Gesù taceva - continuazione
Mt 26, 12: Versando
questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura.
Gesù sta interpretando bene un fatto interpretato male da
tutti gli altri. Una donna aveva spezzato un vaso d'alabastro versando un
capitale di olio profumato. Spreco, visto da loro. Atto profetico, visto da Gesù.
Ed io lo vedo con stupore: sento anch'io la forza
dell'opinione pubblica e della mentalità corrente che dà al denaro un grande
valore in vista di un servizio ai poveri, di contribuire ad eliminare la povertà.
Ma vedo anche la bellezza e
la pienezza di un gesto che per amore di Gesù non risparmia i milioni.
Concepire il denaro in funzione di sollevare i poveri o di
arricchirli può portare con sé il pericolo di ritenere o di dar da intendere
che la salvezza dell'uomo sia nel combattere la povertà: ed allora rimarrei
ingannato e sarei ingannatore proprio dei poveri.
Anche per essi non c'è altra salvezza che Gesù; anche
per essi l'unico nome da cui sono e saranno «salvati » è quello del Figlio di
Dio!
Perciò vedo con simpatia' le ricchezze «sprecate » per
Gesù. Non sono poi sprecate, servono invece a mettere in risalto l'unica Verità
e Realtà stabile per l'uomo. Allora esse giungono alla destinazione ultima per
cui sono state create: «in vista di Lui » dice s. Giovanni. Allora esse
finalmente sono liberate: «La creazione infatti nutre la speranza di essere lei
pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà
della gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 21 ). Il profumo di Maria, comprato da
lei come strumento del peccato, per attirare gli uomini in casa, per essere
centro d'attenzione, per rivolgere a sé gli sguardi e i passi degli avidi di
piacere, trova finalmente libertà da quella schiavitù. Ora, versato tutto sul
corpo di Gesù, attirerà gli uomini a Lui. Il vaso è spezzato, l'olio tutto
versato. Maria esprime così una decisione profonda: mai più mi metterò al
centro dell'attenzione, non attirerò più gli uomini a ricevere piacere da me.
lo non dividerò più l'amore del mio cuore con i peccatori. Mi lascerò
attirare solo dalla purezza del cuore di Gesù, l'unico a cui tutti devono
guardare per avere salvezza. I poveri saranno aiutati di più se saranno aiutati
ad avvicinarsi a Gesù che se venissero vestiti bene per due settimane e sfamati
per tre giorni. Con Gesù, accorgendosi di Lui, anche il loro cuore potrà
aprirsi a godere perdono e amicizia vera.
E Gesù comprende che il gesto di Maria è una profezia.
Gli ricorda quel che Egli stesso aveva detto: «quando sarò innalzato da terra
attirerò tutti a me ».
Quel profumo inizia già ad attirare. È giunta l'ora,
l'ora della croce.
Mt 26,14: Uno
dei dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti.
È alla ricerca. Gesù non gli basta. L'amicizia di Gesù
non lo riempie. Egli gli ha dato anche fiducia, gli ha affidato un incarico per
tutti gli altri undici: amministrare i beni del gruppo.
Anche gli uomini fanno così. Vedono uno malcontento, gli
danno fiducia, lo coprono di incarichi, gli cambiano il posto, cercano di
accontentarlo. Il malcontento non diminuisce. È una malattia del cuore. Un
cuore mai contento è un cuore che mostra egoismo. Cerca per sé, ma nulla lo
soddisfa, nulla lo riempie. Nulla lo sazierà. Il cuore egoista è senza fondo.
L'unica cosa che sazia l'uomo è il donare se stesso. Chi
dona se stesso, tempo e fatiche, costui colmerà il cuore fino a traboccare
gioia. Ma la tendenza dell'uomo è spesso quella del cercare per sé. E costui,
anche se trova Gesù, gli va dietro per avere, per ricevere. Vuole ricevere
consolazione, vuole avere entusiasmi, vuole trovare possibilità di realizzarsi,
vuole gioia e comodità e, perché no?, onori. Vuole esser stimato dalla gente,
come Gesù è stimato, ma senza passare per il rifiuto di tutti. E se nel suo
modo di seguire Gesù non trova queste cose... incolpa Gesù stesso, e gli altri
suoi discepoli. Va a riferire, va a parlar male, va a mormorare. Va dall'autorità,
va a cercare. Porta ovunque la tristezza del suo volto, la testimonianza del suo
egocentrismo. Quasi come Giuda. Egli era preoccupato per sé: «quanto mi volete
dare ... ? ».
Seguendo Gesù non era morto a se stesso, non aveva
rinunciato alla propria vita, non si era preparato a perderla, a lasciarla
cedere in terra come cade il seme destinato a portar frutto. Non seguiva Gesù
per partecipare del suo compito di offrire la vita all'amore del Padre per la
salvezza degli uomini. Chi segue Gesù, ma non è contento di Lui, e di Lui
solo, sarà un traditore di Gesù. Se Gesù non ti basta e non lo cerchi che per
aiutarlo nel suo compito, porterai la testimonianza solo di un cuore vuoto e la
tua vita sarà sterile nel Regno di Dio, anche se avrai fatto grandi cose da
meritare monumenti sulle piazze degli uomini.
Mt 26, 27: Bevetene
tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in
remissione dei peccati.
Alleanza, è una parola che richiama impegni di vita.
Hai degli alleati? e i tuoi alleati sono potenti? allora
sei fortunato perché i tuoi nemici devono tener conto non solo delle tue forze,
ma anche delle loro. Ma anche tu devi tener conto delle debolezze dei tubi
alleati e delle loro necessità. La
tua e la loro vita è legata in una comune sorte. Tra te e loro c'è un'unità
di vita, come un solo sangue. Quando mio alleato è Dio, le fortune sono tutte
mie. Nessun nemico potrà sopraffarmi: ho un alleato potente, ho un alleato
pronto e sapiente. Mi posso fidare di Lui sempre.
