PACE A VOI parte terza
31.
«Ricevete lo Spirito Santo; a chi
rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non
rimessi».
Lo Spirito Santo trasforma realmente il cuore
dell’uomo e lo trasforma in questo modo: lo rende capace di stare a tu per tu
con Dio. L’uomo, da quando Adamo ha lasciato il paradiso terrestre, da quando
ha perduto la confidenza col Padre, si trova fuori strada: questo è il suo
peccato, perché l’esser fuori strada impedisce all’uomo di arrivare alla
meta. L’uomo deve rimettersi sui propri passi e ritornare al Padre. Come può
fare? Ecco: la via è Gesù. «Io sono la
via« aveva detto, «Nessuno può
venire al Padre se non per mezzo di me». Gesù è colui che toglie l’uomo
dal peccato, Gesù è colui che rimette l’uomo disorientato, che non conosce
il significato della propria esistenza e non trova quindi nessun motivo di gioia
su questa terra, sulla retta via; lo riporta al Padre.
Ma adesso che Gesù è morto ed è salito ai cieli,
chi realizza questo compito? Chi sta al suo posto?
«Ricevete
lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi».
Ora e nei discepoli di Gesù, nella Chiesa che abita lo Spirito Santo, quello
Spirito che può riconoscere se una persona è sulla strada o fuori. Lo Spirito
Santo è la luce che illumina le vie del mondo e fa riconoscere e distinguere la
via giusta, quella che porta al Padre, dalle vie false. Questa luce è data alla
Chiesa, ai discepoli di Gesù; essi possono discernere se tu sei sulla strada o
se sei fuori strada; se tu stai camminando verso il Padre o se stai percorrendo
vie strane, vie che non ti condurranno mai alla Casa, alla tua dimora, alla tua
vera felicità.
La Chiesa ha questo compito, e lo deve realizzare. La
Chiesa deve dire agli uomini: «Sei sulla strada« oppure «Sei fuori strada».
E non solo lo deve dire, ma a lei spetta anche rimettere il peccato, cioè
prendere l’uomo che è fuori e portarlo sulla strada. La Chiesa con i suoi
Sacramenti, con la sua vita, col suo amore, realizza quest’opera grande per
tutti gli uomini. La Chiesa prende l’uomo dalla situazione di tenebra e di
confusione e lo porta alla luce, con i segni del Battesimo, dell’Eucaristia,
della Cresima e tutti gli altri, e con la Parola che essa annuncia. Coloro che
non accettano questi Segni e questa Parola, rimangono nel loro peccato,
rimangono fuori strada, rimangono tra coloro per i quali noi dobbiamo ancora
offrirci e soffrire finché anch’essi possano essere riportati nell’unico
ovile dal Signore Gesù.
Anche noi oggi vogliamo offrire al Signore le nostre sofferenze e le nostre fatiche perché qualcuno possa essere preso dal suo luogo di tenebra, dov’è perduto, e rimesso in contatto con Gesù, l’unica strada che porta al Padre.
32.
«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato
Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri
discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo
nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e
non metto la mia mano nel suo
costato, non crederò”».
Tommaso è uno dei Dodici; era assente il giorno della
Risurrezione, nel momento in cui Gesù si è presentato ai suoi e si è fermato
in mezzo a loro, donando la pace, il mandato del Padre e lo Spirito Santo: in
quel momento Tommaso non c’era.
Quest’assenza di Tommaso dal gruppo dei discepoli,
in un momento così importante e decisivo della loro vita, mi suggerisce questo
pensiero: la Comunità cristiana può godere la presenza di Gesù anche se non
tutti i membri sono presenti; quando la Comunità cristiana si riunisce, anche
se manco io, Gesù può essere ugualmente presente. E cosa significa questo?
Significa che io prenderò sul serio quello che la Comunità cristiana fa e
decide anche senza di me: lo decide, infatti, con la presenza di Gesù; io sarò
quindi obbediente al Signore e accoglierò quanto la Comunità, insieme a Lui,
ha deciso. Questo vale se penso a quanto la Comunità cristiana, la Chiesa, ha
deciso nei secoli scorsi, negli anni passati, negli incontri importanti che ci
sono stati tra cristiani, tra credenti, tra Vescovi - i Concili, per esempio -,
oppure a quello che ha deciso qualche anno fa o nell’ultima riunione il
Consiglio Pastorale della mia Parrocchia, anche se io non ero presente.
