l'attesa della sua
venuta. È l'uomo che per lui ha sofferto le privazioni
del deserto e poi, per la sua fedeltà, anche quelle del
carcere. Gesù parla di lui e ne dice la grandezza.
"Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di
Lui"!
Persino Erode e persino il sommo sacerdote del grande
Tempio sfigurano di fronte a lui. Nessuno starebbe al
confronto. Il compito di Giovanni non l'ha avuto nessuno,
nemmeno i grandi profeti. Egli solo ha indicato l'Agnello
di Dio. Per un attimo addirittura egli - il battezzatore
- è apparso più grande di Gesù agli occhi degli
uomini: lo ha accolto nell'acqua e lo ha battezzato: è
stato testimone dell'umiltà del Figlio di Dio! Come mai
Gesù dice che il più piccolo nel Regno è più grande
di Lui? Chi sono i piccoli del Regno dei cieli?
I piccoli del Regno sono coloro che credono in Lui, in
Gesù, coloro che credono che Gesù è mandato dal Padre,
coloro che lo seguono e lo servono. I piccoli nel Regno
sono coloro che si sono uniti al Figlio immergendosi
nella sua morte e nella sua risurrezione.
Il più piccolo nel Regno sono io, battezzato nel nome
di Gesù!
Battezzato nel suo nome io sono tralcio unito alla vite,
sono luce del mondo, sono sale della terra!
Battezzato nel nome di Gesù io sono membro del suo
Corpo!
Giovanni Battista non poteva dire di essere membro del
Corpo di Cristo, io invece lo posso dire!
Io sono parte del suo Corpo, in cui abita la pienezza
della divinità! Ecco perché, benché piccolo nel Regno,
sono più grande di Giovanni!
Non mi vanto di alcuna grandezza, mi vanto di Gesù, che
è il Regno dei cieli stesso, quel Regno in cui il Padre
può pronunciare la prima e l'ultima parola! Mi vanto di
Gesù, fondamento dell'edificio di cui io sono pietra
viva! Egli è grande, egli è la vite, egli è il capo!
La mia fede in Gesù mi ha trasformato. La mia fede in
Lui, quella che ho ricevuto nella Chiesa, mi ha reso
piccolo nel Regno e grande tra gli uomini. Anzi, la mia
fede, rendendomi figlio, insieme a Gesù, del mio Dio, mi
fa stare nel mondo come uno che ne è già fuori, già
sopra. La mia fede in Gesù mi fa stare nel mondo come
sua luce, come suo lievito, come servo della sua
trasformazione.
Chi nel mondo è senza strada, la può trovare perché io
sono in esso come luce; chi nel mondo è senza speranza,
può risorgere perché in esso ci sono io come figlio;
chi nel mondo è senza cibo, può esser saziato, perché
ci sono io come pane e fonte d'acqua. La mia fede in
Gesù - che mi rende membro del suo Corpo e pietra del
suo Edificio - mi fa grande, vero servo delle necessità
vitali degli uomini.
Attraverso di me Dio li salva! Egli, non io, li salva! E
li salva per merito esclusivo di Gesù, cui sono unito.
Come amo la mia fede! Essa è la ricchezza più vera,
perché tenendomi unito al Corpo di Cristo - che è la
Chiesa - mi rende utile al mondo e all'amore di Dio per
esso!
Amo la fede che mi fa più grande dei grandi della terra!
5.
"Se non ascoltano Mosè e i profeti, neanche se
uno risuscitasse dai morti saranno persuasi." (Lc
16,31)
Gesù sta parlando delle diverse situazioni degli
uomini. C'è il ricco e c'è il povero. Fin qui nulla di
particolare. Tutti hanno diritto di esistere. Ciò che
occupa il cuore di Gesù è il fatto che tra loro non vi
sia nessuna comunione. Non è colpa del povero, che va
spesso - se non tutti i giorni - alla porta del ricco:
egli cerca di stabilire una, se pur misera, forma di
comunione, quella del mendicante che chiede il minimo
vitale. Solo i cani del ricco rispondono a questa ricerca
di relazione. Il ricco non vede. Egli è occupato, fino
alla morte, con il problema di consumare quanto possiede.
Egli non vede nessuno se non dopo la propria morte. Solo
allora s'accorge che ci sono gli altri. Quando egli è
nei tormenti si aprono i suoi occhi per vedere il povero
e per ricordarsi dei suoi fratelli, che - come lui - sono
occupati dal piacere. Vorrebbe per loro un messaggio
speciale. Egli sa che essi non si lasciano toccare da
nulla. Per loro è necessario un colpo inaudito, la
resurrezione di un morto che testimoni che c'è un al di
là e che cosa in quello ci attende!
Ed ecco la risposta che Gesù mette in bocca ad Abramo:
"Se non ascoltano Mosè e i profeti, neanche se uno
risuscitasse dai morti saranno persuasi."
Noi non fatichiamo ad approvare questa conclusione.
Vediamo molti che dicono di sentire voci dall'al di là,
di riceverne i messaggi, di vedere o averne visto le
bellezze, eppure non sono "persuasi". Questo
sapere che c'è l'al di là e sapere che esso è abitato
da coloro che erano al di qua non è sufficiente a far
cambiare la vita, a mutare l'orientamento egoistico, ad
aprire gli occhi per vedere il povero che cerca
comunione. Né l'opera strabiliante dei maghi e degli
indovini è sufficiente né il miracolo più attraente è
capace di far fare una svolta alla vita d'un uomo.
Solo la fede compie questo miracolo. Solo quella fede
umile che si mette in ascolto degli amici di Dio. La fede
che prende sul serio quanto Dio ha già detto, quanto
egli ha già manifestato, quanto egli ha rivelato, quella
fede può salvare l'uomo dalle tendenze dell'egoismo,
dalle tentazioni che trascinano alla perdizione eterna.
E questa è la mia fede. Questa è la nostra fede. Questa
è la fede che la Chiesa mi trasmette, mettendomi ogni
settimana e ogni giorno in ascolto delle Scritture. È
una fede umile, perché le Scritture ci sono state donate
attraverso uomini; esse risentono della cultura degli
uomini e dei loro limiti. È una fede silenziosa, perché
spesso non capisce e non intende, ma continua ad
ascoltare e attendere che colui che parla doni pure lo
Spirito, il soffio, che fa penetrare nel cuore la Verità
anche sorpassando la nostra intelligenza.
È una fede immersa nel mistero, che vive già in
anticipo la gioia che attende nel futuro.
È una fede operosa, perché mi fa gustare comunione con
coloro che hanno creduto e con coloro che credono e con
coloro che vivono dell'amore del Padre, coi poveri!
L'ascolto umile e obbediente delle Scritture, di Mosè e
dei Profeti, mi fa scoprire accanto a me la presenza del
Risorto, di colui che davvero è venuto dall'alto per
portarci con sé in Alto, nel cuore del Padre. L'ascolto
delle Scritture è la luce che apre gli occhi per vedere
l'Unico risuscitato dai morti, a vederlo ogni giorno allo
"spezzare il pane", sia allo spezzare il pane
nell'assemblea festiva che nella solidarietà quotidiana.