Le sue preoccupazioni per le sue creature sono grandi. Ed
io devo star attento a non imbarcarmi in imprese che a Lui non s'addicono,
altrimenti mi ritrovo con le sole mie forze. Egli è alleato di tutti, perciò
non posso mettermi contro nessuno: rimarrei senza il suo appoggio. Egli ha molti
nemici, ma nessuno lo può toccare, perciò si scagliano contro di me, e se mi
trovano distante da Lui canteranno vittoria. Egli sa che non può pretendere
nulla da me: che io sia alleato con Lui, a Lui non giova. Perciò per stipulare
alleanza non chiede nulla a me. Il sangue usato per firmare l'accordo è quello
del Figlio suo.
Io mi ritrovo sempre vittorioso, ma non per merito mio.
Addirittura i peccati, miei nemici più intimi che sono arrivati a ferire la
volontà e la memoria e gli affetti e l'intelligenza, addirittura questi nemici
vengono allontanati e vinti dal mio Alleato, Dio. Li vince coi sangue di Gesù.
A me basta berlo. Farlo entrare in me. Il suo è il sangue della alleanza:
diventa vita in me. Quel sangue in me è l'unica cosa che vale, l'unica realtà
che dura, l'unica fonte di vita nella mia vita. Quel sangue in me è il motivo
che attira lo sguardo vigile di Dio e la porta attraverso cui Egli fa entrare le
sue ricchezze nella mia vita: perché Egli non sopporta che i suoi alleati siano
vuoti, miseri, straccioni... perciò mi riempie delle sue ricchezze, del suo
grande amore, del Suo Spirito, della sua Volontà di salvezza, della sua
simpatia per tutti i figli degli uomini e per tutte le creature. «Bevetene
tutti! ». Ne berrò anch'io, ogni giorno.
Mt 26,43: «E
tornato di nuovo trovò i suoi che
dormivano ».
Di per sé Gesù non ha nulla contro il sonno, e
nemmeno contro il sonno tranquillo mentre sembra che caschi il mondo. Non
ha Egli dormito pacificamente sulla barca che stava per naufragare? Ci sono però
momenti nella vita in cui il sonno degli altri accentua enormemente la propria
solitudine. Starsene solo era desiderio frequente di Gesù: esser solo per poter
godere intimità coi Padre. Ma nella notte in cui Egli sente abbattersi su di sé
il tradimento cerca la compagnia: non una compagnia di consolazione o di
comprensione, ma un aiuto alla propria preghiera, quasi un sostegno alle
braccia, come l'ebbe Mosè sul colle mentre Giosuè combatteva.
I suoi dormono. Gesù è proprio solo a portare il peso di ciò che avviene nella notte. E così la notte penetra l'anima di Gesù e copre della sua oscurità ogni pensiero e ogni affetto.
Solo il suo spirito conserva la luce dell'amore.
Questa solitudine notturna di Gesù è un'eredità che
ricevono quelli che gli appartengono e che hanno il dono di partecipare del Suo
Compito nel mondo.
Hai trovato amici, persone che ti stanno sempre vicino e
ti apprezzano. Ma quando s'abbatte su di te la prova della notte non cercare
appoggio dagli uomini, nemmeno dai più fidati e buoni. Dormono. Non s'accorgono
della tua notte. Per essi la notte è una grazia in cui riposare le
ossa. Ci sono momenti nella vita del discepolo di Gesù in cui egli deve far
conto solo sulla Luce che non vede, sulla Forza che non sente, sull'Amore che
non gode.
Sono momenti nei quali diviene indispensabile l'esperienza
del deserto, momenti in cui raccogli il frutto dell'esserti abituato a stare a
tu per tu con Dio, ad esserti accontentato della Sua Presenza. Allora, anche se
non la senti più, sai che non può esser distante.
I momenti del dolore e del pianto ti maturano in questa
solitudine. Impari a non fidarti e non poggiarti sugli amici.
Dovrai lasciarli dormire, mentre tu lotti contro le
potenze nemiche, e vinci anche per loro.
Mt 26, 52,: Rimetti
la spada nel fodero.
È
difficile prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Soprattutto le
conseguenze a lunga scadenza e quelle spirituali. Generalmente badiamo alle
conseguenze immediate e a quelle che influiscono sul corpo
Pietro
voleva difendere e
difendersi. A nessuno sembra proibito, anzi difendere la propria vita è
dovere sacrosanto di ciascuno!
E
perché allora l’ordine di rimettere la spada nel fodero?
Gesù
vede ciò che Pietro non riusciva ancora ad osservare. Gesù vede avvicinarsi a
Pietro nemici spirituali così grandi che non si vincono con la spada, anzi, che
sono attirati della spada. E ancora Gesù vede le conseguenze di quel gesto
proiettate nei secoli e nell’eternità. i discepoli cieli unico Maestro nuovo,
che insegna cose che nessun altro maestro si sarebbe sognato di insegnare,
avrebbero dovuto imparare ad amare i nemici, ad amarli! Primo segno dell’amore
è incontrarli senza armi. Quella spada che torna nel fodero prima d'aver vinto
e prima d'aver perso è una lezione pratica che i cristiani non si son lasciati
e non si lasceranno sfuggire.
Difendersi?
perché? se per Gesù è giunta l'ora della prova più grande dell'amore arriverà
anche per loro la stessa ora. Mi difendo quando mi dimentico d'esser membro vivo
del Corpo di Cristo. Il suo corpo è schiacciato e sfigurato perché Egli, Gesù,
vuol togliere forza alla catena del male, vuol vincere il male col bene. Se lo
dimentico, cerco di difendermi: ed è la porta che si apre ad una frotta d'altri
nemici, più pericolosi, perché toccano il cuore e gli tolgono la somiglianza
con Dio, il Dio dell'Amore.
