Seguimi
2 - continuazione
Parliamo
di unità perché la viviamo e perciò la conosciamo.
Pur
vivendola non la esauriremo mai: è una prerogativa di Dio, e può perciò esser
vissuta dagli uomini giacché vivono in Dio, ma non la vivremo mai
esaurientemente.
Dio
vive l'unità. Gesù lo manifesta. Dio può vivere l'unità perché è Trinità:
il Padre è unito al Figlio, il Figlio al Padre con vincolo di Spirito Santo.
La
loro unità è vissuta fino alle ultime conseguenze: il Padre rinuncia a parlare
(come invece, ad es., faceva con Mosè) perché ora parla il Figlio (in tal modo
- quasi - il Padre scompare...). Il Figlio accoglie il volere di salvezza di Dio
per gli uomini e muore! Lo Spirito vive in Dio... si diffonde su tutta la terra
e fa agire gli uomini con la sua forza: non lo si vedrà più! se non quasi
identificato ai discepoli!
È
un'unità che costa la morte.
L'unità
in Dio è completa. Dov'è una Persona là vi sono le altre due. Ciò che si può
dire dell'uno, lo si può dire degli altri due. Dio è alla ricerca di unità
con gli uomini, perché nella sua creazione risplenda tutta la sua gloria!
L'unità
che Dio diffonde tra gli uomini raggiunge gradi e profondità diverse,
determinati dalla situazione spirituale della persona.
La
prima unità deve avvenire tra le varie dimensioni attraverso cui vive e si
esprime l'uomo: corpo-anima-spirito. L'uomo è continuamente tentato di
divisione: vorrebbe fare ciò che non riesce, fa' ciò che non vuole, vorrebbe
essere dove non è, desidera essere amato da chi non lo ama, desidera amare chi
non può o come non può. Il corpo, sia esso sano e ancor più se malato, lo
limita, lo tiene in tensione con la sua anima e col suo spirito. Lo spirito
stesso, mutevole e soggetto a cambiare secondo gli impulsi esterni e interni,
non è condiviso dagli affetti e dalle funzioni del corpo...
Dio
vuole costruire l'uomo nell'unità. Dà all'uomo un centro di attrazione unico
per tutte le componenti della persona: un centro, che è quello di tutto
l'universo, cosicché l'uomo che si unisce all'interno di sé, si ritrova in
armonia con tutto il creato: e con Dio stesso, perché il centro che Dio ci dà
non può essere altro che il Suo: GESÙ!
È
il Figlio, amato particolarmente dal Padre, assistito e glorificato dallo
Spirito Santo.
L'uomo
che unifica le
sue forze per attendere Gesù e per glorificarlo si trova così in sintonia
col Padre, con lo Spirito e
con coloro che già sono uniti a Lui! e si trova in armonia con tutte le
creature Come si esprime l'unità con
Dio? si esprime molto concretamente, nell'avere gli stessi desideri di Dio,
nel fare ciò che Dio fa, nel dire le Sue Parole!
Quando
l'amore di Dio è in me, allora sono unito a Dio.
Quando
amo fino a dare ciò che ho di più caro, quando guardo al fratello con
desiderio di salvezza e cercando per lui l'unione con Gesù, quando amo perché
Dio ama, allora sono unito a Dio.
Quando
offro la mia vita insieme a Gesù, quando faccio ciò che Gesù dice e solamente
perché è Lui che lo dice e non perché è logico, quando vivo con lo sguardo
fisso su di Lui anche mentre sto insieme ai fratelli, allora sono unito a Dio!
Quando
tra me e i fratelli pongo la comunione dello Spirito Santo, allora
sono unito a Dio!
La
comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi!
Questa
comunione - che raggiunge le profondità dello spirito perché è comunione
divina - sia con voi!
Mi
rintrona spesso questo saluto che rivolgo all'assemblea eucaristica: “... e la
comunione dello Spirito Santo sia con voi! ”. Mi rispondono: “E con il tuo
spirito ”. Mi sono chiesto più volte cosa possa essere questa comunione dello
Spirito Santo. Me ne sono reso cosciente quando l' ho sperimentata e l'ho potuta
apprezzare nel confronto con altre comunioni che non sono dello Spirito Santo.
Ho
notato che tra noi ci possono essere delle “comunioni” molto limitate e poco
fruttuose. La comunione di “classe“ - formata dallo spirito di solidarietà
-, la comunione dell'età, la comunione del lavoro, e quella dello sport, e
altre, sono forze che ci uniscono: ci uniscono per momenti più o meno lunghi,
ma non penetrano la mia scorza. Le ho sperimentate tutte superficiali e incapaci
di dare una spinta alla mia fede, al mio amore, addirittura incapaci di
compenetrarmi di pace e di gioia. E ogni incontro animato da queste
"comunioni“ mi lascia il desiderio di qualcosa di più, di più profondo
e di più semplice, di più umano e di più divino.
Credo
che mi lasciano il desiderio della comunione dello Spirito Santo. Desiderio
inappagabile?
Dio
non mente. Se ci dà lo Spirito Santo, ci dà pure la comunione dello Spirito
Santo, quella che ha il sapore della comunione che c'è tra il Padre ed il
Figlio. È comunione di amore e di fiducia, di serietà e di pace serena.
La sperimento quando qualcuno mi chiede di confessarsi, ad es.
Allora
- se non sono distratto - sento tra me ed il penitente la presenza di Dio, perché
prendiamo sul serio la Sua azione e la Sua parola; godiamo in quei momenti la
gioia del Padre e l'amore di Gesù. La sperimentiamo quando comunichiamo a
qualcuno la nostra relazione con Dio, quando lasciamo scoprire ad altri la
nostra fede.
Vivere
la comunione dello Spirito Santo non è solo bello! è anche fonte di forza per
lo spirito, di coraggio per la testimonianza, di salute per il corpo, di armonia
per il lavoro, di pace e serenità per il cuore.
A
questo tipo di unità devo tendere con i fratelli e le sorelle.
È un'unità che può far cambiare vita, mestiere, amicizie. I motivi per cambiare abitazione o lavoro sono, di solito, molto contingenti, basati sulla situazione finanziaria o sui gusti personali o sull'efficienza. La comunione dello Spirito Santo è un motivo inesistente per il mondo, mai preso in considerazione: i credenti non possono essere indifferenti a questo motivo: anzi, è il loro unico motivo per fare qualsiasi passo nella vita (dovrebbe essere... !).
Quando si vive una vita d'unità
- sia essa permanente (tutto il giorno, stessa casa) che
saltuaria (incontri settimanali o più) - nel nome di Gesù, si vive la vita trinitaria di Dio. Si permette a Dio di rendere
manifesta la sua vita (il mistero nascosto da secoli) in modo comprensibile agli
uomini. In tal modo si dà gloria a Dio più che facendo miracoli - ove di Dio
si manifesta solo la onnipotenza -! In tal modo si dà pure speranza agli
uomini, che vedono vicino a sé in modo abbordabile Dio stesso i
Ma
quando si vive una vita così, il Maligno scatena tutta la sua forza e astuzia.
Tentazioni di divisione, di invidia, di gelosia, di pretesa, di giudizio
diventano pane quotidiano. Chi non si lascia guidare concretamente, chi, poco
avveduto, si lascia portare dai sentimenti, chi vive senza disponibilità a
soffrire e a pensare positivamente dei fratelli (di tutti), chi non s'umilia
dinanzi al fratello per chiedere perdono e chi non dà fiducia al pentimento del
fratello, costui distrugge l'unità, costui si fa giocare dal Maligno divenendo
un impedimento a Dio stesso, oltre che una sofferenza per i fratelli. Nella vita
di comunione spirituale è necessaria la vigilanza personale e comunitaria. È necessaria l'umiltà
e la sottomissione. È necessario avere questa chiarezza continuamente presente in modo vigoroso: “la mia vita
non deve emergere, deve emergere solo Gesù, il Figlio di Dio, l'unico che deve
venire e che viene con potenza, purché egli riceva gloria e possa esser
"visibile", sono disposto a rinunciare alla mia personalità, alle mie
vedute, ai miei gusti, alle mie abitudini - in una parola - a perdere la vita,
morire I a dare la vita, a nasconderla”.
Gesù,
crea tu comunione e luoghi di unione di Spirito.
VIENI,
SIGNORE GESU'! AMEN.
Beati
i poveri in spirito: di essi è il Regno dei cieli. Dio, il nostro Dio, è
povero!
A
Lui appartiene il mondo e quanto esso contiene, ma Egli è povero! Dio Padre ha
dato tutto al Figlio, gli ha consegnato l'universo e ogni potere!
Gesù,
il Figlio, nato in una stalla, non ha una pietra ove posare il capo.
Lo
Spirito Santo è chiamato padre dei poveri, non ha nulla; Egli è colui che
realizza lo scambio d'amore tra Padre e Figlio li nostro Dio è un Dio “povero
in spirito”!
