Non ho scelto il personaggio adatto per vedere l'amicizia
che l'uomo può sviluppare con Dio. Adamo infatti è l'uomo che non è stato
capace di rispondere all'amicizia di Dio: così l'uomo non è capace e tradisce
l'amicizia, ma Dio rimane fedele. Ed è in questo appunto che può rivelarsi in
maniera inequivocabile invece che l'amicizia da parte di Dio è vera.
Ho scelto Adamo anche per un altro motivo: egli non è un
personaggio storico, egli è ogni essere umano. Sono io Adamo, sei tu. Adamo è
semplicemente l'uomo.
L'uomo esiste come interlocutore di Dio. li Creatore ha
scelto e creato l'uomo perché fosse suo collaboratore, suo rappresentante nella
creazione. Sarà l'uomo capace di rallegrare o rattristare il cuore di Dio. Dio
lo ama, lo copre di fiducia, gli dà responsabilità, lo istruisce sui pericoli,
lo fa decidere in maniera autonoma, dà valore a quanto egli fa, gli offre
possibilità di vita in comunione. Possiamo affermare che Dio tratta l'uomo da
amico, tanta è la fiducia e la stima di cui lo riempie. Vorrei ripeterlo
centinaia di volte: Dio è amico dell'uomo! Vorrei ripeterlo perché la necessità
è immensa. L'uomo infatti ha dimenticato questa realtà, proprio come è detto
di Adamo. L'uomo non è capace di scegliere Dio come amico, pur avendo ricevuto
prova della sua amicizia.
Nel cuore di Adamo nasce gelosia, immotivata. Egli
interpreta un atto di amore come una difesa. Dio ha detto: «Non devi mangiare
dell'albero della conoscenza del bene e del male» e Adamo si lascia dominare da
pensieri negativi: ecco, Dio ha qualcosa da difendere; Adamo in tal modo non
vede più l'amore, non vede più Dio come amico. Non lo stima più, non lo
ascolta più, fugge la possibilità di incontrarlo. La colpa di tutto questo?
Non è colpa di Dio! Anzi Dio continua ad essere amico di Adamo, dell'uomo
diffidente, geloso, ribelle, rosso di vergogna. Dio lo cerca, non per sgridarlo,
non per rinfacciargli il sospetto e la disobbedienza, ma per mostrargli ancora
il proprio amore, la fedeltà della propria amicizia. «Dove sei?». E' la
domanda dell'amico che vuole ancora vedere l'amico, incontrare il suo sguardo,
vederne le necessità, toglierlo dalla solitudine e dall'amarezza. «Dove sei?»
è la domanda dell'amore.
Dio non chiede: «cos'hai fatto?» «Perché?», ma
soltanto «dove sei ora?». Dio vuole incontrare l'uomo che ha lasciato entrare
giudizio e accusa e negatività nel cuore. Solo Lui ha la possibilità di
rimediare, di togliere il male e di riempire il vuoto con la capacità di
rispondere con amore all'amore. L'uomo si nasconde, manifestando così la nostra
infedeltà. E Dio non ritira i compiti, non ritira la fiducia data: solo rivela
che i compiti dell'uomo saranno per lui l'occasione di fatica e di lacrime:
invidia e gelosia e negatività creano pesantezze e infelicità nell'uomo: esse
rivelano un orientamento di vita da cui è stato escluso l'amore, il dono di sé,
per accogliere la pretesa e la vanagloria.
E' stato escluso l'ascolto ubbidiente come segno d'amore
per accogliere l'indipendenza come fosse progresso.
Adamo non si dimostra amico di Dio. E' Dio che si dimostra
amico dell'uomo!
Dio inizia subito un cammino lungo e difficile per farsi
accogliere come amico dall'uomo che lo vede come nemico.
Il cammino lento di Dio viene arricchito di doni, di
salvezze, di «castighi», perché l'uomo s'accorga che può fidarsi di Lui
pienamente, ciecamente.
Talvolta Dio riesce a formarsi qualche cuore aperto,
disponibile all'amicizia disinteressata. Abramo è uno di questi amici che non
si nasconde, ma «esce» per incontrare Dio e ascoltare la sua voce.