Sono fiero della fede che mi fa ascoltare le Scritture
invece che portarmi alla ricerca del sensazionale e dello
straordinario!
Sono lieto e riconoscente di questa fede umile e
silenziosa che produce quella comunione che mi fa gustare
la festa del banchetto eterno!
Fede amata, vera fede nell'amore del Padre!
6.
"Aumenta la nostra fede!" (Lc 17,5)
Finalmente gli apostoli aprono la bocca! Gesù ha
parlato ai suoi discepoli - a tutti - delle varie
esigenze della sequela. Sono tutte grandi, tutte
impegnative, tutte cambiano gli orientamenti 'normali'
della vita; ma l'ultima, quella che li impegna a
perdonare sette volte al giorno, è la più grossa!
Nemmeno Mosè, col suo coraggio e con la sua autorità
aveva azzardato tanto, anzi, egli aveva dato una parola
di Dio per regolare la vendetta alla pari: occhio per
occhio, dente per dente. Gesù non ne tiene conto. Egli
tiene conto solo del motivo per cui Mosè ha frenato la
sete di vendetta dell'uomo verso l'altro uomo, del
peccatore verso il peccatore, e dà un nuovo colpo di
freno così a fondo da arrestare ogni movimento di
reazione al peccato, all'offesa.
Se tuo fratello pecca, perché tu dovresti sostituire
l'amore che hai sempre avuto per lui con l'odio? Se tuo
fratello pecca devi tu smettere la somiglianza con il
Padre tuo, che è misericordioso e lento all'ira? Se tuo
fratello pecca contro di te, non hai tu in questo fatto
un'occasione preziosa per rivelare il volto del tuo Dio?
Gli apostoli comprendono. Le parole di Gesù non possono
essere vissute che nella fede, nel rapporto amoroso col
Padre, nella fiducia posata completamente su di lui. La
vita che Gesù propone, con tutti i suoi risvolti
personali sociali ed economici, è affrontabile solo se
c'è una fede grande e forte.
Ed ecco che essi, con umiltà, ma con decisione,
chiedono:
"Aumenta la nostra fede!"
Essi sanno d'avere una fede piccola.
Essi sanno che essa è dono e che è un dono che Gesù
stesso può accordare.
"Aumenta la nostra fede!"
Non rifiutiamo la tua Parola. Non rifiutiamo né ci
ribelliamo alle tue esigenze, non ci scoraggiamo vedendo
quanto siamo lontani dal tuo modo di vivere e di vedere
la vita dei figli di Dio, ma intervieni tu.
"Aumenta la nostra fede!"
Noi crediamo già, siamo già arrivati sulla strada
che porta al Padre, già abbiamo iniziato a prendere sul
serio la tua Parola e vogliamo prendere sul serio tutto
quello che ci hai detto, ma non abbiamo la forza di
attuarlo. Non è dell'uomo vivere la vita divina!
"Aumenta la nostra fede!"
Il dono di Dio è grande, ma non è abbastanza. Siamo
credenti, ma troppo poco. Sii più generoso con noi.
Donaci una fede diversa da quella degli altri, più
grande.
Gesù ascolta la richiesta dei dodici e sente muoversi
in essa una congerie di sentimenti e convinzioni: alcuni
da rimproverare, altri da illuminare, altri da
apprezzare.
Ciò che piace a Gesù in questa domanda è senza dubbio
l'umiltà che l'ha fatta salire alle labbra. Agli umili
Dio fa grazia. La grazia però non è un aumento di fede!
Strano! Gesù sembra non approvare il fatto che la fede
vada aumentata. Essa - anche fossimo sicuri che è
piccola - va esercitata. È una grazia sapere che la
nostra fede è poca, che essa è debole. La risposta di
Gesù è l'apprezzamento per quella che c'è. Essa, per
quanto piccola, - il paragone è col minuscolo e
impalpabile seme di senape - è così viva e grande e
potente che può compiere opere divine. Se tu agisci
praticando la fede che hai, anche se ti sembra poca,
t'accorgerai che Dio è presente e operante!
Fidati di Dio, e riuscirai a perdonare una, due, tre,...
sette volte al giorno.
Fidati del Padre, e riuscirai a vivere la sobrietà e la
povertà con gioia!
Fidati del Padre, e riuscirai a godere del ritorno del
fratello traviato.
Fidati del Padre, e riuscirai a vivere la verginità e la
purezza richiesti dal tuo esser figlio di Dio.
Fidati, affidati, e le piante si sradicheranno e i monti
si sposteranno per fare strada all'amore senza confini
del tuo Dio: e il tuo cuore sarà uno col suo!
7.
"...perché, credendo, abbiate la vita nel suo
nome!" (Gv 20,31)
L'evangelista Giovanni scrive il motivo per cui ha
narrato alcuni tra i molti segni operati da Gesù durante
la sua vita terrena e dopo la sua risurrezione. Essi sono
destinati ad alimentare la fede dei cristiani.
"Affinché crediate che Gesù è il Cristo, il
Figlio di Dio
perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome!"
Ecco descritta in sintesi la fede: essa non è credere
in Dio, non è credere che c'è Qualcuno al di sopra di
noi, non è un senso religioso indefinito; la fede quindi
non è quella di qualsiasi religione.
Non chiunque crede qualcosa ha la fede. Fede è credere
che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio! Qui il termine
'credere' significa ritenere per certo, professare che è
vero che Gesù è il consacrato da Dio, cioè incaricato
e abilitato ad agire a suo nome e con la sua potenza!
Questo Cristo è il Figlio di Dio, ha con Dio un rapporto
così vicino di dipendenza, di origine. Egli è
l'Unigenito dal Padre, come lo stesso evangelista scrisse
iniziando a scrivere il Vangelo. Il Figlio di Dio è
Gesù, è l'uomo venuto nella carne, morto e risorto!
Ecco il contenuto della fede, la prima e fondamentale
notizia cui aderire. A che cosa serve? A che serve
credere in questo? Quale scopo ha il credere in Gesù,
Cristo, Figlio di Dio? Lo dice lo stesso evangelista:
"...perché, credendo, abbiate la vita nel suo
nome!"
Questa è la fede che dà la vita. Qualunque altra
fede non dà la vita.
Credi in un Dio qualunque? Non hai la vita.
Credi in Allah? Non hai la vita.
Credi nel Dio dei Testimoni di Geova? Non hai la vita.
Credi negli dèi pagani? Non hai la vita.
Credi nel Dio di Buddha, se ne ha uno? Non hai la vita.
Credi in una tua propria immagine di "dio", il
Dio lavoro, il Dio denaro, il Dio progresso...? Non hai
la vita!
Al limite, credi nel Dio dell'Antico Testamento, senza il
compimento delle sue promesse? Non hai la vita, come non
l'avevano i farisei incontrati da Gesù.
Credi in Gesù, consacrato da Dio e suo Figlio? Hai la
vita!
Vuoi provare? Per capire bisogna provare. Io non ho
parole per spiegarlo. Certo, un morto non sa cos'è la
vita. Glielo puoi cercare di spiegare, non lo capirà.