Il
cristiano sa che Dio ha dato ad Adamo il dominio sulle cose create. Ma sa pure
che l'uomo, soggetto alla tentazione, spesso usa i beni datigli da Dio per
mettersi contro di Lui o contro i Suoi figli. Il discepolo di Gesù vuole
rimanere libero da legami con le cose, vuoi essere unito solo al suo Signore.
Egli
adopera le sue risorse per obbedire a Gesù. Non gli resta tempo e fantasia per
cercare quel che il mondo cerca, per subordinare i beni spirituali e materiali
all'egoismo. Il discepolo di Gesù ha rinunciato all'egoismo e all'egocentrismo,
ne consegue che non vuole per sé nulla. Ha messo al centro della propria vita
Gesù, il Figlio di Dio: ogni cosa deve dar gloria a Lui.
Le
“cose“ (denaro, beni, lavoro, diritti d'autore...) sono doni di Dio: devono
rimanere e continuare a essere doni che Dio usa (forse con la mia mente e le mie
mani) per l'edificazione della comunità, per il servizio del Regno di Dio, come
strumento e occasioni d'amore al prossimo.
Quello
che il cristiano ha, non lo possiede, ma lo adopera: e se un altro fratello lo
può usare per il Regno di Dio, glielo cede: ciò che importa è che il Regno di
Dio cresca, non importa se con le mie mani o con quelle degli altri.
La
povertà, essenzialmente, non è la
ricerca di avere, né la ricerca di non avere, ma l'esercizio dell'usare
non per sé, ma per il Signore! E ciò vale sia per i beni materiali (roba,
soldi, lavoro), sia per i doni naturali (doti umane, d'intelligenza ecc...) che
per i carismi spirituali (discernimento, guarigione, preghiera).
Povertà è non avere più motivi di gioia né di pianto su questa
terra, ma godere “che i nostri nomi sono scritti in cielo”.
Povertà è la risposta del cristiano alla parola “Dove è il vostro
tesoro, là sarà anche il vostro cuore”. Il cuore del cristiano è in Dio: è
Lui l'unico tesoro.
Questo
Dio ha dato i beni di cui disponiamo: perché?
L'uso
dei beni dipende da questo “perché ”: perché Dio li ha dati? Dio ad ogni
persona e alla comunità cristiana ha affidato dei compiti: i suoi doni
serviranno per l'espletamento di questi compiti!
Qualcuno
ha ricevuto il compito di educare, altri di dirigere una famiglia, altri di
essere strumento di carità e solidarietà, altri di diffondere l'annuncio del
Vangelo ecc...
Ognuno
userà i beni che riceve per il compito che ha nella Chiesa Nel Vangelo troviamo
alcune parole e alcuni atteggiamenti verso i beni terreni. Li elenco brevemente.
-
“Guardate gli uccelli del cielo: il Padre celeste li nutre “ (Mt 6,
26).
Gesù
vuole il cuore del discepolo libero da preoccupazioni materiali: queste
preoccupazioni impedirebbero la pace, l'occuparsi del Suo Regno.
-
“Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli “questa
vedova, povera, ha messo più di tutti“ (Lc 21, 2.4).
Vi
ha messo la propria vita: il suo cuore è di Dio! I beni materiali sono usati
dalla vedova per realizzare il -distacco da questo mondo e l'unione con Dio!
-
“Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi
darli ai poveri?“ (Gv 12, 5).
Maria
di Magdala ama Gesù più di tutto e di tutti! Lo sa dimostrare così!
- “Vendi quello che hai e dallo ai poveri”: ... “andò via triste” (Mt 19).
Il
giovane ricco viene impedito nella sua felicità dalle sue ricchezze.
-
“La metà dei miei beni la do ai poveri”... (Lc 19, 8).
A
Zaccheo le ricchezze non servono più: ha trovato la sua gioia in Gesù.
C'è
chi sa tutto ciò e sceglie di vivere la povertà, il distacco da tutto...
E
vi riesce perché unisce tutto il suo cuore al Figlio di Dio, si lascia riempire
il cuore da Lui: non v'è più spazio per altro.
Costui
gode la libertà di spirito, gode d'intima gioia e diviene per i fratelli «profeta»:
la sua
-
vita povera è manifestazione che Dio è
sufficiente a riempire tutto il cuore!: “rallegratevi che i vostri nomi
sono scritti in cielo” (Lc 10, 20).
-
Vita povera è segno dell'attesa della
venuta del Signore: “stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita”
(Lc 12, 20).
-
Vita povera è condizione di vigilanza:
“state ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in
dissipazioni” (Lc 21, 34).
-
Vita povera è segno dell’importanza
dei talenti spirituali che Dio ci dà da far fruttificare: fede, Parola ecc.
-
Vita povera è dare l'occasione a Dio di
far miracoli: “Sappiate che il Signore fa prodigi per il Suo fedele”
(Sai 4).
“Vi è mai mancato qualcosa?” “Nulla!”.
“Cercate
il Regno di Dio e tutte queste cose ve le troverete davanti” (Lc 12, 31).
-
Vita povera è atteggiamento necessario
per ascoltare ed essere pronti ad ubbidire a Gesù: “Marta, tu ti
preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno”
(Lc 10, 41). “Chi di voi non
rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 33).
-
Vita povera è l’atteggiamento che permette
di amare il prossimo, vedi il ricco epulone e il buon Samaritano: “Ciò
che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno” (Lc 10, 29).
-
Vita povera è condizione e conseguenza
della vita comune. Chi non è povero non è capace di stare insieme agli
altri nel nome di Gesù e chi si mette a vivere con altri nel nome di Gesù
viene aiutato a distaccarsi sempre più da tutto ciò che non è il Signore! “Nessuno
diceva sua proprietà quello che gli apparteneva” (Atti 4, 32).
L'uomo creato da Dio è destinato ad amare. L'uomo normale e maturo ama.
Egli sviluppa ed esprime
l'amore a tutti i livelli della sua persona, vale a dire che l'uomo ama con lo
spirito, con l'anima e con il corpo: questi vari livelli dovranno rimanere uniti
e subordinati l'un l'altro, pena non essere più capaci di esprimere amore, ma
egoismo. Ad es. l'uomo che lasciasse libero campo ai modo d'amare del suo corpo
senza subordinarlo allo spirito sarà solo in grado di accontentare i suoi
istinti passionali. O colui che non dominasse la sua anima, la “psiche”, sarà
portato ad attaccarsi agli altri, rimanendone succube, in preda ad alti e bassi
di malinconie, nostalgie, entusiasmi, simpatie e antipatie, adulazioni,
paternalismi. Lo spirito dell'uomo deve amare e travolgere anima e corpo in
questa impresa! Lo spirito dell'uomo deve diventare amore, spirito d'amore! E lo
può quando rimane costantemente sotto l'influsso di Dio, che è amore. Quando
l'uomo sa esprimere con la sua persona l'amore di Dio, ecco, allora possiamo
parlare di amore casto, di castità!
Castità è amore, amore che ha come unico movente l'amore di Dio. Amo il
fratello, o la sorella, non per qualche loro buona qualità, non perché mi
risultano simpatici o perché hanno fatto qualcosa, o perché valgono agli occhi
degli uomini: li amo, mi dono a loro semplicemente perché vedo posarsi su di
loro gli occhi benevoli di Dio Padre!
Castità è amore: vedo il Padre mandare Gesù per i miei fratelli: li amo,
perché vedo su di loro il segno di Gesù che li ha acquistati col suo sangue,
che li redime e li attira a sé.
Amo
per amore di Gesù.
Quando
amo i fratelli, non amo loro, amo Gesù... e così essi ricevono un amore più
intenso, più fedele, più stabile e più fermo.
Castità è amore puro, santo.
Può
esserci in me un amore puro e santo?
Può
il mio corpo ed il mio cuore amare in modo degno di Dio? L'amore è puro quando
non è mischiato, come l'acqua è pura quando in essa non v'è altro.
L'amore
è puro quando all'amore, che è Dio, non aggiungo altro!
So
che l'amore di Dio, donato, è il Verbo, il Verbo che si è fatto carne in Gesù.
Castità è amare Gesù! Amare Gesù con lo spirito, con l'anima e
col corpo, offrire a lui cuore, tempo, cose, talenti e spirito, mani e
piedi, ecco la castità!
Gesù
è degno di avere, possedere, guidare e usare la mia vita, le forze, gli
istinti, le membra del corpo, le intuizioni, le qualità, gli affetti
dell'anima, le spinte e i moti
dello spirito.
Egli
è degno d'averli: glieli dono. Tutto a Lui, senza riserve.
Beati i puri di cuore!
Coloro
che nel cuore non mettono altro, non aggiungono motivi per amare e oggetti da
amare.