Col
mio difendermi entra la sfiducia nel Padre. Fosse nei suoi disegni, mi
difenderebbe Egli stesso. Molte legioni d'Angeli sono pronte ad ubbidirgli. Col
mio difendermi lascio poco o molto spazio ad uno spirito di giudizio e di
condanna e forse di odio, quando non ancora di rivalsa e di vendetta contro
colui che sembra mio nemico. . 1, Col mio difendermi sono portato a ritenere gli
uomini nemici, mentre l'unico nemico dell'uomo è Colui che gli separa il cuore
dal Cuore del Padre. La spada non ha forza contro questo nemico; l'unica forza
ce l'ha l'amore. E la forza più grande dell’amore può sprigionarsi proprio
quando vengo ferito, o nei corpo o nell'onore. Rimetti la spada nel fodero,
perché essa chiude la porta dei cuore e non puoi più esser figlio, t'impedisce
d'amare. Semmai, dice s. Paolo prendi la spada dello Spirito, che è la Parola
di Dio: quella t'illuminerà per rimanere nell'amore anche quando attorno a te
si scatena l'odio.
Mt 26, 63: Ma Gesù
taceva.
Ho il dono della parola. Cioè so farmi intendere, in
molti modi. La lingua si muove, e muovendosi tira fuori dalla vita molti altri
movimenti che rendono il parlare vivace e pittoresco tanto da far rivivere
esperienze del passato, timori e speranze del futuro. Con le parole escono,
quasi paggetti accompagnatori che attirano su di sé gli occhi e l'attenzione,
paure e giudizi, rabbie e stupori, bontà e misericordia, dubbi e ironie, fede e
incredulità, odi e simpatie. Ho il dono della parola. Ma non è un dono libero:
l'ho legato a molti spiriti, buoni e cattivi, che s i muovono nel cuore e
attendono di comunicarsi agli altri. Attendono che escano le parole. Non per
nulla qualcuno scrisse che uccide più la lingua che la spada, e s. Giacomo
ancor oggi ci ricorda che la lingua è un veleno mortale e Gesù dice che ogni
parola riceve un premio o un castigo.
Ho il dono della parola. Vorrei che fosse dono libero, un
dono che esprima solo libertà e lasci libertà a chi lo riceve. Potrà mai
accadere? Nulla è impossibile e Dio!
Gesù se parlare. Egli è la Parola. È l'unica Parola
pronunciata con effetto, Parola detta dal Padre sul mondo e tornata al Padre
liberamente. Gesù è la Parole.
Ma Gesù taceva! Le parole pronunciate dalla lingua di Gesù
sono solo strumento che tiran fuori dal suo cuore í sentimenti di amore che il
Padre vi ha messo, e quelli di misericordia e di perdono, quelli di pazienza e
umiltà. Ma se davanti a Lui non c'è il cuore che li riceve, Gesù tace. A che
pro le parole? Se il cuore di Caifa è già colmo di sentimenti, e non li vuoi
mollare, le parole di Gesù non farebbero che sprecar e il dono di Dio, come
versare l'acqua sulla strada, come buttare il seme sui sassi o tra le spine. Gesù
taceva. Ma il suo silenzio non era silenzio di Dio! Egli rimaneva pur sempre
parola d'amore, di mitezza e di forza. Forza che vince l'amor proprio, che vince
e blocca l'odio, che respinge la vendetta, forza che mantiene nel cuore l'amore
del Padre verso gli uomini anche quando tutte le potenze io vorrebbero strappare
dalle viscere.
Ho il dono della parola. Farò silenzio, tacerò: quando
Tu mi chiederai di parlare, Gesù, dirò quel che Tu vorrai dire.
Sto in silenzio, affinché Tu riversi in me i tuoi
sentimenti con la Tua presenza. E le parole delle mie labbra manifesteranno solo
Te.
Mt 26, 72: Non
conosco quell'uomo.
Era proprio vero. Pietro non conosceva quell'Uomo.
Mentendo, Pietro ha detto una grande verità. Egli non
conosceva ancora Gesù. Sì, superficialmente lo conosceva, lo aveva visto,
toccato, udito, anche amato. Ma non era ancora entrato nel suo cuore. Pietro era
rimasto fuori, a contemplare se stesso e preoccuparsi della propria sorte: e così era bene dire quel che ha
detto; gli conveniva. Pietro non conosceva Gesù.
Per conoscere Gesù avrebbe dovuto cambiare occhi, avrebbe
dovuto adoperare gli occhi del Padre. Egli usava ancora occhi di carne, quelli
che vedono solo ciò che serve a difendersi, a cercar l'onore degli uomini, a
star lontano dal dolore. E perciò di Gesù aveva visto ancora troppo poco,
anzi, quasi nulla. Non lo aveva ancora visto come figlio dei suo Dio. Se
l'avesse visto così non avrebbe avuto timore di condividerne la sorte, come non
l'ebbe il ladrone appeso alla sua destra. Se Pietro l'avesse conosciuto come
Figlio di Dio, avrebbe desiderato calpestare le sue orme, percorrere le tappe
del suo cammino, trovarsi partecipe delle stesse esperienze.
Conoscere Gesù è un cambiamento del proprio essere,
della propria vita. È lasciar entrare il suo cuore nel nostro, è vivere il suo
rapporto d'obbedienza al Padre, è rimettere la propria causa «a Colui che
giudica con giustizia », è lasciarsi guidare da Lui, come le pecore dal
pastore. Pietro lo ha imparato e lo ha scritto ai cristiani. Quella notte
terribile egli proprio non conosceva Gesù. Non gli apparteneva ancora: si
riteneva padrone della propria vita, non l'aveva ancora abbandonata alla
custodia e alla sapienza del Padre. Si fidava ancora di se stesso e così non
poteva «conoscere » il Figlio. La conoscenza arriva con la partecipazione alla
stessa missione, con la condivisione della stessa obbedienza.