Io so che fino a quando non ho aderito con chiarezza e
coscientemente a Gesù ero come... morto. La fede che
avevo mi costringeva ad agire con onestà, con purezza,
con sincerità. La fede in Dio mi dipingeva i miei
peccati come orribili azioni e mi faceva sentire in colpa
spesso e volentieri, perché incapace di evitarli. La
fede in Dio mi rendeva impegnato, impegnatissimo, ma
anche triste e teso, in continua tensione per gli impegni
imposti dalla fede. Che tristezza, credere in Dio! Era un
Dio senza volto. Era sì il Dio unico, il Dio di tutti,
il Dio di sempre, ma mi faceva scoprire creatura sempre
infedele. Credere in Dio: una morte! Capisco perché
molti non vogliono credere in Dio. E ora io non dico a
nessuno di credere in Dio.
Io credo in Gesù, Cristo Figlio di Dio!
Credendo in Gesù mi sento amato, voluto, desiderato.
Credendo in Gesù sento entrare in me un soffio diverso,
una vita! E credendo in Lui sento una comunione bella e
profonda con chi mi dice che egli pure crede in Lui!
Credendo in Gesù so d'essere figlio, di avere un Padre
che mi dà fiducia e apprezza la mia vita, il mio lavoro,
il mio riposo. Credendo in Gesù scopro il volto di Dio,
tanto da non chiamarlo più Dio, ma "papà"!
Credere in Gesù, Cristo Figlio di Dio, entra in me una
vita che sperimento nuova e vera, profonda e duratura,
che cresce e matura incessantemente. Potessi anch'io
scrivere un Vangelo perché tu credendo abbia la vita! Ma
non occorre: esso è già scritto, è spiegato, è
illustrato!
Grazie, Signore Gesù, Cristo Figlio di Dio, per la
vita che ricevo credendo in te! Sono contento di dirtelo
e di rinnovare questa fede che mi unisce a tutti coloro
che credono in te risorto dai morti, tanto da sentirmi
con loro una famiglia.
8.
"Vista la loro fede..." (Lc 5,20)
Gesù vede la fede.
Ho sempre pensato che la fede fosse una realtà
invisibile, qualcosa che può rimanere nascosta nel cuore
dell'uomo.
Gesù invece vede la fede di alcuni uomini silenziosi
saliti sul tetto della casa dov'egli si stava
intrattenendo con scribi e farisei in importante
conversazione.
Gesù vede quello che io non vedo, egli vede ciò che gli
altri uomini non vedono. La fede allora è visibile? Sono
i miei occhi ciechi? Oppure io non sono abituato a
"leggere" ciò che gli altri uomini non vedono?
Ho provato a guardare con Gesù.
Gesù ha visto come si muovevano quegli uomini, alcuni
sani e uno paralitico. Dai loro gesti ha colto i
sentimenti del loro cuore.
Egli ha "visto" in quale rapporto essi si
mettevano con lui. Lo hanno cercato, hanno voluto a tutti
i costi giungere a lui per porgli davanti il più debole
e povero di loro. Essi ne hanno portato il peso, non se
ne sono vergognati. Non hanno avuto soggezione dei
"grandi" venuti da Gerusalemme, né hanno
badato alle regole del galateo di non disturbare, di non
interrompere, di non rovinare.
Quegli uomini sono stati decisi nel voler raggiungere
Gesù, perché Egli si trovasse davanti concretamente e
visibilmente il motivo della loro sofferenza e del loro
bisogno. In questa decisione, mossa da una grande
speranza, Gesù ha visto fede.
Che fede ha "visto" Gesù?
Che cosa è "fede" per lui?
Quegli uomini non hanno pensato di portare il loro amico
nella sinagoga, luogo d'incontro e di preghiera. Essi non
hanno nemmeno pensato ad una preghiera particolare e
nemmeno a recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme per
offrire un sacrificio.
Essi hanno fatto l'impossibile per "depositare"
il loro peso davanti a Gesù! Essi hanno così
manifestato fede in lui: di lui hanno avuto fiducia, più
che della preghiera, più che della sinagoga, più che
dei riti del tempio nella Città Santa! Col loro gesto
essi hanno fatto vedere che ritenevano Gesù e la sua
Volontà e la sua Parola come la vera Presenza del Dio
Amore, il Dio che ama l'uomo debole e sofferente.
Non si sono sbagliati.
Gesù ha visto che essi volevano entrare in rapporto con
lui, che essi lo avevano già accolto nella loro mente e
nel loro cuore come un dono di Dio; ha visto che essi
hanno manifestato la certezza che Dio è misericordioso,
è fedele, è potente, è amico dell'uomo, è pietoso, è
attento all'uomo sofferente, e che questo Dio vede con
gli occhi di Gesù, ama col suo cuore, parla con le sue
labbra, agisce con le sue mani.
Essi credono che Gesù è presenza di Dio, è Dio!
Essi credono che Dio ha mandato tra di loro e per loro
Colui che lo rappresenta.
Essi credono che Dio non li ha abbandonati, anzi, si è
avvicinato a loro concretamente in Gesù!
Gesù ha visto la loro fede!
Essi non hanno aperto bocca, eppure Gesù ha visto la
loro fede.
Avvicinandosi a lui essi si sono ritrovati all'inizio del
cammino di Adamo, si sono ritrovati a tu per tu con Dio,
come se non gli avessero mai voltato le spalle.
Avvicinandosi in quel modo a Gesù essi hanno accolto il
dono che Dio porge agli uomini: si ritrovano faccia a
faccia con lui, umili e accoglienti.
Dio è di nuovo Padre per loro!
Così Gesù deve riconoscere che la distanza causata
dalla spaccatura del peccato è stata eliminata.
Egli "deve" dire al paralitico: "Ti sono
rimessi i peccati!" come se dicesse: "Non c'è
più separazione tra te e Dio, perché tu hai accolto il
Suo dono, hai accolto Me."
Gesù ha visto la fede e ne dichiara le conseguenze.
9.
«Per opera sua credete in Dio, che l'ha risuscitato
dai morti e gli ha dato gloria e così la vostra fede e
la vostra speranza sono fisse in Dio.» (1Pt 1,21)
S.Pietro sta parlando dell'«agnello senza difetti e
senza macchia», agnello quindi di un sacrificio gradito
e riuscito, accolto ed esaudito da Dio. La nostra fede è
opera sua! Noi crediamo perché Gesù si è offerto al
Padre in sacrificio: la nostra fede è conseguenza di
quest'atto d'amore unico e irripetibile.
La nostra fede non è 'nostro' merito, non è 'nostra'
conquista nemmeno quando per viverla facciamo grande
fatica.
È sul Calvario che nasce la mia fede.
Io mi fido di quel Dio di cui si è fidato Gesù sulla
Croce. Mi affido a quel Dio nelle cui mani Gesù in croce
ha posto il suo Spirito. Io ho conosciuto Dio e ho
imparato a fidarmi proprio di lui quando ho cominciato a
vedere - contemplare - Gesù come agnello.
Se ora posso dire a Dio: "Tu sei mio Padre",
ciò è merito di Gesù! Se mi affido a Dio nelle
difficoltà e conto sulla sua opera e sulla sua potenza
è ancora merito di Gesù.
Conosco Dio grazie a Gesù e mi abbandono a lui ancora
grazie a Gesù!