Mosè pure è un amico, formato all'amicizia di Dio da
sofferenze, delusioni e richieste inaspettate cui tentava con forza di
sottrarsi. Ma una volta acquisita e accolta l'amicizia di Dio all'uomo, Mosè la
vive con coraggio, fino a giungere a richiamare a Dio stesso l'impegno della
fedeltà!
Samuele, Elia, Eliseo e molti altri vissero coscienti che
Dio non è nemico dell'uomo: questa è la tentazione ricorrente da Adamo ad
oggi. Solo la presenza di persone votate a Dio può sfatare questa visuale
menzognera e negativa. Ma ogni uomo, anche il più perfetto, ha conosciuto e
conosce momenti di dubbio e di infedeltà: Elia stesso e persino Mosè ebbero
momenti di sconforto e sfiducia. Noi non ce ne meravigliamo certamente, ma
sentiamo il bisogno di un vero amico di Dio, nel quale la benevolenza divina sia
accolta totalmente e perciò l'amicizia umana verso Dio sia vissuta pienamente:
un nuovo Adamo. Quest'uomo è Gesù.
In Lui, nella sua storia, contempliamo non solo l'amicizia
di Dio per lui personalmente, ma anche l'amicizia di Dio per tutti, per me, per
te. Dio ha così apprezzato l'amicizia di Gesù da arrivare a chiedergli persino
di morire per realizzare l'amore per tutti gli altri uomini. Dio ha «sentito»
che l'amicizia dell'uomo Gesù per Lui era così grande da essere un tutt'uno
con la propria amicizia a tutto il mondo.
Dio ha tanto amato il mondo, gli è stato tanto amico, da
consegnare il suo Figlio. E il Figlio è stato tanto amico del Padre da offrirsi
alla sua Volontà e da mostrare con gesti, parole, mansuetudine e perdono,
l'amicizia di Dio agli uomini.
Gesù è colui in cui l'amicizia di Dio verso l'uomo
coincide con quella dell'uomo verso Dio. Egli è l'unico Adamo. A Lui devo
guardare per vedere chi sono io, o meglio, chi sarò io quando sarò diventato
uomo in pienezza.
A Lui guardo per vedere dove può giungere la mia statura,
per vedere la méta del mio crescere e svilupparmi, uscendo dall'età infantile
nella quale mi trovo immerso, l'età di chi non sa parlare, di chi non sa dire
la parola comprensibile, quella dell'amore. Gesù mi mostra la vera giovinezza e
me la fa raggiungere quando avrò imparato a dire con Lui: «ecco, io vengo».
Questa è la parola del Figlio amico di Dio. Eccomi, per vivere la tua Parola.
Fuori dall'infanzia trovo la vera e matura figliolanza.
Come Maria, come molti uomini peccatori discendenti di Adamo, così anch'io. Da
quella statura che presumevo aver raggiunto nella indipendenza di Dio, ma era
solo illusione poggiata sul piedistallo dell'orgoglio, sono salito ad essere
bambino che dice: eccomi, sono il tuo servo, Signore. E mi sono ritrovato suo
amico, trattato da amico, capace di amicizia con il mio Dio, Dio dell'universo.
Posso uscire ad accompagnare il mio Dio che «passeggia
nel giardino», senza vergogna. Il mio peccato non ha fatto arrossire il mio
Dio, anzi, lo ha mosso a tenerezza e compassione.
Perciò nemmeno io devo lasciarmi dominare dal peccato per
allontanarmi da Lui con vergogna, anzi; doppiamente mi sento amato dopo il mio
peccato. Egli ha amato un ribelle: la sua amicizia per me è provata, ha
superato la prova più brutta, quella del tradimento. Io lo vedo questo amore di
Dio per me, lo contemplo sul Calvario.
Là Gesù si offre al Padre, là il Padre offre al mio
sguardo la sua sofferenza. Là il mio cuore è toccato e riesce a stento a
mormorare: - è vero, o Dio, che tu non sei nemico dell'uomo; Tu sei il mio
amico per sempre.
Metti in me un cuore capace di rispondere, perché anche
la mia vita diventi annuncio e testimonianza che Tu sei amante degli uomini,
perché nessuno più abbia paura di te, perché tutti ti cerchino per obbedire
alla tua voce.