Posso iniziare a conoscere il Figlio quando decido
d’esser figlio per lo stesso Padre! Fino allora devo dire di non conoscerlo.
Non mi basta sapere quel che ha detto e quel che ha fatto, e nemmeno stimarlo e
volergli bene perché mi ama e mi tiene con sé e mi dà autorità. Comincio a
conoscerlo quando soffro la sua solitudine, quando condivido il suo desiderio di
salvezza per i peccatori, quando dico al Padre: «non la mia, ma la tua volontà
sia fatta », quando beva qualcosa dal Suo calice amaro. Allora comincio a
conoscerlo, e allora non avrò più nemmeno paura di dirlo ad alcuno: anzi, non
occorrerà più dirlo, perché tutti lo vedranno come si vede una città
edificata sul monte. Non puoi nasconderla, nemmeno alla violenza dell'assalto
dei nemici.
Mt 27, 1 l: Sei tu
il re dei Giudei?
Chissà cosa se n'avrebbe fatto Pilato della eventuale
risposta di Gesù. Che gli avesse detto di sì o di no non avrebbe mutato nulla
né delle sorti di Gesù né nel cuore del governatore. Eppure questa domanda può
risvegliare nella mente di Gesù molti ricordi. Un giorno i Giudei lo cercavano,
lo volevano proclamare re. Egli non aveva voluto, altrimenti... Un giorno una
donna aveva chiesto un posto per i suoi figli, alla sua destra e alla sua
sinistra. Un altro giorno qualcuno gli aveva proposto tutti i regni della terra.
La parola «re » era già risuonata altre volte agli orecchi di Gesù, ma
portava sempre un connotato di superiorità, dominio sugli altri, adorazione di
Satana, uso della violenza, della forza. Non erano atteggiamenti che
s'addicevano al Figlio, per uno che volesse rimanere Figlio del Padre di tutti.
Con quei connotati quella parola assumeva un tono di paura
e di confronto, richiamava l'odore del sangue dei ribelli e della polvere che
respirano dalla terra gli adulatori che s'inchinano.
Gesù non ha mai inteso rendere l'uomo schiavo, nemmeno
proprio schiavo, ma è venuto per dargli libertà.
Non ha mai cercato d'essere re. Ma non ha d'altronde mai
rifiutato che qualcuno> accogliesse di vivere secondo la Sua sapienza, non ha
mai allontanato qualcuno dall'obbedirgli proprio come fosse il re! Egli non si
impone come re, ma l'uomo può scegliere di servirlo come u n re.
Per questo a Pilato Gesù risponde semplicemente: «tu lo
dici ».
La misura della regalità di Gesù per Pilato la dava egli
stesso.
La parola che usciva dalla bocca di Pilato, se veniva dal
cuore, era
vera, ed egli allora - governatore e politico - gli
avrebbe obbedito.
Subisce la stessa sorte di questa parola anche qualche
altra. Qualche cristiano, anzi, io in persona proclamo: ‘Tu sei il mio
pastore! Ma allora perché mi lamento se Egli mi conduce per vie faticose? Dico:
Sei il mio pane. Ma allora come mai cerco nutrimento anche nelle parole degli
uomini? Dico: Gesù è il Salvatore. Come mai allora cerco di difendermi? Dico:
Sei la luce. E come mai non chiedo solo a Lui come vede le cose dal suo lato?
Dico: Sei l'amore. E come mai talvolta vorrei che usasse violenza con qualcuno
che mi fa soffrire? Dico: Sei la strada. Ma perché allora rimango ai bordi e
guardo ciò che sta attorno quasi con rimpianto?
Dico: sei il mio re. Sono io che lo dico. Egli mi dice
solo che è mio servo e
mio amico. Sono io che dico: sei il mio re. Premessa: ti voglio ubbidire,
voglio cercare i tuoi ordini. Conta su di me per la tua opera. Tu sei re: io lo
dico.
Mt 27, 17: Chi
volete che vi rilasci: Barabba o Gesù?
Quando abbiamo dubbi, facciamo domande! Bene, segno di
umiltà. Ma è segno di stoltezza interrogare le persone sbagliate. Esse poi
potranno costringerci a fare la loro volontà, e sappiamo che non è sapiente!
Quel che è capitato a Pilato succede ancora, e i protagonisti siamo noi!
Cos'ha fatto Pilato? Sapeva che avevano portato Gesù
davanti al suo tribunale per invidia. Si sa che quando l'invidia è padrona del
cuore, quel cuore è accecato. Se interrogo quei cuore, chi mi risponde è
l'invidia. Pilato ha avuto la stoltezza di interrogare cuori invidiosi, ormai
lontani dalla libertà di giudizio e dalla saggezza del buon senso. La risposta
dell’invidia poi non lascia libertà: diventerà costrizione e ricatto. Pilato
è stato costretto a cedere alla forza che l'invidia ha scatenato quando si è
vista così importante da esser interrogata.
La stoltezza di Pilato, purtroppo, ha ancora oggi le sue
vittime. Non è lontano il tempo in cui lo, prete, davo importanza alle
interviste fatte da giornali o riviste più o meno qualificate. Le interviste si
rivolgevano all'uomo della strada, senza alcun discernimento, e chiedevano: come
volete che sia il prete? cosa volete che faccia? Alcuni degli intervistati erano
in ascolto del Signore, ma la maggioranza era in ascolto solo... del proprio
egoismo e delle proprie passioni. Le risposte erano conseguenti. La mia
stoltezza nell'interrogare chiunque mi rendeva schiavo e attento a risposte che
non venivano dal mio Dio. Le conseguenze portavano lontano da Lui. La stoltezza
di me prete è stoltezza che si comunica anche a molti cristiani, che per il
loro comportamento interrogano l'opinione pubblica, si lasciano orientare dalle
ideologie vaganti dei partiti o degli economisti, che prestano ascolto e
obbedienza al modo di fare di chi ha in mano riviste e televisione, di chi
possiede soldi e idoli vari. Questi cristiani si ritrovano, dopo non molto
tempo, così lontani dalla sapienza di Dio, che le loro voci si confondono con
quelle che gridano: Barabba!