"Per opera sua credete in Dio!"
È prezioso il mio credere perché scaturisce dalla
croce di Gesù, dal suo fianco trafitto. Amo la mia fede,
perché è frutto di quell'albero di vita irrigato dal
Sangue del mio Signore.
Posso vantarmi della mia fede, ma non posso vantarmi nè
del fatto che io credo nè del fatto che conosco il Dio
in cui credere e i misteri del suo volere e del suo
amore.
È un dono il mio credere; Gesù ha versato il sangue per
potermi offrire questo dono: ecco perché lo tengo caro.
Il sangue di Gesù! O meglio, il sangue del Corpo di
Cristo!
Gesù col suo sangue ha compiuto l'opera da cui
scaturisce la fede che ho ricevuto, ma poi, perché
questa potesse giungere fino a me s'è aggiunto il sangue
del Corpo di Cristo, cioè di tutte le sue membra!
Ne avevano coscienza gli apostoli. S.Paolo con chiarezza
scrisse: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto
per voi e completo quello che manca nella mia carne ai
patimenti di Cristo...!" Le sue sofferenze sono per
lui sofferenze del Corpo di Cristo. Gesù ci ha già
salvati con la sua morte e la sua morte ha riportato
vittoria sul peccato, sulla distanza cioè che ci tiene
separati dal Padre, ma perché questa vittoria potesse
arrivare a coinvolgermi ecco le tribolazioni affrontate
dagli apostoli, ecco il sacrificio dei martiri, ecco i
digiuni e le veglie degli asceti, ecco le fatiche dei
sacerdoti, ecco la fedeltà e la pazienza e la
misericordia dei miei genitori, la loro fatica
nell'istruirsi per poter dare a me, piccolo, le grandi
conoscenze che reggono la vita! Quanti sono i patimenti
di Cristo, portati e offerti dal suo Corpo! Il dono di
grazia guadagnato da Gesù sul Calvario continua a
correre le strade della terra sui piedi di coloro che con
lui e per lui si offrono in un perenne sacrificio
d'amore: sacrificio che sale da un fuoco sempre acceso
sul quale bruciano, come incenso fragrante, le membra del
Corpo di Cristo!
Com'è preziosa la mia fede! Quale prezzo è stato
pagato perché essa dal Calvario di Gerusalemme potesse
raggiungermi qui!
Amo la mia fede, fede di apostoli e di martiri, fede di
santi, fede dell'unica Chiesa davvero fedele!
10.
"Alcuni aderirono a lui e divennero
credenti." (Atti 17,34)
Hanno avuto un bel coraggio Dionigi e Damaris e
qualche altro ad accogliere la fede in Gesù, risuscitato
dai morti! Hanno avuto il coraggio di distinguersi da
tutti gli altri, sapienti e grandi, gente importante di
Atene.
Fin che S.Paolo parlava degli dei e del Dio ignoto, del
Dio grande, creatore di tutto e di tutti, vicino a noi
più di noi stessi, presente e quasi immedesimato nella
nostra vita e nella nostra storia, tutti stavano ad
ascoltare. Fin che si tratta di osservare e di ammirare e
di ragionare sulle esperienze e sulle opere degli uomini
tutti pensano e ci stanno.
Quando però l'apostolo comincia a riportare la Parola
di quel Dio grande, parola che tocca l'agire degli uomini
per cambiarlo, allora gli orecchi si chiudono, almeno per
il momento: "Ti sentiremo su questo un'altra
volta". Un Dio che parla, un Dio che agisce nella
vita dell'uomo, anche se vi agisce per risuscitarlo da
morte, è un Dio scomodo, un Dio da mettere da parte per
altra occasione. Per essi ora è l'uomo che deve agire.
Dio non deve occupare lo spazio dell'uomo. Paolo deve
tacere. I grandi e i sapienti non negano che Dio sia
giudice della terra, ma non sopportano che egli giudichi
per mezzo di un uomo, anche se risuscitato dai morti. Per
essi il giudizio di Dio dev'essere racchiuso dentro leggi
e frasi sapienti, non dev'essere in bocca ad un uomo:
nemmeno se questi è risuscitato!
Ai sapienti rimane la loro "sapienza".
Dionigi e Damaris invece divennero credenti. Quale
miracolo è avvenuto in loro? Essi si sono abbassati,
hanno affidato la loro vita non più alla propria
sapienza, ma a quel Gesù ora annunciato come giudice
costituito da Dio. Hanno ritenuto se stessi ignoranti e
impotenti e peccatori; Paolo aveva detto infatti:
"Dopo esser passato sopra ai tempi dell'ignoranza,
ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di
ravvedersi". Essi hanno avuto l'umiltà di
ritenersi, pur essendo greci, uguali a tutti gli altri e
bisognosi come gli altri di cambiare modo di vivere.
Divennero credenti. La fede negli dèi che prima
adoravano non era fede. Solo ora divengono credenti. Da
quando nella loro vita entra Gesù essi diventano
credenti. Prima erano nei "tempi
dell'ignoranza"!
Avevano sì il "dio ignoto", dal cui nome
ignorato Paolo prende lo spunto per parlare del Dio
conosciuto! Avevano persino poeti con intuizioni su Dio
che si possono condividere. Già delle stelle brillavano
nella loro notte, ma la notte rimaneva buia: erano tempi
dell'ignoranza. Chi non conosce Gesù, chi non crede alla
sua risurrezione dai morti e non si sottopone al suo
giudizio è nei tempi dell'ignoranza!
Potete dirmi che alcune credenze sono fondate su
filosofie antichissime e su tradizioni accolte da popoli
immensi, tanto da guadagnarsi il titolo di grandi
religioni. Ma l'antichità e la diffusione non fanno
verità.
Io mi metto dietro a Dionigi e dietro a Damaris, derisi
con Paolo, per credere alla prova data da Dio a Gesù col
risuscitarlo dai morti e lasciarmi giudicare dalla sua
parola!
E amo questa fede; miracolo del Dio vivente!
11.
"Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria
di Dio?" (Gv 11,40 )
Ci troviamo davanti ad una tomba, una di quelle
scavate nella roccia del pendio d'una montagna, un po'
fuori Betania. Alcuni uomini si stanno avvicinando alla
grossa pietra che la chiude, per smuoverla. La sorella
del morto fa qualche rimostranza. Il morto non è solo
morto, ora già manda odore. Non si può smuovere la
pietra, altrimenti bisognerebbe scappare.
È a questo punto che Gesù, meravigliato per
l'intervento di Marta, fa questa domanda: "Non ti ho
detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?". Ci
sono due notizie importanti dentro questo interrogativo
di Gesù. Anzitutto questa: della sua parola non occorre
dubitare. Quel che lui ha detto avviene certamente. Ciò
che esce dalla bocca di Gesù, Figlio di Dio, si realizza
sicuramente, come si realizza "ciò che esce dalla
bocca di Dio".
Gesù è manifestazione del Padre, e così la sua Parola.
Come non si può e non si vuole dubitare della Parola di
Dio così non si deve dubitare della parola di Gesù!