Gesù
è il centro, il perno dell'amore: lo amo perché è degno d'essere amato; lo
amo donandogli tutto, senza divisione e distinzione. Non tutti capiscono: non
tutti, ma solo i chiamati possono comprendere. E chi comprende si sente attirato
e chiamato, perché sa che la sua vita non sarebbe completa altrimenti.
Egli
rinuncia all'amore-affetto di tutti, dei parenti, degli amici.
Egli
rinuncia all'amore-affetto di una donna, o di un uomo.
Ha
scoperto un amore-affetto più grande, quello che tutti desiderano e cercano e
sperano di trovare amando e legandosi con l'affetto ad una persona.
Ha
scoperto la perla preziosa, il tesoro nascosto.
Ora
si occupa solo di questo, di Gesù.
E
nonostante ciò, anzi, proprio per questo, gli uomini che lo avvicinano si
sentono amati di più, si sentono presi più sul serio, compresi più
profondamente.
La castità è l'amore per Gesù
e diventa amore di Gesù fedele e costante per chi entra
nel raggio d'azione di chi lo porta. Chi porta quest'amore è pronto in ogni
momento a perdere la propria vita, a donare se stesso.
Castità è amare come sposo
Gesù: uno sposo geloso, poiché, se non ami solo lui e se non ti
attendi amore solo da Lui, non Lo ami nemmeno.
Avere
come sposo Gesù è avere con Lui una confidenza e una intimità in cui nessun altro è ammesso; è decidere con Lui
solo, a tu per tu, le cose principali della vita, è lasciarsi fecondare solo da
Lui! Avere come sposo Gesù è mettere in noi sentimenti - volontà desideri che
non sono i nostri, ma i suoi: “abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono
in Cristo Gesù”!
Castità è quindi completezza, la più piena: unisce il mio destino a
quello di Gesù!
Far
voto di castità significa perciò impegnarsi nell’amore esclusivo di Gesù
tutta la vita, non solo un momento o un periodo. Significa garantire a Gesù la
propria fedeltà, come una moglie al proprio sposo e viceversa: “domani potrai
ancora contare su di me, sarò vicino a te: sono tuo del tutto e non ritirerò
il dono di me stesso”.
Fare
un passo del genere non è normale.
Se
t'arrischi sarai ritenuto pazzo. A nessuno di questo mondo è sufficiente
l'amore di Gesù e nessuno a questo mondo sogna di donare il proprio amore solo
a Lui.
Se
tu arrischi questa strada, preparati a venir trattato da alienato e preparati a
esser abbandonato: come il giovane che si fidanza e si sposa sente staccarsi da
sé lo sguardo e l'attenzione delle altre ragazze: ma gli basta la sua. Il mondo
arriva a capire quei tali che non si sposano perché non sono dotati delle
qualità fisiche e psichiche necessarie. Il mondo capisce anche quelli che non
si sposano perché non trovano un compagno adatto a loro. Il mondo arriva a
capire pure e giustificare coloro che non si sposano per potersi dedicare
totalmente alla scienza o alla politica.
Ma
il non sposarsi “per il regno dei cieli”non rientra nella normale facoltà
di capire degli uomini. Non ce ne meravigliamo. “Chi può capire, capisca”,
dice Gesù.
Potrà
capire chi ha gli occhi puntati nell'al di là, chi mira più lontano, oltre i
confini terreni e mortali. Costoro capiscono. Difatti la “castità”, per
amore del regno dei cieli, è una profezia.
L'amore
esclusivo per Gesù, la scelta di Gesù corre sposo è un gesto profetico reale:
mostra ciò che succede nel futuro a tutti: “alla risurrezione infatti non si
prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo” (Mt 22, 28).
Chi
sceglie Gesù come sposo annuncia a tutti la realtà della vita futura, fa già
vedere ciò a cui tutti siamo destinati, è un aiuto, quindi, offerto a tutti
perché riescano a vedere già fin d'ora un raggio delle realtà ultime ed
eterne!
Chi
sceglie Gesù come sposo è profeta pure in un altro modo: lascia intravedere
con la concretezza di una vita, come il comando di Dio non abbia limiti:
“amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore...”.
Dio
può essere amato fino al punto da non scegliersi un uomo o una donna, perché
l’amore di Dio è così concreto e stabile e vero, che può bastare all'uomo!
S.Paolo
arriva al punto da raccomandare ai giovani credenti la castità, “chi non
è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore”
(1 Cor 7, 32); “ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro
rimanere come sono io» (7, 8).
“Non
sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?... glorificate dunque Dio nel
vostro corpo”.
Anche queste parole possono essere riassunte in maniera profetica, senza limiti posti dagli uomini.
Se
il mio corpo è membra di Cristo non penso ad altro che a farmi suo tramite, suo
strumento per il suo amore ai fratelli, alle altre membra del “corpo”.
Altro
aspetto della castità: l'amore di cui sono oggetto da parte degli uomini. Non
sempre l'amore con cui sono amato è casto: anzi, raramente. Sono amato per le
mie buone qualità, per qualche gesto di bontà compiuto; ricevo riconoscenza e
segni di amicizia per la posizione che occupo, con speranze più o meno segrete
di guadagno in considerazione o in denaro...
Castità
comporta lasciarsi amare solo da Gesù, e rimanere liberi dai legami o lacci
degli “amori”degli uomini.
Consegno
subito a Gesù l'amore che ricevo! Lui è il solo degno di essere amato, anche
da parte di chi ama me. Consegno a Gesù gesti e parole che esprimano amore per
me!
Gesù,
ti amo, perché nessuno è come Te! Come ti amerò nell'eternità voglio già
cominciare ora, nel tempo.
Nessun
amore che ricevo è amore vero se non passa nei tuo cuore: che nessuno mi ami se
prima di tutto e sopra tutto non ama Te. Tu sei l'Amore!
Vivere
l'obbedienza di Gesù
L'obbedienza
è l'atteggiamento che assumiamo non quando facciamo ciò che è logico, ciò
che è applaudito, o che è normale fare, ma quando facciamo ciò che ci viene
detto da un altro. Nel nostro caso, di discepoli di Gesù, si tratta di fare ciò
che Gesù dice.
Qualche
volta può sembrarci così bello, comodo, naturale e logico ciò che Egli ci
chiede, da non apparirci nemmeno ubbidienza. Altre volte, invece, l'azione o
l'atteggiamento o la scelta che ci viene domandata può andare contro le
aspirazioni della nostra carne, contro le attese dei nostri affetti, del nostro
spirito, e risulta veramente difficile.
Potrebbe esserci utile
osservare qualche esempio nella vita delle prime persone che hanno obbedito a
Dio: Abramo, Isacco, Giacobbe.
Abramo è famoso per la sua ubbidienza, tanto da esser citato più
volte dagli Apostoli nelle loro lettere. Egli è l'uomo ubbidiente a Dio; l'uomo
che lascia tutto e parte come gli aveva ordinato il Signore (cfr. Gen 12). Ogni
volta che il Signore gli parla, egli ubbidisce. Abramo non ubbidisce perché
vede chiaro, perché sa dove va o perché sa che dove va è meglio che dove sta,
Abramo ubbidisce sempre e solamente perché si fida di Dio che gli parla.
Quando
ubbidisce a Dio, Abramo va contro ogni logica umana; alla età di novant'anni il
Signore gli appare e gli dice: “lo sono Dio onnipotente, cammina davanti a me
e sii integro... sarai padre di una moltitudine di figli, ti renderò molto
fecondo... Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza,
dopo di te, di generazione in generazione.
Allora
Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: “Ad uno di cento
anni può nascere un figlio? e Sara all'età di novanta anni potrà partorire?”e
Abramo disse a Dio: “Se almeno Israele potesse vivere davanti a Te!”
“e Dio rispose: “No, Sara tua moglie ti partorirà un figlio e lo
chiamerai Isacco”. E Abramo credette.
L'obbedienza
di Abramo in questo caso è proprio contro ogni evidenza ed esperienza umana!
È
addirittura contro ogni evidenza divina quando gli viene chiesto il sacrificio
di Isacco, il figlio della promessa, figlio nato all'età di novant'anni.
Se
Isacco muore ancora ragazzo, come fa-rà Dio a mantenere la sua promessa di
renderlo padre di una moltitudine di figli? Abramo potrebbe sentirsi in dovere
di difendere la fedeltà di Dio, la sua capacità di essere Dio. Invece, anche
in questo caso, quando Dio gli dice: «Abramo, Abramo...”rispose
“Eccomi”. “Prendi tuo figlio e offrilo in olocausto». “Abramo si
alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi, il figlio
Isacco...”.
Abramo
ubbidisce; Dio vede più di lui, Dio è Dio, la sua parola è più stabile delle
evidenze di Abramo, delle realtà del mondo, delle realtà terrene e umane.
L'ubbidienza di Abramo è la sua fede messa in pratica.