Gruppi interi di giovani, tramite questa stoltezza, hanno
sostituito gli oratori con le discoteche, nei cinema parrocchiali sono entrati i
film violenti e sessuali, nelle chiese le messe ultracorte, nella predicazione
una languidezza tiepida, nelle case dei cristiani tutti i canali televisivi e
ogni tipo di riviste atee, nei rapporti sociali le evasioni, nelle vacanze dei
cristiani spese assurde per figli di Dio, nel loro lavoro una avidità
insaziabile, nelle loro domeniche gli svaghi che allontanano dal Padre sempre più.
È ora di tornare alla sapienza di interrogare non la folla, ma solo lo Spirito
che viene dall'Alto. Allora la nostra voce si distinguerà con chiarezza e avrà
la luce di Gesù.
Mt 27, 24: Si lavò
le mani.
Non vedeva altra uscita. Se voleva salvare la propria
pelle ormai Pilato doveva lasciar fare. Se ne lavò le mani. Era quello che
s'aspettavano: poter fare di Gesù quel che volevano, renderlo odioso a tutti,
mettendolo tra gli uomini da eliminare.
Si lavò le mani. Come dire, fate voi, io non c'entro con
quel che voi fate: solo lasciate stare me. Lui sapeva che, Gesù non meritava né
la morte né la flagellazione. Sapeva ed era convinto che Gesù meritava ben
altro. Lavandosi le mani con l'acqua se le dovette ritrovare sporche di sangue.
Certo egli non era responsabile della cattiveria di quel popolo urlante, ma si
è reso responsabile del fatto che quella cattiveria abbia potuto prendere
potere su Gesù.
I Pilato di oggi continuano a lavarsi le mani. Ma dopo non
sono pulite! Lo spirito di Pilato è presente a tentare tutti quelli che hanno
responsabilità di fronte agli altri. Non solo al governo delle nazioni, ma
anche negli uffici delle varie grosse o piccole burocrazie, negli ambienti di
lavoro, nelle sale d'albergo, nelle scuole, negli ospedali, sulle strade:
dappertutto c'è gente che si lava le mani. Segno che sono sporche!
Addirittura nelle famiglie si instaura questo metodo:
genitori che si lavano le mani della rovina dei propri figli.
Siamo in un mondo pulito perché tutti si lavano le mani?
Credo proprio che ci sia bisogno di portare a termine le nostre responsabilità,
i nostri compiti. La nostra vita non è un tempo libero. È sempre un tempo
occupato dal compito che Dio ha affidato a ciascuno. Se di fronte agli uomini
possiamo (?) lavarci le mani, non possiamo di certo farlo di fronte a Dio: Egli
non ritira da me il compito di amare con il Suo amore, di ascoltare e obbedire
il Suo Figlio, dì vivere con sapienza e di donare luce ai fratelli che
inciampano nelle tenebre.
Dei vari compiti che Dio Padre mi ha affidato e mi affiderà
renderò conto a Lui solo e da Lui solo riceverò il premio. Non mi lascerò
distogliere dai rumori della folla agitata. Voglio salvare Gesù: non lo avvio
alla scomparsa dalla mia vita perché molti gridano che non si può vivere di
fede, che bisogna avere i piedi per terra, che non si può obbedire al Vangelo
così com'è scritto perché esagera... Voglio salvare Gesù. Grideranno contro
di me, ma non importa.
La vita vera non può morire.
Mt 27, 29: Intrecciata
una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra.
Ormai Gesù è la barzelletta di turno. I soldati erano
pagati per eseguire ordini. La noia dell'abitudine va vinta con l'allegria, e
l'allegria può essere a spese di colui che deve morire, di colui che non si
vendicherà, di colui cui nessuno ormai verrà in aiuto. Ed ecco la fantasia
sbizzarrirsi. Corona e scettro da re, omaggi da sovrano: corona che punge, canna
che colpisce, omaggi che strappano l'anima. Ma l'uomo che ha venduto ogni
propria responsabilità si diverte.
Nei nostri cuori cresce la compassione per l'Uomo
torturato e malmenato, diventato barzelletta dei soldati. Ma Egli è ancora il
più sveglio ed il più presente. Egli è attento ancora a quei cuori che lo
circondano. Agiscono così barbaramente, ma sono da compiangere. In essi non c'è
più traccia di umanità. I loro occhi dicono il vuoto interiore. Non hanno
venduto solo le proprie energie all'imperatore o a chi per lui, hanno spalancato
le porte del cuore ad ogni «spirito dell'aria » che opera liberamente in loro.
Ora c'è aria di divertimento e scherno? scherniamo e divertiamoci. Ora c'è
aria di ironia? ironizziamo. Ora c'è aria di barzelletta? ci stiamo, ridiamo.
Ora c'è aria di severità? siamo severi! Ora c'è aria di licenziosità e
morbosità sessuale? le bandiere si muovono in direzione del vento. Gli spiriti
dell'aria dominano l'atmosfera. L'unico uomo libero e forte, che li vince e non
si lascia smuovere da essi né per seguirli né per resistervi è Gesù.