Egli si meraviglia che Marta invece ne dubiti. Forse che
lei non è credente? Proprio lei che appena prima aveva
detto solennemente: "Sì, o Signore, io credo che tu
sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel
mondo". Tra il dichiarare la fede e il viverne le
conseguenze passa differenza, ci vuole esercizio pratico!
La seconda notizia che Gesù dà è questa: chi crede,
vede l'invisibile. Chi vive nella fede vede la gloria di
colui che nessuno ha mai visto. La gloria di Dio c'è
anche se io non la vedo. Ma i miei occhi si possono
aprire per accorgersi della Presenza di Dio. Che cos'è
la gloria di Dio? È il modo concreto e visibile
attraverso cui Dio si manifesta, attraverso cui cioè
posso accorgermi che Dio è amore, è Padre, è colui che
dà la vita a chi ne è privo, colui che fa quanto ha
promesso a favore dell'uomo povero e peccatore.
Gesù sta per mostrare la gloria di Dio a Marta. Ella
però deve credere. Ella deve fidarsi di Gesù, deve
affidarsi al suo discernimento, lasciare che i presenti
ubbidiscano al suo ordine, così anormale, di aprire il
sepolcro, ella deve rimanere appoggiata sulle parole
udite e non sul proprio ragionamento.
Gesù aveva appena presentato la fede come
l'atteggiamento di chi lo accoglie come propria vita per
il tempo e per l'eternità: "chiunque vive e crede
in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?".
Se Marta non continuasse a credere tra poco vedrebbe
sì Lazzaro uscire dalla tomba, ma non riuscirebbe a
riconoscere la presenza viva e operante di Dio in Gesù.
Se Marta non credesse, il rivivere di suo fratello
sarebbe solo notizia da prima pagina di giornale e non
cambierebbe nulla in lei.
Se ella crede, invece, quel morto che ode la voce di
Gesù diverrebbe per lei un nuovo luogo della Presenza di
Dio, altrettanto grande e solenne del tempio santo.
La gloria di Dio è vedere un morto che ubbidisce a Gesù
e ricomincia a camminare con l'aiuto di qualcuno che lo
libera dalle fasce con cui altri l'avevano bloccato nella
morte.
Marta, credente in Gesù Figlio di Dio, quante volte
vedrà la sua gloria! Ogni persona, bloccata nella
propria impotenza dalle abitudini e credenze e modi
'normali' praticati da tutti in generale, che comincia a
camminare con i propri piedi in obbedienza alla chiamata
di Gesù, è gloria di Dio!
Chi crede nel Figlio di Dio ne gode immensamente!
Signore Gesù, tu che sei risorto per non ricadere mai
più nella morte nè nella minaccia o nella paura della
morte, tu sei l'uomo vivente, la gloria di Dio per
sempre!
Guardando te vedo davvero gloria di Dio, Gesù risorto!
Alleluia!
12.
"Coloro che credono in Dio si sforzino di essere
i primi nelle opere buone." (Tt 3,8)
Ho parlato fin qui della bellezza della fede. E
chissà quanto ancora si potrebbe aggiungere! La nostra
fede mette in luce la Presenza e il Volto del vero Dio,
che non riusciamo mai a fissare, perché splendente come
il sole. Vediamo solo i vari aspetti del nostro vivere
illuminati e riscaldati e resi significativi e belli
dalla sua luce che li raggiunge da varie angolature
diverse.
Per questo amo la nostra fede!
Essa però diventa capacità e forza e stimolo ad
assomigliare a quel Dio in cui crediamo. Egli è amore, e
noi - credendo in lui - non possiamo che disporci ad
amare. La fede vera, man mano si sviluppa, ci fa crescere
nell'amore! Se questa crescita non avviene è segno che
la fede che diciamo di avere o non c'è o è piantata
male. Un fiore reciso è ancora fiore, ma non produrrà
frutto; così è di una fede bella, ma senza radici
nascoste.
S.Paolo ha raccomandato al suo discepolo Tito di vegliare
sulla fede dei cristiani, una fede che deve rimanere
ortodossa, cioè non deviare verso credenze e opinioni
umane per quanto attraenti o impressionanti, fondata
sulla risurrezione di Gesù, una fede, ma che deve pure
esser vista attraverso opere buone!
L'amore per il loro Dio deve spingere i cristiani a
farlo conoscere. E se Dio è amore lo si può far
conoscere con opere d'amore. Se Dio è bontà lo si fa
conoscere con le opere buone! I cristiani perciò, che
conoscono e amano e si affidano a Dio Padre, amante degli
uomini, faranno a gara a compiere quei gesti che fanno
risplendere la sua luce e il suo amore per gli uomini.
Quali sono le opere buone? Sono infinite, perché
infinito è Dio, il Buono!
Ed è il suo Spirito che le suggerisce e le alimenta e
poi ne diffonde la luce perché chi le vede le possa
riconoscere come opera e dono e splendore di Dio.
L'apostolo che ci ricorda questa grazia e dovere dei
credenti elenca pure, in nostro aiuto, alcune opere buone
nelle quali si devono distinguere i credenti: "esser
sottomessi ai magistrati e alle autorità",
"obbedire", "non parlar male di
nessuno", "evitare le contese, essere mansueti,
mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini".
(3,1-2)
Sembra che S.Paolo veda risplendere sui cristiani la
stessa luce che emanava da Gesù! È lui il sottomesso,
l'obbediente, è lui mite e umile di cuore, è lui colui
che non parla male di nessuno, nemmeno dei suoi
carnefici!
Gesù è il vero e primo credente, il primo nelle opere
buone. Gesù è l'esempio e il modello per chi crede in
Dio.
Egli non è solo un esempio. Non mi limiterò a guardare
i suoi gesti per imitarli. Cercherò invece di tenermi
unito a lui - come tralcio alla vite - perché anche
nuove opere buone, per nuove circostanze, possano esser
prodotte da lui in me!
"Tutto posso in colui che mi dà forza!"
Signore Gesù, tu che sei mite e umile e dolce con
tutti, che sei ubbidiente e sottomesso con amore, che sei
benevolo verso tutti e per tutti ti sei offerto senza
riserve, continua ad operare in me secondo questo tuo
stile, con un amore che porti queste caratteristiche.
Così anche la mia esistenza contribuirà a far conoscere
il Dio vivente, a farlo amare da molti!
13.
"Fissando lo sguardo su Gesù, autore e
perfezionatore delle fede". (Ebr 12,2)
Per la seconda volta colui che scrive la lettera agli
Ebrei invita a fissare l'attenzione su Gesù. La prima
volta (3,1) lo presenta come "apostolo e sommo
sacerdote della fede che noi professiamo"; questa
volta "autore e perfezionatore della fede"!
La fede non è possibile senza Gesù! È lui che la
forma, lui che l'annuncia, lui che la consacra e la porta
a compimento.
Di fede ce n'è stata e ce n'è molta nel mondo e nella
storia. La stessa lettera fa un lunghissimo elenco di
personaggi vissuti nella fede e testimoni della fede, da
Abele fino agli ultimi profeti, e fino ai martiri delle
persecuzioni sopportate dal popolo ebraico.