Credere
in Dio ha la conseguenza di ubbidirgli senza discutere
L'ubbidienza
di Isacco è un po' diversa; in
Isacco vediamo il figlio che vive tranquillo, in lui non c'è la sofferenza
della fede come la possiamo osservare in Abramo, come una prova forte e
drammatica. L'ubbidienza di Isacco possiamo leggerla tra le righe dei racconti
che si riferiscono a lui, più che nelle parole stesse del testo sacro. Il servo
di Abramo va a prendere Rebecca, figlia di Betuel per consegnarla ad Isacco come
sposa. “Isacco esce sul far della sera per svagarsi in campagna e alzando gli
occhi vede venire i cammelli. Alza gli occhi anche Rebecca, vede Isacco e dice
al servo: Chi è quell'uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi? Il
servo risponde: È il padrone.
Allora
ella si coprì col velo; il servo raccontò ad Isacco tutte le cose fatte; “Isacco
introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara, si prese in
moglie Rebecca e l'amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre”(Gen
24).
Qui
l'obbedienza di Isacco è obbedienza a suo padre e al servo di suo padre. Prende
in moglie la ragazza che gli portano, appena la vede la ama, non perché se l'è
scelta lui, non perché gli piace, ma perché è quella che gli è stata scelta
da Dio. Attraverso tutte le vicende, infatti, egli capisce che Rebecca è la
donna che gli è stata preparata dal Signore. Isacco ubbidisce in questo modo
con semplicità, abbandono e mitezza alla volontà di Dio. la sua vita non è
stata, per quanto possiamo comprendere, una vita di fede così difficile come
quella di Abramo o così travagliata come quella di Giacobbe. È l'uomo mite che
si lascia guidare da Dio con semplicità. Anche Giacobbe
ubbidisce. Il suo spirito di obbedienza si esprime in alcuni momenti strani
e particolari. “Rebecca disse a Giacobbe: Ecco, ho sentito tuo padre dire a
tuo fratello Esaù: "portami della selvaggina e preparami un piatto, così
mangerò e poi ti benedirò davanti al Signore prima della morte". “Ora,
figlio mio, ubbidisci al mio ordine: va' subito al gregge e prendimi di là dei
capretti”.
Rispose
Giacobbe: “sai che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle
liscia?“ (Gen 27).
A
Giacobbe viene richiesto di obbedire a sua madre che gli dà un ordine non del
tutto sereno e limpido, che non sembra del tutto onesto. Egli obbedisce, non
solo, ma aiuta anzi la madre a scoprire le difficoltà di quell'obbedienza,
senza però metterla in discussione. Un'altra volta la stessa madre gli dice:
“Ebbene, figlio mio, ubbidisci alla mia voce, su, fuggi a Canaan da mio
fratello Labano, rimarrai con lui qualche tempo...”ecc.
Rebecca comanda, Giacobbe
ubbidisce e questa obbedienza viene usata da Dio nei suoi progetti. Benché il
comando non porti esplicitamente e chiaramente i caratteri dei comandi divini,
Dio adopera la obbedienza ad essi: avviene quello che si dice: Dio può scrivere
diritto sulle righe storte. Dio porta a compimento la sua volontà anche
attraverso gli sbagli degli uomini, quando vogliamo dare gloria a Lui, quando
vogliamo che la nostra vita sia a gloria sua.
Non
è tutta qui l'ubbidienza di Giacobbe; la si potrebbe osservare in altre fasi
della sua vita e troveremo vissuti da lui momenti simili a quelli del nonno
Abramo.
L'obbedienza
di Gesù riassume quella di Abramo,
di Isacco e di Giacobbe.
Umanamente, ciò che Dio Gli
chiede, sembra andare contro le prospettive divine che sono di salvare il mondo
attraverso di Lui, il Salvatore: il Padre chiede a Gesù di morire appena dopo
tre anni di predicazione. Viene portata a compimento la prova di Abramo, il
sacrificio di Isacco. Gesù accetta la volontà del Padre con grande sofferenza,
come Abramo, e più ancora, e in altri momenti con la serenità di Isacco. È
con la serenità di Isacco che Gesù accetta la sua sposa, la Chiesa, così come
è, senza conoscerla in anticipo, ma soltanto perché il Padre gli presenta e
gli consegna questa comunità di persone da amare.
L'ubbidienza
di Gesù, come ce la presenta il Vangelo di Giovanni, è totale: “Non faccio
niente se non ciò che vedo fare dal Padre; non dico niente se non ciò che
sento dire dai Padre; faccio tutto quello che il Padre mi dice di fare per
portare a termine la sua opera”. Il Vangelo di Giovanni è costellato di
queste frasi che ci rivelano le caratteristiche dell'ubbidienza di Gesù al
Padre, tanto che Gesù sa d'essere una cosa sola col Padre. Ha pure una sua
volontà, che gli viene dal suo essere uomo: questa volontà talvolta si fa
sentire, come nell'Orto degli Ulivi, ma Gesù la sottomette: “Non la mia,
ma la Tua Volontà sia fatta”.
La
morte di Gesù è stata un atto di obbedienza alla volontà del Padre, non a
logiche umane e evidenze terrene.
Si impone una domanda importante per noi: “come facciamo ad ubbidire così a Dio? col tipo di obbedienza esercitata da Gesù? o da Abramo, Isacco, Giacobbe?”.
Se
ci regoliamo da soli nella nostra vita e cerchiamo di stare attenti da soli alla
voce di Dio e facciamo quello che a noi sembra la Sua volontà, difficilmente
succederà che obbediamo: la volontà di Dio potrà essere scambiata con i
nostri pensieri.
Per
poter concretamente ubbidire, dobbiamo lasciarci dire concretamente quello che
dobbiamo, che possiamo, che è opportuno fare. A questo modo di agire sono
chiamati in modo particolare coloro che vivono assieme nel Nome di Gesù. Se
costoro facessero ciascuno quello che vuole o che gli sembra bene, la loro vita
comune non sarebbe più un vivere assieme nel nome di Gesù. Se viviamo insieme
nel nome di Gesù dobbiamo permettere a Gesù di agire nel nostro vivere
insieme, permettergli di agire al di là delle evidenze, al di là di ciò che
ci sembra buono e giusto, in modo che sia veramente Lui ad agire e non noi, in
modo che la gloria appartenga veramente a Lui, che tutto il peso venga messo su
di Lui. È per questo che dove alcune persone vivono insieme nei nome di Gesù
è necessaria l'obbedienza come atteggiamento volontario e libero dei singoli.
È perché si vuoi mettere in pratica l'obbedienza di Gesù che c'è un'autorità
in ogni comunità.
Non
è l'autorità che vien prima, ma l'obbedienza. Dal momento che ci sono persone
obbedienti nelle comunità o famiglie religiose, si rende necessario che
qualcuno porti il peso del servizio dell'autorità. Anche l'autorità del Padre
su Gesù viene dopo, prima c'è l'ubbidienza di Gesù: “Ecco, io vengo per
fare la tua volontà. Mi hai dato un corpo perché io faccia la tua volontà”dice
Gesù; per questo il Padre fa conoscere la propria volontà in un atto d'amore
che permette al Figlio di esercitare la sua ubbidienza! potremmo dire che il
Padre stesso vive in spirito ubbidiente: dona i cenni della sua volontà in un
atto di obbedienza, quando gli vengono chiesti dal Figlio. Dio non
“comanda”mai nulla e non obbliga nessuno per forza, ma dice soltanto a chi
è libero la sua volontà. Soltanto dopo che uno Gli ha offerto la propria
obbedienza, allora Dio gli può “comandare", ed il suo comando non suona
più come tale, ma come esaudimento di una preghiera! Lo sperimentiamo nella
nostra vita. Quando Dio ci ha detto di fare qualche cosa? dopo che noi gli
abbiamo detto: “Padre, sia fatta la tua volontà”. “Parla,
Signore, il tuo servo ti ascolta”.
La nostra ubbidienza ad una persona nel nome di Gesù è semplicemente un atto di amore al Signore per permettergli di tenere Egli stesso le redini della nostra vita. Ed Egli le tiene in mano, anche se ciò che mi viene ordinato va contro le evidenze umane, per il fatto che io ubbidisco a ciò che mi viene detto dal mio "superiore", sapendo che egli mi manifesta la volontà di Dio: ubbidisco a Dio i Tale ubbidienza è quindi impegnare Dio ad intervenire attraverso ciò che faccio nell'obbedienza. il mio modo di ubbidire è garanzia che ciò che si fa è giusto perché è divino. Non è il tipo di autorità che mi dà garanzia che l'ordine è giusto o non giusto, ma il tipo di ubbidienza! Oggi è difficile dire queste cose, però sono sempre state dette e vissute nella Chiesa, nelle varie comunità, e hanno portato frutto e so che ne porteranno ancora.