Guardando a Lui vedo la vera libertà. Il suo cuore rimane rivolto al Padre,
libero di amare, tanto che a coloro che piangeranno per Lui, dirà: non per me,
ma per voi stessi piangete! L'uomo, anche se vivo e sano, è un pover'uomo da
compiangere come morto se nel suo cuore dominano tutte le arie che tirano, se
nel suo cuore non è viva la Vita. Se l'uomo ha la Vita in sé, non si lascia
smuovere da nulla. Può diventare addirittura la barzelletta del popolo, può
esser deriso e calunniato, colpito a morte, raggiunto dal disonore delle
malelingue: egli sa vedere coloro che si manifestano suoi nemici come persone
povere, bisognose di tutto, bisognose di un amore grande, tanto grande per
riuscire a svegliarle dall'intorpidimento che le rende irresponsabili, vuote,
preda di ogni spirito vagante, schiave di coloro che gridano più forte. Chi ha
la Vita di Gesù in sé non ha più nulla da temere, poiché può tenere in mano
la situazione spirituale anche quando è per burla coronato di spine.
Mt 27,26: ... dopo
aver fatto flagellare Gesù...
Con una parola detta così, quasi incidentalmente, Matteo
riferisce una decisione di Pilato, una fatica di alcuni soldati, un'ora di
sofferenze atroci di Gesù. Le sue mani, quelle che avevano accarezzato i
bambini, toccato gli occhi del cieco nato, rialzato la figlia di Giairo e
distribuito pane alla folla, quelle mani sono legate. Il suo corpo, che aveva
portato la presenza e lo potenza del Padre è spogliato: i soldati lo possono
vedere e toccare come vogliono, come qualsiasi altro corpo che è passato tra le
loro mani. Sanguina sotto i colpi di flagello, come gli altri.
li cuore di Gesù: noi vogliamo vedere il cuore di Gesù.
Ogni colpo di flagello ha una ripercussione nel Suo cuore. Ognuno di quei colpi
che gli strappano la pelle e la carne arrivano dalla forza violenta di alcuni
uomini, di alcuni soldati che nulla sapevano di Lui: sapevano solo che era un
condannato a morire.
Gesù, con gli occhi chiusi, nei brevissimi istanti tra un
flagello e l'altro, poteva solo ricordare le parole profetiche: «castigato,
percosso da Dio e umiliato ». «Le tue mani, Padre, si servono delle mani
cariche d'odio e d'incoscienza di questi uomini pagati dall'uomo. Prendo questi
colpi da loro, ma li accolgo come da Te. Questi colpi castigano il mio corpo:
non ha fatto nulla di male, ma ha toccato il corpo dei peccatori, s'è lasciato
toccare da loro; questi flagelli umiliano la mia anima: non s'è mai separata da
Te, ma ha avuto compassione dell'adultera e del ladro, ha donato sorriso e
comprensione ai samaritani e ai pagani. Questo colpo, e il prossimo, e
quest'altro, li voglio accogliere come da Te, Padre: tu sai il perché! tu sai
quale bene ricavarne, Tu sai quale salvezza ne deriva per questi soldati e per
altri tuoi figli. Tu sai. Tu sai. lo so che Tu sai già. Mi abbandono a Te. Non
c'è delusione per coloro che confidano in Te. Confido in Te, mentre accolgo
questa Tua Volontà, mentre bevo quest'amarezza ».
Dopo aver fatto flagellare Gesù... Pilato non sapeva
cos'era successo. Nessuno sapeva cos'è successo nel cuore di Gesù.
Nessuno sa cosa succede nel cuore di colui che viene
umiliato dagli uomini. Chi può sapere cosa succede nel cuore di chi non sa e
non vuole difendersi dai flagelli pungenti degli uomini? Quale superiore può
immaginare cosa succede nel cuore umiliato e non ascoltato e non compreso
dell'inferiore?
Pilato non lo sa. Tu, Padre, lo sai. Nulla sfugge a Te.
Mt 26, 32: incontrarono
un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di
lui.
Portare la propria croce senza lamentarsi è una gran
fatica e richiede tutta la fede di cui un cuore dispone. Prender su la croce di
un altro, per quanto buono e santo possa essere, è un gesto da cui ci si guarda
bene. Per questo, «lo costrinsero». Dev'esser stata dura per lui. Costretto a
far la figura di condannato. L'avesse chiesto lui, il condannato... ma no, i
soldati lo costringono, solo perché passa di lì tornando dal lavoro dei campi.
Alcuni giorni dopo Simone sarà contento, e orgoglioso di
aver portato la croce del Risorto, di aver aiutato il Figlio di Dio. Ma ora c'è
la rabbia e il disprezzo e la voglia di scappar via presto.
È capitato anche a me qualche volta. Capita a tutti
talvolta nella vita di esser chiamato controvoglia ad un compito gravoso,
odioso, difficile. Non lo sai che sarà glorioso e fonte di gioia, e perciò
cerchi di ribellarti un giorno, una settimana, anche più se puoi. Eppure una
mano che ti pare mano di tiranno freddo e ingiusto, come la mano armata del
soldato, ti obbliga e non puoi scegliere il rifiuto. Dopo, forse molto tempo
dopo, saprai che quella mano era guidata da una sapienza e da un Amore che non
potrebbe essere più buono e grande. È proprio come la mano del vignaiolo che
avvicina la dura e tagliente forbice al tralcio e pota. All'epoca dei frutti se
ne vedrà il perché, e si potrà lodare l'abilità e la decisione del
vignaiolo, che, rischiando d'esser ritenuto crudele, ha esercitato così il suo
amore.
Chissà come ha reagito Simone di Cirene, chissà cosa è
sorto nel suo cuore alla notizia che quel condannato era risorto! Non lo
sappiamo. So che cosa si muove nel mio cuore quando mi trovo in situazioni che
gli somigliano. E so pure - ora - che non vorrei più ribellarmi a nulla: perché
potrei ribellarmi ad una "costrizione " che mi porta salvezza. Ogni
situazione in cui mi sento come obbligato posso viverla nella fiducia e nella
serenità: dopo, tre giorni dopo, sarà motivo di gloria. Perciò godo già in
anticipo che «ogni cosa torna a vantaggio per coloro che amano Dio» come
insegna s. Paolo.