È una fede che rende "graditi a Dio", perché
si crede "che egli esiste e che ricompensa coloro
che lo cercano". È una fede che fa offrire doni a
Dio, che dà luce per vedere la condanna in cui si trova
il mondo, che fa obbedire alla chiamata di Dio, che fa
attendere la Città eterna! È una fede che ad Abramo fa
offrire il figlio, che fa essere profeti e fa sopportare
persecuzioni e sofferenze fino alla morte. È forte
perciò questa fede, è grande, fruttuosa.
Ma di essa l'autore è Gesù. Se non ci fosse la
speranza della sua ricompensa, la vita eterna e la
risurrezione che lui ha inaugurato, questa fede sarebbe
illusione. È Gesù l'autore della fede che rende gli
uomini testimoni di Dio nelle prove dure, nelle lotte e
nelle tribolazioni che li fanno soffrire dopo essersi
dati a lui. Egli è pure l'autore della fede dei
patriarchi e dei profeti che non l'hanno conosciuto,
eppure l'hanno atteso e desiderato.
Ed è lui il perfezionatore. È lui che illumina
pienamente il nostro credere, in modo che sappiamo chi è
quel Dio cui ci affidiamo, e quanto possiamo fidarci di
lui.
Ed è ancora Gesù che perfeziona, nel senso che porta a
compimento, rende perfetta la nostra fede: la rende
perfetta perché ci immerge nel mistero così chiaro
della sua morte e risurrezione. Così la nostra fede ci
porta a offrirci in sacrificio spirituale, a far morire
"ciò che di noi appartiene alla terra", a
morire a noi stessi rinnegando le nostre voglie e
concupiscenze, a tenere il cuore disponibile alle
necessità dei fratelli, è ancora la nostra fede che ci
stimola a stimare gli altri superiori a noi stessi, a
praticare la carità di Dio, a vivere trasformando il
nostro ambiente in un luogo dove regna l'amore, a cercare
la pace con tutti fidandoci di Dio come di un papà che
davvero ci vuol bene!
Egli perfeziona la nostra fede anche nel senso che la
vive lui per noi: egli si offre al Padre, per noi! Egli
si affida a lui, per noi. Egli muore mostrandocene
l'amore, il volto, la misericordia, la fedeltà, e così
noi siamo facilitati, quasi sospinti con dolce forza, ad
amarlo e ad offrirci a lui.
Gesù vive per noi sulla croce la pienezza della fede.
Quando grida: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai
abbandonato?" Gesù vive tutti i nostri momenti
difficili di fede, tutti i momenti in cui noi non saremmo
capaci di credere e ci lasceremmo sopraffare dalla paura
della sofferenza, della solitudine e della morte. Gesù
completa quella fede in cui noi vacilliamo. Gesù così
presenta al Padre la nostra fede perfezionata, completa,
pura: e il Padre la gradisce e ci premia!
Grazie a Gesù, autore e perfezionatore della mia
fede! Com'è bella la mia fede quando è pienamente
vissuta: ecco, la tiene in mano Gesù, e da sommo
sacerdote, la offre al Padre: essa vi sale come incenso
gradito e santo!
Grazie, Gesù, per la mia fede che tu custodisci!
14.
"Se noi manchiamo di fede, egli rimane
fedele!" (2Tim 2,13)
Questa citazione non è completa. Essa è preceduta da
un'altra frase: "se noi lo rinneghiamo, anch'egli ci
rinnegherà". Rinnegare Gesù è il non riconoscerlo
come nostro Maestro dopo aver goduto dei suoi
insegnamenti, non riconoscerlo nostro Salvatore, dopo
esser stati guariti e rivitalizzati da lui, non
riconoscerlo nostro Redentore, dopo esser stati perdonati
dalla sua Parola di misericordia. Se noi lo rinneghiamo
egli non può dire al Padre: "questi è mio
discepolo, questi è tuo figlio". Rinnegarlo
significa tornare al mondo, a quel mondo che gli è
nemico, che lo ha rifiutato e crocifisso. Tornando al
mondo impediamo a Gesù di poterci presentare al Padre
come suoi.
L'Apostolo S.Paolo ce lo dice. La nostra perseveranza
nell'amore di Gesù e nella fede in Lui è importante,
essenziale. Però anch'egli sa che la perseveranza è
talora difficile, e che la perseveranza nella fede
conosce alti e bassi, momenti di fervore e momenti di
apatia, di stanchezza, di aridità, di fatica, di buio,
di solitudine.
In questi momenti la nostra fede non è assente, ma è
poco incisiva, poco significativa, non è più
testimoniante. In questi casi la nostra fede è come il
motore di una macchina cui non arriva benzina. Il motore
c'è, ma non si muove e non muove nulla.
Cosa fare in questi momenti? Come reagire? L'Apostolo
dice: "se noi manchiamo di fede, egli è fedele
perché non può rinnegare se stesso".
Noi possiamo esser trovati mancanti di fede. Ci
possono essere giornate in cui non abbiamo più fiducia,
in cui dubitiamo della presenza del Signore accanto a
noi, giornate in cui siamo demoralizzati. Ebbene:
"egli rimane fedele".
Gesù continua a trattarci da amici, continua a stare con
noi, come è rimasto assieme ai suoi discepoli impauriti
e disperati sulla barca in mezzo alla tempesta di vento,
come s'è avvicinato ai due discepoli sfiduciati che
hanno abbandonato Gerusalemme per tornarsene a Emmaus,
come ha chiamato i sette che sul Mar di Galilea non
pescavano nulla senza di lui.
"Egli rimane fedele".
S.Paolo ce lo ricorda, così in quei momenti risorge la
nostra fiducia in lui. Sapendo che "Egli rimane
fedele" non permetteremo che la stanchezza,
l'inquietudine degli uomini, la violenza di Satana, la
paura delle difficoltà e della solitudine, la lunghezza
dell'aridità influiscano sulla nostra fede, sul nostro
cammino deciso col Signore.
"Egli rimane fedele!"
È più importante ciò che fa Gesù di ciò che siamo
capaci di fare noi. È più importante continuare la
nostra contemplazione del suo volto, che piangere sulla
nostra apatia, è più influente sul cuore del Padre la
fedeltà di Gesù che la mia stanchezza. Importante è
che Gesù possa dire di me: "Questi è mio! È
stanco, ma è mio! È tentato, ma è mio! È arido, ma è
mio! Ha una fede debole, ma è mio! È incapace di
fidarsi di me, ma è mio!"
Gesù, proprio così: sono tuo!
Tienimi per mano anche se mi vedi stralunato, sfiduciato,
senza amore. Continua la tua fedeltà: tu sei amore. Tu
sei obbediente al Padre, tu sei Figlio, tu sei lo sposo
della Chiesa. Tu sei il Capo del Corpo, di cui io sono
membro infermo, tu sei il medico venuto per i malati, tu
sei il perdono di Dio per i peccatori, tu sei la
risurrezione per i morti.
Tu non puoi rinnegare te stesso, tu devi continuare a
donare vita, luce, forza, perdono, a darci il pane che
nutre e il vino che rallegra, l'acqua che disseta! Gesù,
io vivo della tua fedeltà!
La mia fede, anche ci fosse solo per vedere la tua
fedeltà nella mia mancanza di fede, come è grande, come
è bella e preziosa!