Questo
discorso è molto difficile perché sembrerebbe di dire in tal modo che
un'autorità può far quel che vuole! Ora non parlo della autorità, ma
dell'ubbidienza. Se si parlasse a chi svolge il servizio dell’autorità si
direbbero tante altre cose!
Come
deve svilupparsi la nostra obbedienza? Deve svilupparsi come un aspetto
dell'amore, sulla linea di quella di Gesù: non fare nulla se non ciò che viene
richiesto, fare tutto ciò che viene richiesto, come Gesù non fa nulla se non
ciò che vede fare dal Padre. La nostra ubbidienza diventa perciò un
atteggiamento di estrema attenzione agli altri, alle persone che stanno attorno
nella comunità; diventa amore che coglie continuamente i segni della volontà
di Dio negli altri, nei loro desideri e nelle loro necessità.
Gli
esempi potrebbero essere infiniti, gi di e piccoli. Chi è ubbidiente nelle
piccole cose sarà capace di esseri o anche nelle grandi. Difficilmente è
viceversa. Anzi, una che non ha un atteggiamento di ubbidienza nelle piccole
cose, nelle grandi riesce sì ad ubbidire, ma solo perché gli viene comandato,
non per amore di Dio, non perché ,abbia gloria Dio, non perché egli sia
ubbidiente!
Se
la nostra ubbidienza è al Signore, non siamo attenti solo a chi ha il compito
dell'autorità, ma a tutti i nostri fratelli; in questo modo, se ci lasciamo
compenetrare dallo spirito di obbedienza, diventiamo veramente un cuor solo e
un'anima sola con gli altri. Si realizza quell'unità in cui Gesù è costretto
ad essere presente e ad agire, perché ha promesso di essere là dove due o più
sono uniti nel Suo Nome.
È
per questo che proprio nelle comunità, nelle piccole comunità dove si vive
l'obbedienza, dove si vive l'unità delle volontà, possono succedere delle
grandi conversioni. Là c'è il più piccolo, quindi il più grande nel regno
dei cieli, perché s'è fatto più piccolo, perché non ci tiene ad avere una
propria volontà; proprio là succedono le conversioni più grandi; anzitutto le
nostre conversioni.
Molte
volte l'obbedienza non ci è facile: allora possiamo ricordare un versetto dei
salmo che dice: “È preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi
fedeli”.
Ubbidire
è morire: lo è stato per Gesù, lo è stato per Abramo... Ubbidire a Dio è
morire, un morire parziale o un morire totale, comunque un andare contro se
stessi. Ubbidire è una morte perché si è chiamati ad agire contro tutto ciò
che appare evidente, logico, naturale, umano e così rimane in piedi soltanto
l'opera di Dio, da sola, senza appoggi, rimane in piedi proprio per fede e
basta. “È preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi fedeli”.
L'ubbidienza non è mossa da spirito di inferiorità, come l'autorità non nasce da spirito di superiorità. L'ubbidienza presuppone la coscienza di essere fratelli, di essere sullo stesso piano davanti ai Signore; se ci fosse spirito di inferiorità non ci sarebbe ubbidienza. Non viene da Dio lo spirito di inferiorità, il sentirsi da meno degli altri. Non è perché ci sentiamo da meno degli altri che ubbidiamo, che attendiamo la voce dell'altro o il cenno della sua volontà per fare qualcosa. Lo spirito, di inferiorità viene dal sentirsi inferiori agli altri, dal sentire gli altri migliori di noi riguardo a doti umane; in fondo significa valutare le doti umane più del nostro essere figli di Dio. È facile provare spirito di inferiorità di fronte ad una persona molto istruita (ha studiato, ha una posizione), ma sono tutte motivazioni umane quelle che sostengono lo spirito di inferiorità. Se invece noi consideriamo: “è un figlio di Dio”, ci sentiremo fratelli! La nostra fede ci mette e ci fa sentire alla pari degli altri, non ci mette sotto gli altri. Solo in questa situazione potrà svilupparsi ed esprimersi una vera ubbidienza!
Chi
ubbidisce entra nel riposo di Dio. Il salmo 95 dice che gli Ebrei non sono
entrati nel riposo di Dio perché hanno disubbidito: “Sono un popolo dal
cuore traviato, ... non entreranno nel luogo del mio riposo”. Lo spirito
di ubbidienza rende l'uomo umile, semplice e gradito a Dio: potrà riposare in
Lui.
Ci
può essere utile, nei momenti in cui diventa difficile mantenere uno spirito
ubbidiente, rileggere quanto l'autore della lettera agli Ebrei scrive riguardo
all'obbedienza di Gesù: “Proprio per questo nei giorni della sua vita
terrena Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che
poteva trarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio imparò
l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza
eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato sacerdote
alla maniera di Melchisedech” (Ebr 5, 7-9).
Gesù
impara l'ubbidienza dalla sofferenza, così diventa salvezza per chi Gli
ubbidisce, e chi Gli ubbidisce diventa salvezza per gli altri, poiché rivive
nella sua carne l'obbedienza e la sofferenza di Gesù.
I
discepoli di Gesù vogliono assumere i suoi stessi atteggiamenti interiori,
imparando da Lui, mite e umile di cuore. Leggendo il Vangelo, scopriamo come Gesù
sta in continua attenzione alla volontà del Padre. Gesù non fa la sua volontà,
ma sempre quella del Padre. La sua ubbidienza è totale.
Come
possono i seguaci di Gesù vivere questo atteggiamento di totale obbedienza? Sia
coloro che vivono in comunità, come anche coloro che vivono da soli, sparsi nel
mondo? Già abbiamo osservato che il Padre mostrava a Gesù la Sua volontà
attraverso situazioni concrete, avvenimenti, incontri con le persone, attraverso
parole dette da altri.
Un
discepolo di Gesù si lascia guidare dal Padre attraverso situazioni concrete,
attraverso parole concrete.
Uno
che vuoi seguire Gesù, ricevere lo Spirito santo e camminare secondo lo
Spirito, scopre che deve dipendere, che senza dipendere fa la propria volontà e
rischia di rovinare l'opera di Dio, rischia di ubbidire ai propri pensieri
invece di lasciar intervenire Dio nella sua vita.
È
così facile illudersi, prendere come spirituale un'immaginazione umana,
addirittura ritenere spirituale una ispirazione diabolica! È molto facile
illudersi, perché il diavolo assale coloro che vogliono tenersi uniti a Dio.
Dice
la Bibbia: “Figlio, se ti prepari a servire il Signore, preparati alla
tentazione”. Coloro che vogliono seguire Gesù sono i più soggetti alle
tentazioni del maligno, come Gesù stesso lo è stato, in modo molto forte.
Perciò il discepolo del Signore deve lasciarsi guidare, anzi vuole farsi
guidare per non correre questi pericoli, per non soccombere alla tentazione.
Il
discepolo di Gesù cerca una guida a cui confidare tutto, a cui sottoporre
tutto, perché non ci sia in lui niente che possa rimanere nelle tenebre.
Da
quando una persona si fa guidare da un altro sulla via della sequela a Gesù si
realizza tra quelle due persone un'unica volontà, tra quelle due persone
l'amore per Gesù ha un'unica espressione, la sequela di Gesù prende un volto
unico, si realizza veramente un'unità nello Spirito Santo. E quanto più
profonda è l'unità tra due persone unite nel nome di Gesù, tanto più Gesù
può essere presente ed agire:
“Dove
due o più sono uniti nel mio Nome”. Padre e figlio spirituale sono uniti
non per motivi di lavoro, non per motivi di interesse, sono uniti nel Nome di
Gesù soltanto per motivi spirituali, per dar gloria a Gesù, per permettere a
Gesù di operare. Non sono uniti per motivi psicologici, né per motivi di
simpatia o di condiscendenza, sono uniti soltanto perché vogliono seguire nel
modo migliore, più profondo, vero e umile le orme di Gesù.
Questo
è un modo di vivere in profondità la parola: “Dove due o più sono uniti
nel mio Nome...”! È la maniera di viverla, accessibile a tutti i
cristiani. Non a tutti è possibile vivere e realizzare in una comunità questa
unità, ma a tutti è possibile vivere in unità di figlio con un padre
spirituale, realizzando così la somiglianza di Gesù Figlio con Dio Padre. Tra
Padre e Figlio nella Santissima Trinità c'è un'unità d'amore così, grande
che diventa persona, che è persona: lo Spirito. Lo Spirito tiene uniti Padre e
Figlio; lo stesso Spirito ' è presente dove uno ricerca la guida di un altro
nel nome di Gesù, e questi accetta tale impegno. Lì è presente Gesù nello
Spirito, nel modo più vero e più reale. La fiducia che uno ha nel proprio
padre spirituale è la fiducia ad un uomo, alla sua sapienza, alla sua prudenza
spirituale. Bisogna che ci sia fiducia da parte del figlio per il padre e da
parte del padre per il figlio. La fiducia reciproca è necessaria, però la fede
non si fonda nel padre spirituale; essa rimane fondata in Dio e in Gesù
presente in questa unità profonda delle volontà.