Le piccole costrizioni più banali provenienti da
contrattempi, le grandi costrizioni che sembrano venire dalla cattiveria
dell'uomo mi aiutano solo ad abbandonarmi con fiducia alla sapienza e all'amore
del Padre. Egli, per Simone, aveva previsto la gloria: per questo gli ha
concesso di portare la croce di Gesù.
Mt 27, 38: Insieme
con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
Stanno al posto di Giacomo e Giovanni, al posto cioè che
essi avrebbero desiderato di occupare. Ma non è stato loro concesso. Alla
destra e alla sinistra di Gesù stanno invece due ladroni.
Nessuno li chiama fortunati, eppure condividono la sorte
del Figlio di Dio. Essi non lo meriterebbero, proprio perché meritano la morte.
Sono peccatori per davvero. Sono ladroni. Nessuno piange la loro morte, nessuno
li vuol salvare. Hanno ambedue dei grossi pesi sulla coscienza, nulla li
distingue. Eppure, quale diversità tra essi! Ambedue cattivi, ambedue con un
passato da far tremare, ambedue in punto di morte: eppure qualcosa li
differenzia enormemente. Che cosa? Lo sguardo verso il terzo, verso Gesù. Il
modo con cui guardano a Gesù li rende così diversi da diventare
irriconoscibili. Uno guarda a Gesù con odio e ironia, con disprezzo: tutto il
suo passato di sangue diviene come una piuma in confronto al peso di questo
sguardo di disperazione. L'altro guarda a Gesù con ammirazione, con amore.
Questo sguardo gli solleva il cuore, gli illumina il volto. Il suo passato di
sangue scompare come la neve al sole.
Sono solo due uomini tra i peggiori dell'umanità, ma la
rappresentano tutta. Tutti gli uomini hanno il loro carico più o meno pesante,
più o meno appariscente, più o meno osservato di peccato e
di male. Nulla li distingue. Essi non hanno nulla di sostanzialmente diverso
Ma c'è il loro occhio che li fa essere addirittura di due mondi contrapposti.
Chi guarda a Gesù con amore si ritrova unito a tutti gli altri che lo guardano
con amore, sente crescere dall'amore per Gesù una fratellanza nuova e
una giustificazione interiore che copre e annulla tutto il male e il peccato di
cui si era reso complice e colpevole. Chi guarda a Gesù con ironia e odio si
ritrova solo e senza speranza, si ritrova straziato interiormente, incapace di
vivere e di donare amore agli uomini, si ritrova ad usare la parola amicizia per
indicare il possesso comune dello stesso odio per Gesù e per chi gli appartiene. I mondi sono due. Il mondo che si compiace
di Gesù, anche se è in croce: questo è il mondo del Padre. Molti uomini,
peccatori come gli altri, lo abitano, soffrendo le stesse pene di tutti, ma il
loro sguardo si posa su Gesù con amore e obbedienza.
Il mondo che si ribella al dolore, che rifiuta la propria
sofferenza che respinge il proprio male acquistato coi peccato, questo mondo
guarda a Gesù con ironia e disprezzo.
Sul Calvario ci sono i due mondi. Sul Calvario si può
scegliere a quale dei due mondi appartenere.
Mt 27,45: Si fece
buio su tutta la terra.
È scomparsa la Luce. Mentre sta morendo la vera «Luce
del mondo » deve scomparire anche la sua «ombra ». Le realtà create, come
appunto la luce, sono ombra dell'unica vera realtà, che è il Cristo, ci
insegna s. Paolo. L'ombra scompare, quando scompare la Realtà. Proprio come se
ne va la luce e la gioia dagli occhi dell'uomo che ha deciso di non guardare più
verso il Signore.
Si fece buio.
È il momento più importante della storia dell'umanità,
della storia dell'amore di Dio, il momento in cui l'amore sulla terra è più
forte e intenso. È il momento in cui Dio Amore è più che mai presente e
attivo nel cuore d'un uomo odiato e messo a morte.
Ma quando Dio viene sulla terra, quando Dio agisce in
essa, l'uomo non può vedere. Perciò «sì fece buio».
Dio agisce nella notte.
Dio non vuole nascondersi. Ma l'uomo non lo può vedere se
non dopo che è passato, come fu rivelato ad Ella sul monte.
Quando Dio è all'opera, l'uomo non vede nulla: i suoi
occhi sono solo abituati alle cose che passano, alle realtà della carne, a ciò
che è superficiale. L'azione e la presenza di Dio accieca gli occhi normali
dell'uomo, come il sole.
Perciò Dio agisce nella notte dell'uomo: s'incontra con
lui nel sogno, s'incontra a lottare con lui nel buio, viene al mondo nella carne
quando gli uomini dormono. Dio agisce quando l'uomo non vede e non sente, quando
l'uomo non agisce: la Sua azione non deve lasciar dubbi né confondersi con
quella dell'uomo. Perciò Egli agisce nella notte. La notte è abituata ad
accompagnare l'azione e la Presenza di Dio, perciò eccola in questo momento in
cui l'Amore del Padre e l'ubbidienza del Figlio si fondono.
La notte nasconde all'uomo i segreti di Dio, il
realizzarsi delle sue meraviglie. L'uomo le troverà come una sorpresa in cui
egli è stato solo assente, se non addirittura impedimento! L'uomo troverà le
meraviglie di Dio già compiute, come le donne troveranno la pietra del sepolcro
già rotolata via.
E così continua ad accadere. Ogni tanto per l'uomo di Dio
si fa buio. Di tanto in tanto gli viene accordata la notte.
Accettare? 'Lottare? è il momento dell'opera di Dio.
Godere, sarebbe l'atteggiamento suggerito dall'esperienza
della fede. Attesa fiduciosa è nel cuore che non vede, ma che sa i modi di fare
del Dio dell'Amore: fiducia della fede e dolore della carne si mescolano nella
speranza.