Tu mi fai amare la fede che mi hai dato!
15.
"Riprovati in materia di fede!". (2Tm 3,8 -
1Tm 4,1)
Purtroppo conosciamo anche la possibilità di ritenere
veri errori e deviazioni in materia di fede. Questa non
è la debolezza di chi non riesce a fidarsi del Padre e
affidarsi a lui, ma è la pretesa o l'orgoglio di
affermare asserzioni che non sono fondate sulla sua
Parola, bensì su ragionamenti umani o su fantasie, più
o meno attraenti!
Anche questa è una possibilità. E non è così distante
dalle comunità cristiane, se già l'apostolo S.Paolo ha
dovuto occuparsene!
C'è chi, venendo a contatto con la dottrina cristiana e
con il Credo degli Apostoli, non abbandona il proprio
desiderio di affermarsi, di farsi maestro e di avere
discepoli e ammiratori. Del Credo accetta una parte,
quanto gli serve per farsi accogliere, e ne cambia
qualcosa per iniziare una novità, per proporsi come
maestro, per farsi ammirare come intelligente. "Io
professo il Credo della Chiesa, con alcune
varianti", mi ha detto una 'brava' persona, onesta,
gentile e sorridente.
Le piccole "varianti" al Credo sono quegli
appigli dell'orgoglio dell'uomo che lo tengono
completamente fuori dell'umiltà di Dio; e lo trattengono
nella tenebra. Chi mantiene in sé dell'orgoglio mantiene
la porta aperta al nemico di Dio. Chi si ritiene
superiore all'intelligenza della Chiesa chiude le porte
allo Spirito Santo. E dove non c'è lo Spirito di Dio non
può esserci la luce dei suoi misteri, nè la verità!
Perciò coloro che sono "riprovati in materia di
fede" "non progrediranno oltre, perché la loro
stoltezza sarà manifesta a tutti".
"Riprovati in materia di fede!"
Essi cambiano le verità della fede per giustificare
qualcuno dei propri atteggiamenti o delle proprie
abitudini. In pratica rimangono in balìa del proprio
egoismo non volendo sottomettersi del tutto
nell'obbedienza alla Parola, alla Chiesa, alla Tradizione
della Chiesa. Obbedire alla Tradizione della Chiesa è
esercizio e garanzia di umiltà, è grazia, è essere
membra di quel Corpo di Cristo glorioso che continua a
portare gli stessi segni della croce: non vengono mai
cambiati, nè tolti, nè cicatrizzati!
Amando la mia fede, mia perché è della Chiesa cui
appartengo, rinuncio a vedute personali, rinuncio a fare
del Credo una palestra di superbia e di vani
ragionamenti, e cerco invece fedeltà a coloro che
l'hanno vissuta e che in questa fede si sono santificati!
Mi accorgo che amo di più la fede, ed essa mi trasmette
maggior pace e serenità, se so che essa non è frutto
del mio ragionamento, ma un dono ricevuto, un aggancio
sicuro alla vita della Chiesa, una partecipazione chiara
alla vita dei Santi che ora fanno parte dell'assemblea
che loda in eterno la gloria del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo.
Signore Gesù, ti ringrazio, perché anche tu, come il
Padre, ti manifesti ai piccoli, ai poveri, agli umili. Ti
manifesti a coloro che accettano con semplicità la fede
della tua Chiesa, a coloro che obbediscono e amano senza
orgoglio, a coloro che cercano fedeltà agli insegnamenti
degli Apostoli.
Gesù, che ami la Parola di Mosè e dei Profeti, non ci
proponi di essere originali nel credere, ma di accogliere
con umiltà il deposito di fede della Chiesa, come tu sei
rimasto fedele alle Parole che hai trovato già scritte!
Ti ringrazio, e ti chiedo lo Spirito Santo, perché
anch'io sia trovato perseverante fino alla fine e non sia
riprovato in materia di fede! Abbi misericordia di me, e
salvami!
16.
"Se non credete non avrete stabilità." (Is
7,9b)
Il profeta Isaia parlava con grande decisione e
sicurezza. Egli godeva dell'esperienza di secoli di
storia del suo popolo, oltre che dell'esperienza
personale. Ripensando agli avvenimenti accaduti nel
passato egli poteva giungere a questa conclusione:
"Se non credete non avrete stabilità."!
La stabilità di un popolo non si fonda su se stesso, sui
propri valori, sulla propria forza, sulla propria
sapienza. Persino i popoli più potenti e valorosi e
quelli più intelligenti sono finiti nel nulla, quasi
tutti dimenticati.
L'unico popolo che al tempo di Isaia poteva vantare più
di un millennio di storia era il suo popolo, quello di
Dio, quel popolo che, nonostante errori e defezioni,
nonostante tradimenti e dimenticanze, aveva sempre
mantenuto un 'piccolo resto' di fedeli, di poveri
indifesi che ponevano la propria fiducia nel Dio vivente
e non si lasciavano ingannare dalla forza del denaro,
dalle promesse dei potenti, nè impaurire dalle minacce
dei violenti.
Essi s'erano abituati ormai a vedere la morte di questi,
l'inganno di quelli e l'illusione dell'oro, che pur
splendente e luccicante non dà mai a nessuno nè vita
nè gioia nè consolazione nè capacità d'amare!
Proprio questi poveri - a dispetto di tutta la boria e
saccenteria e la ricchezza dei grandi - avevano garantito
la continuità del popolo nella sua terra! Essi avevano
creduto. Essi avevano posto la loro speranza nelle
promesse del Dio vivo, quel Dio che tiene il suo Volto
nascosto, ma che si fa presente a coloro che, pur non
vedendolo, gli restano fedeli.
"Se non credete non avrete stabilità."
Ora il profeta propone quell'esperienza. Egli la propone
al popolo ebraico, ma questa sua parola vale per ogni
comunità: la comunità di un paese, di una nazione, di
una famiglia!
È Dio l'unico che può pronunciare l'Amen sicuro su ogni
vocazione, su ogni convocazione e su ogni promessa
dell'uomo.
Io credo che Dio è fedele. Mi fido della sua Parola
pronunciata, non delle mie prudenze e constatazioni. Mi
affido alle sua Promesse, e non alle mie decisioni, alle
sue benedizioni e non ai miei voti.
Io credo in te, Padre! Credo in te, Gesù, salvatore.
Credo in te, Spirito Santo vivificante.
La mia stabilità sei tu, Ss.ma Trinità!
La stabilità della mia famiglia sei ancora tu. Al di
fuori della fede in te non c'è esperienza di comunione,
non c'è amore che sappia arrivare fino al dono di sé,
fino alla sofferenza e alla morte! Al di fuori della fede
in te c'è continua incertezza, insicurezza, tensione e
paura! Fidandomi di te il mio cuore riposa, le mie membra
si saziano della tua Presenza, le mie incertezze si
rassicurano.
Credere in te è vita, è pace e grande sicurezza.
Com'è preziosa la fede che tu m'hai dato! Com'è bella
la fede che tu, con la tua fedeltà, coltivi in me e in
tutta la tua Chiesa! Amo la fede dei miei fratelli, amo
la mia fede, amo la fede che dà stabilità secolare al
mio popolo! Fede amata!