Gesù, Tu
chiami amici coloro che stanno con Te e ti trattano da maestro e Signore. Li
chiami amici! Perché? Tu e il Padre siete uno. Tu dai loro i segreti del Padre.
Essi, mettendosi nella tua obbedienza sono entrati nel cuore dell'amicizia di
Dio agli uomini e riempiono il vuoto della risposta dell'uomo a Dio.
Gesù,
amicizia di Dio all’uomo, Tu esprimi pure la mia volontà di essere amico di
Dio, e la porti a compimento.
Adamo ed Eva, come tutti i genitori, ricevono come una
sorpresa i loro figli. Una sorpresa sorprendente, perché si accorgono di non
essere gli artefici della loro vita, ma di averla solo ricevuta, custodita, e
presentata al mondo, data alla luce.
Si accorgono di essere collaboratori «inconsapevoli» di
Dio, datore della vita. La sapienza e la forza e la capacità di plasmare è
tutta sua. Essi possono dire soltanto: «ho acquistato un uomo dal Signore». E
questi è «Caino». Vedendoselo sulle braccia sperimentano che Dio non li ha
puniti per il loro peccato, li adopera invece come strumenti nel suo creare.
L'esperienza di questo bimbo sulle proprie braccia, così
indifeso e bisognoso di attenzioni di giorno e di notte, fa' sì che al prossimo
figlio diano il nome «Abele», cioè «soffio»!
Sì, un soffio è l'uomo. E' così instabile e fragile,
così piccolo che, benché venga da Dio e sia dono e immagine di Dio, non può
contare su se stesso. L'uomo ha «consistenza» solo tanto quanto è poggiato su
Dio, tanto quanto gode della stabilità di Dio.
L'uomo è sempre e solo soffio: esiste fin tanto che una
bocca lo sostiene. La bocca che sostiene la vita dell'uomo - soffio -, Abele, è
solo e sempre la bocca di Dio. L'uomo esiste in quanto è in riferimento a Dio.
Se volesse esistere «in proprio» non sarebbe più uomo, sarebbe solo uno «stolto».
Abele, l'uomo debole, instabile, insicuro, ha la stessa origine di Caino. Viene
da Dio attraverso gli uomini.
Di Caino vanno fieri i genitori: il primo figlio ha
suscitato in loro la meraviglia, ha dato loro fiducia e coscienza d'essere
importanti per Dio e per l'uomo. L'altro, Abele, è il fratello.
Caino non è più solo: ora è fratello.
Colui che sa di poter contare su Dio, sulla sua forza e
sapienza, ha un fratello che è soffio, che è indifeso e povero.
I due fratelli vengono descritti nella Bibbia come se
vivessero oggi: uno è lavoratore del suolo, può costruirsi case e circondarsi
di mura di difesa, coltivare piante, sentirsi qualcuno. L'altro è pastore,
nomade: ciò lo rende indifeso, povero, privo di rapporti sociali stabili, con
tutte le conseguenze.
Nonostante le diversità enormi, questi è fratello
dell'altro!
Il nome di fratello sta sempre accanto al nome di Abele,
mai a Caino.
Questi può sentirsi di più, ma l'altro è suo fratello.
Questi può essere più intelligente, ma l'altro è suo
fratello. Questi può sentirsi sicuro di sé, ma l'altro è suo fratello. Sembra
che il racconto di questi due figli di Adamo sia stato narrato e scritto per chi
è forte, per chi si sente protagonista nella società, per chi crede di essere
almeno un po' padrone del mondo. L'altro, il misero, è suo fratello!
Caino sa d'essere il primo. Così lo hanno accolto i suoi
genitori, come il primo. Non accetta il secondo posto. Gli uomini non glielo
danno, né mai si sognerebbero di proporglielo. Dio è libero dalle attese
dell'uomo. Dio può dargli il secondo posto.
Proprio quando tutt'è due offrono qualcosa della propria
vita, proprio allora si manifesta che l'attenzione di Dio è per il più debole,
per il più ignorante e indifeso, per il secondo.