L'ubbidienza
del figlio è a Gesù, non al padre spirituale. Se ubbidisce al padre spirituale
perché è un uomo che comanda, perché ha autorità, o perché è una persona
affascinante, non è ancora un'ubbidienza, non si realizza un'unità nel nome di
Gesù. Il figlio spirituale ubbidisce a Gesù, a quel Gesù che parla, a quel
Gesù che gli manifesta la sua volontà attraverso la voce del padre spirituale.
La
stessa cosa vale per il padre spirituale; egli non comanda al figlio perché è
più logico come vede lui, "padre", perché il figlio è
condiscendente, obbediente; dà invece dei consigli, dei suggerimenti, dei cenni
della volontà di Dio, perché li "sente", li percepisce nello Spirito
come provenienti da Dio. Egli sta molto attento ai segni per riconoscere ciò
che viene da Dio per il suo figlio spirituale.
Chi
è il padre spirituale? Può essere un prete o un laico, ma deve essere una
persona che vive nello Spirito, che sappia stare attenta alla voce dello Spirito
Santo.
Più
comodo e più logico potrebbe essere un padre spirituale prete, perché può
dare eventualmente la soluzione dei peccati, ma potrebbe essere senza difficoltà
un laico: uomo o donna, che viva però nello Spirito, che cerchi soluzioni non
di logica umana, ma che sia attento alla voce di Dio.
Il
padre spirituale lo si può scegliere o lo si può ricevere. Dio può farmi
incontrare una persona nella quale sento di avere fiducia: e la circostanza dell'incontro può sembrarmi chiaramente come un
segno di Dio a scegliere quella persona, perché sia mia guida nella vita dello
Spirito.
Può
succedere pure che o l'autorità della Chiesa o l'autorità della mia comunità
mi offra un padre spirituale: in tal caso l'accetto nella ubbidienza. Allora
l'unità che si crea con questo padre spirituale diventa ancora più
significativa, perché coinvolge in modo più esplicito tutta la Chiesa.
Ogni
padre spirituale, per essere tale, deve essere unito alla Chiesa; egli stesso
deve farsi guidare a sua volta da un padre spirituale; da un padre spirituale
all'altro si crea una catena armoniosa che unisce tutti nella Chiesa, e alla sua
autorità: al Vescovo.
È
una condizione indispensabile per un padre spirituale che egli stesso sia
guidato. Rischia altrimenti di diventare guida cieca. Se qualcuno si mette a far
il padre spirituale di altre persone, senza essere lui stesso guidato, porta al
fallimento spirituale anche gli altri. Il padre spirituale deve essere stabile o
instabile? È evidente che deve essere stabile, deve poter seguire ciò che lo
Spirito Santo suggerisce anche per lunghi periodi, e perciò deve essere uno
solo. Ci sono molti pericoli se uno ha due o tre padri spirituali, se ascolta
una parola di qui e una di là, poiché corre il rischio di scegliere quello che
lui vuole e non ciò che vuole Dio. Se si ritiene opportuno chiedere consiglio
ad altri, lo si farà in unità con il proprio padre spirituale, esplicitamente.
Può succedere ad un certo punto che si rompa il rapporto di fiducia verso il
padre spirituale: d'accordo con lui se ne cerca un altro; non è impossibile,
purtroppo, che questo rapporto di fiducia venga meno per motivi terreni o
diabolici: allora è meglio fare un taglio netto e cercare altrove.
Quali
aspetti della propria vita bisogna sottoporre al consiglio e alla direzione del
padre spirituale? Tutto ciò di cui si vuoi la garanzia di Gesù. Se è vero che
nell'unità coi padri spirituali si realizza quell'unità, che è garanzia della
presenza di Gesù, si esamina con lui in questa unità tutto ciò che è
possibile esaminare. ]il padre spirituale stesso mano a mano che il figlio
cresce nello spirito potrà dire: “In questo campo sei maturo abbastanza, non
occorre che mi chiedi consigli, o addirittura, in tutto ciò che decidi e che fai sono d'accordo, sono unito con te”.
In
tutte le decisioni deve rimanere l'unità. Il padre può dire ad un certo punto
del cammino: “Adesso sai guidarti spiritualmente bene”ma non deve lasciare
il figlio a se stesso, deve manifestargli sempre la propria unità. “In tutto
ciò che decidi io sono d'accordo, sono unito nel nome di Gesù con ciò che tu
fai”. Ecco allora anche se il figlio spirituale decide delle cose da solo,
senza essersi consultato col padre, perché è lontano o perché non ne ha
l'occasione, sa però che è nell'unità con lui.
Inoltre
si tiene molto unito con la preghiera: il figlio spirituale prega molto per il
suo padre.
Si
possono sottoporre all'unità coi padri spirituali le relazioni con Dio. Com'è
il mio rapporto con Dio, con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo? Com'è
la mia preghiera? Com'è la mia meditazione, com'è il mio amore per Lui?
Gli
sottopongo ogni rapporto con le altre persone, e poi ancora il mio rapporto con
il mio passato: ciò che mi viene in mente, ciò che mi è successo nella vita e
mi lascia delle conseguenze positive o negative. Inoltre il rapporto con le
decisioni da prendere: che stato di vita intraprendo, quali scelte operare
riguardo al lavoro, al servizio ecclesiale, ecc ... : in una parola, tutto ciò
di cui si compone la nostra vita, tutto ciò di cui si vuole la garanzia di Gesù.
Se io faccio qualcosa nell'ubbidienza al padre spirituale, nell'unità con lui,
so che Gesù dà garanzia a queste scelte, a questa unità, e allora ciò che
faccio - anche se umanamente difficile o umanamente non logico o umanamente non
razionale - avendo la garanzia di Gesù, Egli stesso si impegna, Egli stesso fa
in modo che queste scelte operate nell'unità portino frutto nel regno di Dio.
Naturalmente, sono solamente i frutti per il regno di Dio che vanno cercati, non
soddisfazioni per la propria avarizia o egoismo o vanità.
La
direzione del padre spirituale oltre ai frutti per il regno di Dio porta dei
frutti nella persona stessa del figlio spirituale: anzitutto una grande pace,
una grande serenità, perché non si sente insicuro, ma sente addirittura la
sicurezza di Dio e Dio dà pace quando seguiamo i Suoi comandi: “Grande
pace nell'obbedienza alla Tua legge”, dice un salmo.
L'unità
col padre spirituale porta inoltre grandi frutti di grazia per gli altri,
attraverso la pace e serenità guadagnata facendosi guidare: “Beati gli
operatori di pace”. “Chi diffonde pace attorno a sé raccoglie frutti
di pace e di salvezza”, dice san Paolo.
Un
altro frutto è la crescita dell'uomo interiore, crescita di Gesù nel figlio
spirituale; una crescita interiore di cui egli stesso non si accorge, forse! Il
Signore lo può adoperare ancora di più per il regno di Dio! Se ne accorgono
gli altri, acquistano fiducia in lui e andranno da lui per ricevere consigli: a
sua, volta, piano, diventa inconsapevolmente padre spirituale per altri.
Un altro frutto della direzione spirituale è, come già accennato, la unità profonda con la Chiesa universale; si sente che si appartiene a qualcuno, che si appartiene a un popolo in un modo vero, si percepisce d'esser legati con gli altri da vincoli di amore, di pace, di ubbidienza e non ci si sente più soli. Questo è un frutto di cui c'è grande bisogno nel popolo di Dio e che non si raggiunge in altri modi. Un altro frutto è questo: il padre spirituale non dà soltanto indicazioni per la strada da seguire, ma dà al proprio figlio spirituale anche la forza nel Nome di Gesù per percorrere la strada, per compiere le iniziative che si sono viste provenire dallo Spirito: per noi non basta la buona volontà per fare qualcosa, ma ci vuole la forza di Dio, la grazia di Dio. Molti vedono e sanno qual è la volontà di Dio, ma poi non hanno la forza per compierla.
Abbiamo
bisogno non soltanto di veder chiaro, ma anche di acquistar forza ed energia
spirituale. Questa non ci viene soltanto dalla conoscenza, non ci viene da noi
stessi: dobbiamo riceverla. Ed allora il padre spirituale, o attraverso la
confessione o per mezzo di una benedizione particolare, o attraverso un
esorcismo, se ce n'è bisogno, o attraverso una parziale o totale effusione
dello Spirito, diviene strumento di Dio che dona la forza al figlio spirituale
per vivere ciò che ha visto, per portare a termine ciò che il Signore vuole da
lui. Ho detto queste parole: esorcismo, effusione dello Spirito...