"Onore a voi che credete." (1Pt 2,7)
È S.Pietro che leva il cappello - se così possiamo
dire - a coloro che hanno dato alla propria vita come
fondamento la persona di Gesù. In un altro passo di
questa sua prima lettera (1Pt 1,8) egli manifesta stupore
e ammirazione vedendo che delle persone hanno saputo
credere in Gesù senza averlo mai nemmeno visto! Ora
tributa loro onore. Sono persone importanti quelli che
credono. La fede li innalza agli occhi di Dio: perché
non dovrebbero essere grandi anche agli occhi degli
uomini? Coloro che credono introducono nel mondo la
salvezza, portano nel bel mezzo degli uomini la presenza
della divinità, aprono i cuori dei peccatori alla
speranza, fanno vedere agli occhi stupiti e diffidenti
del mondo la vera pace, la comunione fraterna, la gioia
serena, l'amore gratuito e disinteressato. Chi più
benemerito di questi nella storia dei popoli? Perché
dare onore ai potenti che tiranneggiano, ai sapienti che
umiliano, ai ricchi che sfruttano, agli intelligenti che
si vantano, e non darne agli umili che aprono i cieli?
Onore dunque a voi che credete!
L'apostolo che scrive ora ai cristiani dell'Asia Minore
ha appena ricordato che essi sono l'edificio spirituale
costruito da Dio sul fondamento di una "pietra
d'angolo, scelta, preziosa": "chi crede in essa
non resterà deluso." Queste persone non si sono
lasciate ingannare, sono persone sicure e stabili, non
perché superbe o sicure di sé, ma perché è sicura la
"pietra" su cui sono fondate. Esse meritano
onore, perché di loro Dio si serve come di un edificio,
sia per abitarvi lui stesso, sia per accogliervi quanti
egli vuole amare, difendere, ristorare, accasare!
Onore dunque a voi che credete!
Mi sento onorato anch'io. Ed è nientemeno dell'onore del
primo apostolo, anzi di Gesù stesso, e quindi anche del
Padre, che io godo. Non m'importa che mi onorino o mi
disprezzino coloro che comandano nel mondo. Anche se essi
mi rifiutano, come rifiutano la pietra su cui io sono al
sicuro, non cambia nulla.
Continuo a credere, continuo a posarmi e a lasciarmi
portare da quella Pietra d'angolo. L'edificio che viene
costruito anche per la mia fede potrà un giorno
accogliere e riscaldare anche quelli che ora lo guardano
sprezzanti dall'esterno. L'amore che la mia fede
custodisce e alimenta è destinato anche a loro. La
speranza che rende vivi e luminosi i miei occhi è pronta
anche per loro.
Continuo a credere, continuo ad amare la mia fede, quella
fede che mi fa essere pietra viva unita alle altre pietre
vive perché possa innalzarsi in mezzo al mondo
l'edificio in cui molti si riparano, ricevono forza, sono
risanati, si rimettono a cantare!
Grazie, Signore Gesù, che mi onori insieme al Padre!
Ne godo!
È un onore che torna a gloria tua, perché è di Te e
del tuo Spirito che si riempie la mia vita quando credo.
È il tuo frutto che io porto, la tua sapienza che viene
manifestata in me quando credo.
È la tua gloria che risplende quando tu mi onori!
Per questo tu hai chiesto al Padre d'esser glorificato,
perché la tua gloria fa risplendere in tutto il suo
splendore la sua! Così anch'io godo che tu mi onori,
così la misericordia e la potenza d'amore e la fedeltà
del Padre appaiono agli occhi del mondo!
Gloria e onore a te, mio Signore Gesù!
"Ho conservato la fede." (2Tm 4,7)
Alcuni non hanno conservato la fede. Con tristezza
l'apostolo Paolo fa il nome di qualche discepolo che è
ritornato al mondo. Ritirandosi dalla fede in Gesù quel
fratello è ripiombato nelle tenebre, cittadino del regno
della morte. Paolo, incarcerato e prossimo ormai al
sacrificio supremo, può invece vantarsi di aver
conservato la fede.
La fede è considerata così come un tesoro, un bene
prezioso, ricevuto e conservato intatto per essere
consegnato. È un tesoro che ricorda i talenti o le
dramme che i servi hanno ricevuto e - dopo averli fatti
fruttificare - hanno riconsegnato al loro signore non
rimanendone privi, ma ricevendoli centuplicati.
Mi stupisce ancora che S.Paolo, vicino alla morte e
all'incontro col suo Signore, non dica: "Sono
rimasto nell'amore, ho continuato ad amare, ho compiuto
opere d'amore." Anche se ciò è vero, egli sa che
non sono quelle opere a salvarlo. Certamente è vero che
l'Apostolo che ha scritto l'inno alla carità lo ha pure
vissuto, ma egli può solo ricordare d'essere rimasto
nella fede.
Egli sa che è il sacrificio di Gesù che lo ha salvato,
è la carità di Gesù che lo ha fatto figlio di Dio e lo
ha reso perseverante nell'amare: egli sa dunque che è il
suo rimanere appoggiato su di lui, è la fede che lo
salva! Proprio come aveva detto Gesù: chi crederà e
sarà battezzato sarà salvo!
Se egli, apostolo di Cristo, ha amato fino a versare il
proprio "sangue in libagione", se egli per
amore dei pagani ha sofferto senza lamento naufragi e
battiture, fame freddo e lapidazioni, se egli ha offerto
il proprio corpo come sacrificio a Dio gradito, ciò è
avvenuto grazie alla sua fede. La fede ha sostenuto e ha
fatto da radice al suo amore!
"Ho conservato la fede."
Gesù gli direbbe: "sei rimasto con me nelle mie
prove." (Lc 22,28)
"Ho conservato la fede."!
Non è possibile conservare la fede come i funghi
sott'olio. La fede non è un oggetto, non è qualcosa di
estraneo alla vita. Essa è il rapporto di fiducia, di
abbandono, di amore al Padre e al suo Dono. Dire "ho
conservato la fede" è come dire: "Ho
continuato ad ascoltarti, Padre, ho continuato a
seguirti, Gesù, mi sono sempre abbandonato a te, Spirito
Santo! Ti ho ubbidito, Signore, ti ho servito, mi sono
lasciato guidare da te. E ora ancora faccio conto non di
ciò che io ho fatto, ma delle tue promesse, della tua
misericordia, della tua fedeltà."
"Ho conservato la fede."
Provo una santa invidia per l'apostolo. Ma sono pure
certo che Gesù ascolta ancora la preghiera dell'umile e
la porta sull'altare del cielo insieme al suo sangue.
Perciò, non potendo ancora io dire "ho conservato
la fede", dico:
Signore Gesù, tu che mi hai acquistato col tuo
sangue,
tu che mi hai conquistato col tuo amore,
tu che mi hai liberato molte volte dal male,
tu che sei risorto per attirarmi a te,
continua la tua fedeltà.
Io sono povero peccatore,
sono incapace d'essere fedele:
presenta tu al Padre per me la tua fedeltà.
Conserva tu la mia fede fino al giorno del mio incontro
con te e con la tua Chiesa, che canta l'alleluia della
tua fedeltà!
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