Mt 27,46: Eli, Eli,
lemà sabactàni?
Il buio della notte imprevista del pomeriggio non toglie
solo i colori alle realtà circostanti, ma penetra l'anima di Gesù. Egli non
vede più il Padre. Si era abituato a contemplarlo nelle notti di preghiera, ne
vedeva i cenni nelle giornate normali, ne ammirava le opere meravigliose della
creazione e guardando gli uccelli semplicemente riusciva a vederne l'amore
concreto e fedele per gli uomini. Gli occhi del suo cuore s'erano fatti attenti
al Padre, ma ora è notte: non lo vede più. Così comprende il grido del
salmista, che esprime il travaglio interiore di molti uomini abituati a vivere
con Dio, abituati a considerare la vita come segno della presenza divina, e che
d'un tratto s'accorgono che la vita sfugge, che il bene fatto e le fatiche
sopportate non danno il frutto sperato. Comprende quel grido, lo prende con sé:
Mio Dio, mio Dio, perché? Perché non ci sei più? Perché non adoperi potenza
per me, che sono tuo? perché ti lasci vincere dalle forze del male che mi
assalgono?
Gesù vive l'orlo della disperazione vissuto da molte
persone, per non dire tutte. Sì, in vari momenti della vita anch'io ho usato
queste parole: Dio non agiva più per me. Sembrava essersi messo contro di me.
Non lo vedevo più.
Gesù però si rivolge a quel Dio che non vede. Grida
verso di lui anche se non lo vede e non lo sente. Egli sì, il Padre continua a
vedere, ad udire Gesù.
Anzi: potremmo ora ricordare a Gesù quel che Egli stesso
aveva poche ore prima affermato: lo e il Padre siamo una cosa sola! Gesù, tu
non vedi il Padre perché sei uno solo con Lui. Tu gli sei talmente unito,
talmente immerso, che non lo puoi più vedere. Tu ora sei diventato Amore, Tu
ora sei l'Amore del Padre per tutto il mondo. Non lo puoi vedere, non perché si
sia allontanato, ma perché Tu stai raggiungendo la pienezza dell'unità di
amore con Lui. Ora la tua ubbidienza è giunta al punto da fondere il tuo
Spirito coi Suo, e non distinguere più due amori, il Tuo e quello del Padre, ma
uno solo.
Potessi dirlo a tutti quelli che soffrono «l'abbandono di
Dio » dopo aver fatto la Sua Volontà! Quale consolazione sapere che nel
momento dell'obbedienza più cruda e priva di consolazione e di luce Dio stesso
si fonde in noi, tanto da trasformarci in puro amore, dono senza ricompensa, a
sua somiglianza!
Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
Mt 27, 54: Il
centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, ... dicevano: «Davvero
costui era Figlio di Dio ».
Troppo tardi, pensano gli uomini! ormai troppo tardi! ma
non è certamente questo il riflesso della vita del crocifisso, di Gesù. Egli
è venuto proprio per questo, perché gli uomini, i peccatori, si accorgano di
Dio, del Suo Amore, perché vedendo lui siano illuminati. Prima che Gesù
arrivasse a portare a compimento il suo amore di Figlio gli uomini potevano solo
accorgersi in parte di esso. Solo ora possono arrivare alla perfezione della
fede, ora che Egli ha dato la vita, ora che l'ha consegnata totalmente al Padre.
Il centurione, preceduto solo dal ladrone, è il primo ad
accorgersi di Dio guardando a Gesù morto, ucciso dall'odio per mano propria.
Guardando Gesù, il centurione s'è accorto della Presenza
di un unico amore, nascosto dalle grida e dai rumori, dalle tenebre e dall'odio.
È l'amore di figlio che presenta se stesso al Padre così com'è in balia di
onde umane, è l'amore di Padre che lascia agli uomini facoltà di distruggere
per ché s'accorgano che in se stessi non è la vita, perché s'accorgano del
vuoto del proprio cuore e vedano dove sta il vero amore cui accostarsi per
esserne riempiti. Guardando il cadavere di Gesù, il centurione stupisce, apre
la bocca ammirato per dire con una sola parola la propria stoltezza e menzogna e
la Verità di Dio.
Il grano è appena morto e già noi vediamo i primi
frutti. Proprio i soldati si ritrovano nel cuore una nuova vita: quella del
Figlio. «Chi ha il Figlio ha la vita ». Essi lo riconoscono, ed ecco in loro
un distacco dal proprio passato, dall'azione che avevano appena eseguito, dalla
propria stoltezza finora ritenuta saggezza, dalla propria incredulità.
Troppo tardi? No: ora è il tempo, ora soltanto è giunto
il tempo vero. Solo con la morte di Gesù è arrivato il tempo della luce, della
verità, della fede, della salvezza.
Dire che il centurione s'è accorto troppo tardi sarebbe
misconoscere il disegno di Dio, ritenere inutile o non necessario il sacrificio
di Gesù. Diremo invece: grazie! Grazie a Gesù per la sua morte: da essa arriva
agli uomini la vita, dalla sua morte giunge a noi la grazia! Dovremmo dire:
finalmente Gesù è morto! così il Suo Spirito può riversarsi in noi, il Suo
amore di figlio al Padre può cambiare i nostri occhi e dirigere le nostre mani
verso l'amore ai fratelli. Grazie Gesù per la tua morte: ora puoi adoperare il
nostro corpo e il nostro cuore per amare, per godere del Padre, per vivere
riversando in noi il Tuo Spirito! Davvero sei Tu il Figlio di Dio! Ora puoi
adoperare le mie sconfitte, la mia morte, per permettere ad altri di accorgersi
del Padre, trovando vita nuova nell'amicizia con TE!
Nulla osta: don Iginio Rogger, cens eccl. - Trento, 11
aprile 1984