Perché? Già il domandarmi il perché è mettermi davanti
a Dio in maniera diversa che da figlio. Ciò che Dio fa io devo fare, ciò che
Dio fa io devo apprezzare, ammirare, lodare e benedire. E per quanto mi può
essere possibile, collaborare.
Dio sceglie: io ammiro la scelta e imparo a scegliere.
Imparo a scegliere il debole, che ha Dio come unico appoggio. Caino potrebbe
essere contento ed entusiasta che il sacrificio di suo fratello sia stato
accolto e gradito da Dio. Avrebbe potuto unirsi al fratello, alla sua offerta e
al suo grazie. Avrebbe potuto imparare dal fratello. Anzi, vedendo lo sguardo di
Dio posato con compiacenza sul fratello, avrebbe dovuto anche lui compiacersi
del proprio fratello, imparando da Dio.
Abele avrebbe potuto essere una benedizione anche per lui.
Caino invece, come già Adamo verso Dio, si lascia
incatenare dall'invidia verso il fratello. Adamo aveva eliminato Dio
nascondendosi, Caino elimina il fratello uccidendolo. Non'Io vede come amico che
gli può insegnare la via di Dio, lo ritiene invece un nemico. Un nemico che non
fa nulla di male. Un nemico che è solo fratello.
«Andiamo in campagna». Caino conduce il fratello sulla
propria terra, dove si sente padrone, e lo uccide. Il fratello non c'è più,
non ci sarà più il sacrificio gradito a Dio.
Ma proprio questo sacrificio nuovo, il fratello che muore
per mano dell'uomo fratello, il fratello che muore a causa del gradimento di
Dio, diviene figura del vero ed unico sacrificio che rende l'uomo fratello vero
dell'uomo.
L'uomo che si lascia uccidere dal fratello, piuttosto che
smettere d'esser fratello, è il vero fratello.
Sto già parlando di Gesù, nuovo Abele. Gesù, venuto dal
soffio di Dio, fratello per tutti i figli d'uomo, accetta coscientemente d'esser
ucciso dai fratelli, perché il suo sacrificio, la sua preghiera, la sua vita
era gradita al Padre. La sua morte è sacrificio che nutre la fraternità degli
uomini. Chi mangia la sua carne e beve il suo sangue diventa un uomo nuovo, dono
divino per il mondo, fratello per gli altri uomini. Il comportamento di Caino
verso il fratello annienta il progetto di Dio, che l'uomo cioè sia fratello
dell'uomo. D'ora in poi l'uomo sarà lupo per l'uomo, nemico, concorrente sempre
in agguato. «Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti. Nessuno fa il bene,
neppure uno» canta il salmo 53.
Attendiamo il nuovo Abele; Dio dà il proprio Figlio come
fratello per gli uomini. Egli si porrà accanto all'uomo come portatore del
Soffio divino. Gli uomini che - ripercorrendo le tappe di Caino lo uccideranno,
riceveranno in sé quel Soffio, e allora finalmente saranno fratelli. ,
I peccatori che, interrogati da Dio: “Dov'è tuo
fratello?”, potranno rispondere: «L'ho ucciso io, perdonami», riceveranno il
Soffio della fraternità, lo Spirito che l'unico Fratello portava in sé. E così
nasce la famiglia di fratelli. Cresce una famiglia di numerosi, innumerevoli
fratelli di tutte le razze e di tutte le lingue.
Non è la carne ed il sangue che contano, che saldano e
salvano la fraternità degli uomini tra loro, ma soltanto lo Spirito dell'unico
Fratello dato agli uomini dal Soffio che viene dall'alto. lo sono tuo fratello
quando accolgo lo Spirito di Gesù. Prima di quel momento ti sento un estraneo,
o un concorrente, o un cliente. E il mio sorriso verso di te, se fossi stato
capace di abbozzarlo sarebbe stato quello del commerciante che cerca di
attirarti in bottega per venderti qualcosa... sarebbe stato solo ricerca di un
tuo sorriso per me.
E tu sei fratello per me, ed io ti sento tale, quando
accogli lo Spirito di Gesù. Altrimenti ti sento un peso, uno che mi soffoca,
come un interessato o un indifferente. Veri fratelli sono coloro che accettano
Gesù come fratello, che diventano Abele con lui, soffio sostenuto dalla bocca
di Dio.