Molte
volte ci si accorge che una persona fa qualcosa non perché lo vuole, ma perché
è spinto all'interno da forze che non si riescono a dominare: non è raro
trovare qualcuno che sente venirsi in gola la bestemmia; non vuole bestemmiare,
non ha mai bestemmiato, eppure sente venire alle labbra una bestemmia e fatica a
trattenerla. Oppure, a volte, qualcuno viene preso da un grande spirito di
inferiorità, di superiorità, oppure taluno può essere invaso da un grande
spirito di vanità, tanto da cercare in ogni cosa la propria gloria; oppure
ancora c'è chi viene assalito da una infinità di immagini sessuali o vien
preso da un senso di ribellione verso tutto e verso tutti, o di critica o di
insofferenza degli altri anche nelle cose più piccole, o di tristezza e
scoraggiamento: non vorrebbe essere così, eppure ci sono questi spiriti
negativi che gli disturbano la preghiera, le relazioni con gli altri, il proprio
silenzio, la propria pace: non dipendono dalla volontà, non li vorrebbe.
“Come mai ci sono in me questi atteggiamenti, questi spiriti?”. “Come
faccio a liberarmene? Con tutti gli sforzi, con tutta la mia buona volontà non
riesco. Come faccio?”.
Gesù
ha dato ai discepoli il potere di scacciare i demoni, tanto più quel potere
vale per scacciare questi spiriti negativi. Il padre spirituale, che conosce,
che sa queste cose, interviene.
Quando
vede che il proprio figlio spirituale non riesce a vincere un determinato
atteggiamento, il padre può sentire se questo atteggiamento è prodotto da uno
spirito che va scacciato. Nei Nome di Gesù, con la forza del Suo Sangue lo
scaccia, gli comanda di uscire. È importante che sia il padre spirituale a
farlo, perché riesce a distinguere gli spiriti e a vedere anche quelli che il
figlio non intravede. Quando un figlio chiede una liberazione da questi spiriti,
il padre la amplia anche ad altri che il figlio non vede ancora.
Nello
stesso tempo, quando una persona viene liberata da questi spiriti negativi, c'è
bisogno di invocare lo Spirito Santo, perché riempia il cuore, altrimenti “altri
sette spiriti peggiori di prima” entrano in lui. li figlio spirituale deve
accogliere in sé Gesù e lo Spirito Santo come in un tempio pulito e adorno. Il
padre spirituale può invocare lo Spirito Santo sul figlio reso libero e così,
con questa benedizione ed effusione, avviene un cambiamento interiore, a volte
un cambiamento radicale che appare anche esteriormente.
Chi
può agire in questo modo? Chi ne è stato a sua volta oggetto, chi vive
costantemente nella realtà di essere egli stesso liberato. Questa realtà
spaventa qualcuno. Non è il caso; anzi, godiamo i Se scopriamo che in noi c'è
qualche spirito non buono, qualche spirito che non viene da Dio, non ci
scoraggiamo né spaventiamo perché sappiamo che il Nome di Gesù è potente. Ci
mettiamo subito sotto la protezione del sangue di Gesù, attendiamo l'incontro
col padre spirituale e chiediamo la forza di Dio attraverso la sua preghiera e
la sua benedizione.
Essere
consapevoli di questa realtà ci fa essere anche molto più attenti, più
comprensivi verso gli altri, perché se vediamo in loro dei difetti, o delle
mancanze che si ripetono, sappiamo che non dipendono da loro; sono essi i primi
a soffrirne! Dipendono invece da qualche forza negativa che li blocca e
impedisce in loro lo svilupparsi delle buone qualità.
Essi
stessi spesso non se ne accorgono nemmeno. Noi possiamo pregare per loro,
benedirli, invocare il Nome di Gesù, anzitutto per non essere noi stessi
dominati dagli stessi spiriti e per non lasciarci influenzare da loro, ma anche
perché il Signore Gesù liberi queste persone che incontriamo. Così riusciremo
a comprendere meglio i nostri fratelli. Dobbiamo però cercare con decisione di
non usare la nostra attenzione per scoprire i segni della presenza diabolica:
rischieremmo di veder il diavolo dappertutto. Cerchiamo di scoprire i segni
della presenza di Dio, pur sapendo che questi segni sono disseminati in un mondo
perverso, in un mondo dominato dalle tenebre i Non occorre che noi stiamo
attenti a scoprire i segni della presenza del Maligno! Egli si fa vedere da
solo, si fa vivo, non occorre che lo cerchiamo!
Noi
cerchiamo i segni della presenza di Dio per poterli sviluppare e lasciarli
crescere. Non dobbiamo neanche assumerci il ruolo di accusatori dei fratelli, di
rivelatori della presenza del male. Se notassimo qualche spirito non buono in un
nostro fratello, non siamo chiamati a dirglielo; siamo chiamati a pregare per
lui. Noi possiamo rivelare a qualcuno la presenza di negatività, solo nel
momento in cui abbiamo anche la possibilità di invocare espressamente su di lui
il Nome di Gesù perché sia liberato, altrimenti il nostro intervento potrebbe
trasformarsi in un danno, invece che in un aiuto. La nostra attenzione maggiore
però deve rivolgersi a noi stessi. Abbiamo bisogno di lasciarci guidare, di
vivere nell'obbedienza, di vivere l'unità in modo che la nostra volontà non ci
sia più, ma ci sia in noi soltanto la volontà di Gesù, quella che si
manifesta nell'unità con uno a cui si obbedisce come al Signore.
La
direzione spirituale è necessaria soprattutto per le persone che
incominciano a camminare nello spirito, ma anche per gli altri, per tutti. Non
è poi il padre che deve correre dietro al figlio per dirgli come deve fare, è
il figlio che deve cercare il padre.
Il
Padre dei cieli non va in cerca del figlio prodigo, ma lo attende, ed è il
figlio che va dal padre! ]I rapporto padre-figlio spirituale deve essere
estremamente libero; ogni passo di ubbidienza nell'unità deve essere fatto
perché è voluto.
Quanto
sta male il figlio che parla male del suo padre spirituale Vuoi dire che non lo
ritiene padre, vuol dire che lì non c'è un'unità nel Nome di Gesù. È segno
che non si comporta più da figlio! Quando uno si lascia guidare dal padre
spirituale viene facilmente abbordato da altri per chiedere un consiglio, un
parere e poi col tempo anche per
essere guidati spiritualmente. È importante che ci rendiamo disponibili a
questo servizio. È necessaria perciò molta preghiera, in modo da essere
continuamente uniti a Gesù; perché se ascoltiamo le miserie o gli
interrogativi di qualcuno, li ascoltiamo consegnando immediatamente a Gesù, li
ascoltiamo come fosse Gesù che li sta ascoltando. Possiamo poi intervenire, ma
soltanto se sentiamo che le parole non vengono da noi, dalla nostra
intelligenza, dalla nostra furbizia, dalla nostra prudenza, ma se sentiamo che
vengono dallo Spirito, se sentiamo che sono parole, esortazioni, consolazioni
che vengono dall'Alto. Per questo è necessario che la nostra vita diventi
sempre più una vita divina, unita continuamente a Dio, altrimenti il nostro
servizio potrebbe diventare falso, un dominio, una vanità o un pretesto per
chiacchierare.
Uno
a cui venisse richiesto qualche consiglio spirituale deve coltivare molta umiltà,
perché egli stesso deve esser guidato, egli stesso può cadere negli stessi
peccati degli altri.
L'umiltà
è indispensabile, così come la cordialità, la semplicità e una grande
capacità di ascolto. Ciò che vale è che Dio ascolti le
parole di chi parla; Egli può farsi sentire direttamente attraverso il Suo
Spirito, anche senza che noi diciamo nulla.
I
grandi santi e i grandi monaci ti aiuteranno ancora più a scoprire il valore,
la necessità e il modo di avere un padre spirituale. Mi pare perciò utile
aggiungere alcuni pensieri dì un grande padre spirituale, vissuto in totale
ubbidienza al suo: Silvano del Monte Athos:
“Non
bisogna mai dimenticare che il padre spirituale compie il suo servizio divino
nello Spirito santo, e per questo dobbiamo onorario. Credete, fratelli, che se
accadesse a qualcuno di morire alla presenza del padre spirituale, e gli
dicesse: "Padre santo, benedicimi, perché io veda il Signore nel Regno dei
cieli ", e il padre spirituale rispondesse: “Va', o figliolo, e vedi il
Signore", ciò avverrebbe secondo la benedizione del padre spirituale,
perché lo Spirito santo è lo stesso nel cielo e sulla terra.
Le
preghiere del padre spirituale hanno una grande efficacia. lo ho sofferto molte
tentazioni da parte dei demoni a causa della superbia, ma il Signore mi ha
umiliato ed ha avuto misericordia di me grazie alle preghiere del mio padre
spirituale. Ora il Signore mi ha manifestato che sui padri spirituali riposa lo
Spirito santo, e per questo ho nei loro riguardi una profonda venerazione. Per
merito delle loro preghiere riceviamo la grazia dello Spirito santo e la gioia
nel Signore, il quale ci ama e ci ha aperto la strada che ci conduce alla
salvezza dell'anima.