Sono peccatore, e anche tu rimani tale. Ma Lui, colui che
è morto ucciso per me e per te, «non si
vergogna di chiamarci fratelli» (Eb 2,11). E perciò nemmeno lo mi vergogno
di te. Né tu di me! In Gesù siamo realmente figli di Dio e fratelli.
Qualcuno ancora non ha risposto alla domanda: «Dov'è tuo
fratello Gesù?». Egli è morto una sola volta, anche per lui. Essi sono già
amati dal Padre, poiché Egli ha già dato il Figlio per loro e lo ha accolto
per loro nella gloria. Posso considerarmi quindi già anch'io loro fratello.
Sarò io un Abele per loro? Sarò io degno di unire il mio
sangue a quello già versato da colui che mi ha dato il suo Spirito di fratello?
Non lo so. So che dovrei, vorrei, voglio esser pronto se mi fosse chiesto. Perciò
prega, fratello, perché mi sia data abbondanza di Spirito fraterno.
Luogo di fraternità vera è stata costituita la Chiesa, assemblea dei fratelli di Gesù. Qui essi godono la fraternità di coloro che si offrono, come il Figlio, ogni giorno ad amare gratuitamente, come il Padre. Qui anch'io posso offrirmi in una fedeltà quotidiana a prendermi cura, con intensità diverse, di fratelli che si lasciano servire da me.
Associazioni, famiglie spirituali, comunità nascono
ovunque per manifestare questa realtà fraterna che è la Chiesa: essa in vari
modi riunisce coloro che hanno ricevuto il Soffio di Gesù e sono e restano
Abele l'uno per l'altro.
Allo stesso tempo questa fraternità che è la chiesa si
apre ad amare e a trattare da fratelli tutti gli uomini che in qualche modo
attendono vita e sostegno dal Padre, anche se inconsapevolmente. Non a caso sono
sempre stati e ancora saranno i fratelli di Gesù per primi a trattare da fratelli i malati, gli emarginati, gli schiavi, i
carcerati, i poveri, i drogati, gli abbandonati, i cronici, i piccoli.
Tra i fratelli di Gesù si moltiplicano i San Camillo, i
don Bosco, i Cottolengo, i San Vincenzo, ecc., ecc.
Chiamo fratelli i fratelli di Gesù, i cristiani, ma
tratto da fratelli tutti gli altri, perché Gesù è Abele per loro.
La speranza e la fatica di questa apertura porta Gesù
fratello a contatto con la loro sofferenza. Le sue piaghe - le sue ferite
mortali diventano medicina.
«Dalle tue piaghe siamo guariti». Guariscici Signore Gesù, anzitutto dall'orgoglio. Così, accogliendo il tuo amore di fratello ucciso per noi, Gesù, diverremo capaci di vera fraternità.
«Mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito». Così
Gesù definisce i tempi di Noè. Tempi di materialismo. L'uomo percepisce solo
gli impulsi del suo corpo e solo a quelli dà risposta e a quelli dà solo la
risposta della soddisfazione. L'uomo non si pone interrogativi, non si occupa di
cogliere il significato della propria vita, non risponde agli impulsi dello
spirito. E' l'uomo accecato, caduto in balia del «principe di questo mondo».
In questa situazione «ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che
male» (Gn 6,5).
Nel bel mezzo di questa situazione tenebrosa «Noè era
giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio» (v. 9)' «Ma la
terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza» (v. 11).
Nel fango spunta un fiore.
Noè è colui che non cade nell'ingranaggio del mondo:
egli non pensa all'ambizione, alla considerazione, al successo, alla comodità:
questi atteggiamenti lo farebbero entrare in quel mondo, senza più esserne
distinto.
Egli invece s'accorge della presenza di Dio. Nella vita,
nel mondo, al di là di ogni realtà c'è uno con cui camminare, un amico. Gli
occhi di Noè sono attenti, scrutano nel buio e scorgono la luce che sostiene la
vita. Egli è giusto, integro, cammina con Dio. Egli non si lascia scalfire dal
rumore del mondo che lo circonda, né dai falsi problemi che gli uomini
sollevano per riuscire nella loro corruzione e violenza. Egli tiene Dio davanti
a sé. Ci si potrebbe esprimere così: lo vede! I puri di cuore vedono Dio, ne
percepiscono la Presenza, ne odono i richiami dolci e forti.
Attorno a Noè il materialismo ha prodotto ateismo e da
questo hanno preso forza «la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli
occhi e la superbia della vita» (1 Gv 2,16).
Queste poi portano inevitabilmente alle inimicizie, gelosie, invidie, orge,
violenze. Non occorre descrivere il mondo che circonda Noè. Lo conosciamo.
Forse siamo una ruota del suo esteso ingranaggio che
maciulla tutto, e nulla risparmia intatto. Noè vive in ascolto di una voce. Il
rumore non lo attira. Il suo è un ascolto difficile, che lo rende solo. Sembra
un alienato, potrebbero chiamarlo eremita. Sì, perché attorno a lui sente il
deserto, il vuoto. Nessuno ascolta con lui. Nessuno lo aiuta ad udire la Voce.
Non ha appoggio da nessuno tra gli uomini che lo circondano e sollecitano.
Egli deve inoltre essere un appoggio anche per i propri
figli. Continua a stare in ascolto. E quanto ascolta, benché strano, benché lo
renda ancora più estraneo, lo fa: «eseguì tutto».
La sua caratteristica è l'obbedienza. Il suo ascolto non
è mosso né da curiosità, né da vanagloria, ma solo dalla fiducia in Colui
che lo vede e gli parla. E la sua obbedienza non è sostenuta dal suo
ragionamento né dalla sua esperienza, ma solo dalla fiducia in Colui che lo
ama. Eseguì tutto. Il mondo per lui esiste, non ha peso, non influisce sulle
sue decisioni e sul suo lavoro. Per lui esiste Dio, e il mondo è il luogo
dell'obbedienza a Dio, un luogo che può trasformare la gioia dell'obbedienza in
fatica, croce, martirio.
Noè non impreca, non si lamenta, non condanna il mondo:
ed è quel mondo l'occasione per la sua grande fatica. Tuttavia non lo maledice.
L'obbedienza e l'ascolto lo tengono rivolto a Dio, da cui egli riceve solo
benevolenza e viscere di misericordia. Egli vive diversamente da tutti e
intraprende un lavoro diverso da tutti, giudicato inutile. Egli diventa così
ammonizione, richiamo. Qualcuno percepisce la sua vita come accusa, giudizio e
condanna degli altri.
Ma il suo giudizio viene così recepito senza che dal suo
cuore esca risentimento e accusa.
Noè rimane silenzioso, mite, umile, credente e amante.
Egli non giudica nessuno con la sua mente, così il suo cuore può essere aperto
all'amore per tutti. Eppure è «banditore di giustizia» (2Pt 2,5).
La sua vita è un grido, un appello, un allarme.
Egli è l'uomo integro, che rimane fedele a Dio pur
circondato da mille sollecitazioni alla disobbedienza.
Il profeta Ezechiele (cf Ez 14,14) mette accanto a Noè altri due nomi che hanno vissuto la
sua integrità. Daniele, vissuto tra re e governanti persecutori, non si è
lasciato scalfire da proposte allettanti né da castighi angosciosi. Giobbe,
caduto nella miseria più nera, adulato e portato a ragionare dalla moglie e
dagli amici, ha ravvisato nelle parole dell'affetto e dell'amicizia dei nemici
per la propria fede.
Benché indebolito fisicamente da sofferenze e malattie
rimane forte nel dimostrare la sua integrità. Due nomi che, aggiunti a quello
di Noè, ci mostrano i vari aspetti e le varie circostanze in cui può crescere
e resistere l'integrità del credente.
Quando sono integro?
Credo di poter riassumere così le varie risposte date dai
tre nomi considerati da Ezechiele:
- sono integro quando mantengo puro il mio rapporto con
Dio. Ciò avviene soprattutto quando non permetto che Dio possa esser giudicato
dalla mia ragione, e quando non metto nulla nel cuore al posto di Dio.
Il primo sarebbe peccato di superbia, il secondo di
idolatria.