Se
l'uomo non dice tutto al padre spirituale, la sua strada è tortuosa e non porta
alla salvezza. Ma se dice tutto, va per la via diritta verso il Regno dei cieli.
Chi
vuole pregare incessantemente, deve essere coraggioso e saggio e deve
interrogare su tutto il suo padre spirituale. E se lo stesso padre spirituale
non ha esperienza della orazione, gli si chiederà comunque il suo consiglio e
le sue preghiere, e per l'umiltà il Signore avrà misericordia di noi e ci terrà
lontani dalla via dell'errore”.
Silvano del Monte Athos, Archimandrita Sofronio, Gribaudi,
1978, ppgg. 362-363).
Tu segui me (Gv 21, 22)
Pietro
ha seguito Gesù ormai da tre anni. Ha avuto successi e insuccessi, le ha
provate tutte. Ormai si sente un esperto di vita comune, e Gesù lo riconosce
dandogli un incarico di guida anche per gli altri. Eppure i rischi non sono
finiti, e nemmeno le prove e i pericoli.
L'occasione
non tarda a venire.
Gesù
gli svela un segreto del futuro: “Da vecchio, altri ti condurranno dove non
vuoi...”.
Pietro
avrebbe avuto modo di rinnovare il suo amore per Gesù e la sua fedeltà. Ed
eccolo invece fare i confronti. “E Giovanni? Cosa sarà di lui?”.
Pietro
lascia spazio ancora al Simone di una volta: considera i suoi amici nuovi,
quelli incontrati e acquisiti durante il cammino con Gesù, alla stregua di
quelli di un tempo, desidera il confronto con loro.
Gesù lo distoglie subito! Pensi quale pericolo sovrasta i discepoli del Signore? Possono far valere verso gli amici di Gesù le leggi dell'amicizia umana, accoglierli con affetti umani, lasciarsi trascinare da sentimenti di antipatia e simpatia come una volta. Il gruppo-comunità dei fratelli di Gesù sarebbe morto, cadavere. In tal caso non sarebbe più Gesù l'unico centro, l'unica legge, l'unico amato, l'unico motivo dell'amore e dell'unità con gli altri.
Il
discepolo Giovanni direbbe con decisione: “Hai abbandonato il tuo amore di
prima... Ravvediti e compi le opere di prima”(Apoc. 2, 4-5).
Gesù
si è limitato a ripetere a Pietro una parola, scandendola bene:
«Tu segui me» (Gv 21, 22).
È
come dire: a te basta sapere che sei con me, non cercare gratificazioni negli
altri. Anche rimanessi tu solo con me, tu continua a seguire me. Segui me. Gli
altri guardali solo per aiutarli a seguire me. Tu sei come un missionario verso
gli altri miei amici. Tu segui me.
Difficoltà?
Ce ne saranno. Chi potrà darti forza per portarle nel silenzio come una croce?
I tuoi fratelli peccheranno. Chi ti darà amore per loro e volontà di rimanere
ancora insieme per testimoniarmi? Tu sarai debole e peccherai. Chi ti darà
perdono e ti rialzerà? Mi servirò della voce e delle mani dei miei amici, ma
sono lo che faccio tutto questo, che risolvo i problemi, che rialzo i caduti e
do il pane per il viaggio. Tu segui me.
Pietro
ha sentito certamente la parola che Gesù aveva detto a tutto il gruppo: “siate
perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste”(Mt 6). Tra le varie
perfezioni di Dio, o aspetti della sua “vita” Pietro ha certamente notato
quello della fedeltà! Dio è fedele, promette e mantiene le promesse, giura
un'alleanza eterna con i suoi figli: egli sarà sempre Padre, avrà pietà per
sempre dei suoi figli! Anche quest'aspetto può essere assunto dal discepolo di
Gesù. Il discepolo di Gesù può assomigliare a Dio anche in questo, farsi
portatore nel suo tempo della fedeltà eterna di Dio: ed ecco un'infinita
schiera di amici di Gesù che, lungo i secoli, giurano fedeltà: “per tutta la
vita mi impegno alla povertà, alla castità, all'obbedienza, all'unità, per
amore di Gesù!".
Votano
la vita a Gesù Cristo, gliela dedicano tutta con un impegno solenne e pubblico:
Gesù lo merita i ed essi divengono così ancora una volta profeti, manifestando
in una vita umana le prerogative della vita e della promessa divina: Dio è
fedele i
Hai
sperimentato ieri la sua bontà e la verità della Sua parola: puoi fidarti
anche domani: Egli è fedele!
Tu
puoi incarnare la Sua fedeltà impegnandoti davanti ai fratelli, affinché
sappiano che possono contare su di te, sul tuo servizio, sul tuo essere fratello
o sorella in ogni momento anche in quelli più difficili.
I
tuoi “voti”di povertà, castità, obbedienza sono così anche un atto
d'amore ai fratelli: essi sanno che il tuo dono a Gesù non è una prova, un
esperimento, ma un dono duraturo, e potranno contare su di te come su di un dono
di Dio, un dono che Dio non ritira perché è fedele ed eterno!
Pietro
gode certamente nella sua attuale visione di Dio, ma gode pure del fatto che tu,
contemplando la sua esperienza ti lasci trascinare da Gesù sulla via che
conduce al Padre! e ti dice dalla sua gloria: segui Gesù, seguilo! non
fermarti! Egli è la vita! donagli tutto, se vuoi che Egli si doni tutto a te!
Egli è il tesoro e la perla preziosa, Egli è la vita vera e la gioia, Egli è
la pace: seguilo, perché è degno di avere te, non solo le tue cose, i tuoi
doni, ma te stesso! Donagli tutto, poiché allora avrai posto per riceverlo.
SEGUIMI!
La
tua voce è decisa, perché sai che nessun'altra via è sicura e stabile e sai
la mia debolezza e fatica.
La
tua voce è dolce, perché la tua meta è l'unica meta che dà gioia e conforto
e pienezza alla mia vita.
Seguimi!
La
tua voce è libera e liberante. Non vi è costrizione, non vi è obbligo di
sorta. I tuoi seguaci sono volontari.
Seguimi!
La
tua voce è sicura: Tu conosci le difficoltà e le asperità del
cammino, conosci ogni curva, ogni passaggio: l'hai già percorso.
Seguimi!
La
tua voce è tranquilla, piena di pace: sei Tu che dai la forza, la luce, il
coraggio per percorrere tutta la strada.
Seguimi!
La
tua voce ora attende... attende il suono dei miei passi, attende d'udire che
l'invito è stato accolto con amore.
Seguimi!
La
tua voce ora è gioiosa perché riflette la mia gioia d'aver già messo il piede
sulle orme calcate dal tuo.
Gesù,
continua a farmi udire la tua voce!
Breve schema di aiuto per
introdurti a tre meditazioni oppure a tre giorni di silenzio o deserto sugli
argomenti trattati in questo opuscolo.
Esamino i tre atteggiamenti che
sorgono in me davanti all'amore delle Tre divine Persone, Padre, Figlio Spirito
Santo.
Davanti a Lui si risveglia in me l’atteggiamento di Gesù,
l'obbedienza:
«non faccio nulla se non ciò che vedo fare dal Padre”,
«non dico nulla se non ciò che ho udito dal Padre”, “non la mia, ma la Tua
Volontà sia fatta”...
Il mio amore al Padre diventa desiderio di compiere la sua
Volontà, che, in fondo, è anche la mia, perché Egli mi conosce e sa il vero
bene mio, della nostra Chiesa e del mondo.
L'atteggiamento di amore ubbidiente davanti al Padre
non smette in me nemmeno quando mi trovo davanti ai fratelli.
mi lascio guardare da Lui!
Gesù è lo sposo che mi ama con amore esclusivo e pieno,
un amore che chiamo castità.
Davanti a Lui contraccambio con amore “esclusivo”e
“fedele”.
“Non cerco amore da altri, amo solo Lui”...
Il mio cuore “integro”, tutto intero per Gesù.
L'amore dei fratelli lo accolgo come segno dell'amore di
Gesù.
L'amore ai fratelli lo dono come segno d'amore a Gesù.
il distacco da tutto:
dalle cose materiali
dalle doti naturali
dai doni divini ricevuti.
Distacco per essere disponibile all’azione libera dello
Spirito, pronto a dire “sì”, “eccomi”!
Dio adopera il mio cuore non le “mie” cose...
Povertà.
“Sto in silenzio, non apro bocca, perché sei Tu che
agisci”!
Nulla osta: don Iginio Rogger, cens. eccl., Trento, 10
dicembre 1980