In fondo però esiste solo questo. Il giudicare Dio nasce
dal fatto che ho messo nel cuore qualcosa al primo posto, davanti a Lui.
Il ragionamento è sostenuto da un interesse, e se il mio
ragionamento giunge a giudicare Dio, l'interesse - nascosto - è già divenuto
idolo potente e devastante.
«L'invenzione degli idoli fu l'inizio della
prostituzione, la loro scoperta portò la corruzione nella vita» (Sap
14,12). «L'adorazione di idoli senza nome è principio, causa e fine di
ogni male» (v. 27). «Concepiscono un'idea falsa di Dio rivolgendosi agli
idoli, disprezzando la santità» (v. 30).
Idolo è tutto ciò che viene messo al posto di Dio: non
quindi solo statue, amuleti e portafortuna di vario tipo, ma anche idee,
desideri, programmi, ambizioni, guadagni, credenze, ecc. Osserviamo il decalogo:
inizia con l'affermazione: «lo sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio
all'infuori di me». Ogni comandamento che segue vuole abbattere uno degli idoli
che si piantano facilmente nel bel mezzo del nostro cuore o della nostra
famiglia o della società. Se l'uomo e gli uomini conservassero integro il primo
comandamento, si potrebbero dimenticare gli altri. Difatti: «Tu nostro Dio, sei
buono e fedele, sei paziente e tutto governi secondo misericordia. Anche se
pecchiamo, siamo tuoi, conoscendo la tua potenza; ma non peccheremo più,
sapendo che ti apparteniamo. Conoscerti, infatti, è giustizia perfetta» (Sap
15, 1-3).
«Questa è la vita eterna: che conoscano Te, l'unico vero
Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3).
Anche se pecchiamo... Sì, la nostra integrità deve
essere sempre ricostruita dalla potenza fedele di Dio. Noè, salvato dal
diluvio, non è liberato dal male. Egli ubriaco e suo figlio iniquo derisore del
padre riaprono le porte dell'uomo alla concupiscenza. Ci sarà un uomo integro
-capace di costruire un'arca che non salva solo da un diluvio d'acqua, ma dal
diluvio dell'idolatria?
L'uomo di indiscussa integrità, senza idoli di sorta, è
colui che ha proclamato le beatitudini dei senza idoli, di coloro che hanno solo
Dio Padre come amico, confidente, difensore. Gesù è il vero uomo giusto ed
integro, il vero Noè. Gesù vive in un mondo corrotto da superbia, denaro,
potere e ambizione. Nella lotta sostenuta nella solitudine del deserto ha
impedito che quegli idoli si ergessero dei piedistalli nel suo cuore. Ha
affrontato la lotta con la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio. Ha
vissuto l'insegnamento del Salmo (1 19): «Come potrà un giovane mantenere pura
la sua vita? Custodendo le tue parole!».
Gesù con la sua vita libera da idoli è condanna per
coloro che vogliono esser capi, per coloro che vogliono arricchire e dominare.
Egli è condanna e giudizio, pur senza che nel suo cuore entri accusa e
cattiveria, anzi! Il suo cuore è aperto ad ascoltare ed ad amare Pilato e i
soldati del suo supplizio.
Gesù è ascolto costante del Padre, e obbedienza pura:
non obbedisce a se stesso, Egli fa la volontà del Padre.
Vedo in Gesù anche il nuovo e vero Noè in quanto
costruttore dell'arca. L'arca di Gesù, luogo di salvezza dagli idoli e dalle
loro conseguenze, luogo dove si riceve persino il perdono delle trasgressioni,
è la Chiesa. Un'arca in cui si viene accolti e custoditi e arca da cui tutti
poi escono per diffondere sulla terra vita nuova, benedizione, pace. Arca in cui
i «familiari» di Gesù vivono comunione e di essa fecondano poi tutta la
terra!
Posso
vivere anch'io come tuo familiare, Gesù, custodito nella tua arca, nutrito da
Te e fedele all'intimità con Te! E non appena la tua colomba apparirà portando
nel becco non più l'ulivo, ma la parola della vita, allora anch'io con gioia
uscirò a benedire e a diffondere l'integrità di figlio di Dio in tutto il
mondo!
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