Tommaso non era presente, eppure Gesù è apparso
ugualmente e ha compiuto tutta la sua opera in mezzo ai suoi. È una grazia
vedere che Gesù non dipende dall’uno o dall’altro, dalla mia presenza o
dalla mia assenza: Egli è libero di agire nella sua Comunità, e l’opera che
egli compie è sua. Con molta umiltà perciò io guarderò alla Comunità
cristiana e alle sue decisioni e iniziative come a un dono per me, a una grazia,
anche se, per il mio peccato o per la mia pigrizia o per qualunque altro motivo,
io non sono presente quando essa si riunisce.
Ringraziamo il Signore che ci fa membra attive della
Chiesa che vive ormai da secoli, e che sempre, in ogni tempo, ha potuto godere
la presenza del suo e mio Signore e preghiamo perché i cristiani, sentendosi
membra vive della Chiesa, possano darle piena, sincera
ubbidienza.
33.
«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato
Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri
discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo
nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e
non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”».
Tommaso non era con loro quando venne Gesù.
Gli altri discepoli approfittano di questa occasione
per farsi annunciatori. I discepoli di Gesù, gli Apostoli, che hanno visto il
Risorto, annunciano quanto hanno visto, quanto hanno sperimentato; lo annunciano
a Tommaso.
Questo fatto semplicissimo, ovvio, naturale, mi fa
pensare alla nostra esperienza. Noi viviamo insieme con altri cristiani, con
altri discepoli di Gesù. Ebbene, è anzitutto a loro che noi doniamo la nostra
esperienza, l’esperienza che abbiamo col Signore.
Se noi incontriamo Gesù nella nostra vita, se
incontriamo Gesù che ci dà qualche luce o qualche suggerimento interiore, o
gioia o consolazione, o anche qualche
sostegno nella nostra sofferenza, ebbene, se incontriamo Gesù, i primi che ne
debbono godere sono i nostri fratelli nella fede; sono gli altri cristiani, che
sono cristiani con noi, che hanno bisogno di essere sostenuti nella fede, hanno
bisogno di sapere quello che fa il Signore anche nella vita degli altri. «Abbiamo
visto il Signore!»: i discepoli si fanno testimoni per un loro
condiscepolo.
A questo proposito vorrei veramente ringraziare molti
cristiani che sono stati testimoni per me, anzi, voglio ringraziare molti
cristiani che oggi sono testimoni per me; essi, col loro raccontarmi
l’esperienza che fanno col Signore, mi aiutano, mi danno sostegno, rafforzano
quella poca fede che riesco a mettere in pratica. È un grande dono che ci sia
qualcuno accanto a me che mi dice: «Ho
visto il Signore!». È un grande dono che qualcuno mi racconti qualcosa
della sua esperienza di luce, di pace e consolazione vissuta con Gesù Risorto.
È veramente molto bello questo fatto: vediamo anche
la nostra vita realmente descritta qui dalle parole del vangelo:
«Gli dissero gli altri discepoli:
“Abbiamo visto il Signore!”».
Possa anche tu dire a qualcuno: «Ho visto il Signore!».
Possa tu essere attento a riconoscere e a sperimentare la presenza di Gesù.
Egli certamente ti dà i segni della sua opera, della sua presenza: non
dimenticarli, ma quando incontri qualcuno disposto ad ascoltarti,
raccontaglieli: questa testimonianza è una grazia, è un dono di Dio di cui
tutti hanno bisogno. E, se qualcuno li racconta a te, ascoltalo: è un dono che
Dio ti fa, perché anche tu possa incontrare Gesù in una maniera sempre più
viva e comunitaria.
Signore Gesù, donaci il tuo Santo Spirito, perché possiamo vedere la
tua presenza nella nostra vita, nella vita della nostra Comunità, e donaci
anche il tuo spirito di comunione perché possiamo trasmettere ai nostri
fratelli quanto di te abbiamo sperimentato.
34.
«Gli dissero allora gli altri
discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo
nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e
non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”».
I discepoli hanno dato la loro testimonianza a
Tommaso, ma Tommaso è prevenuto: egli pensa che un morto non può risorgere o,
perlomeno, per poterlo credere, egli vuole dei segni; e i segni non li può
decidere Dio, ma li deve decidere lui, Tommaso stesso («Se non vedo... se non metto il dito... se non metto la mia mano...,
non crederò»). È Tommaso che decide quali segni Dio gli deve dare perché
possa credere.
Dentro queste affermazioni vi è certamente orgoglio,
ma anche una convinzione sbagliata: la convinzione che la fede sia conseguenza
dell’opera dell’uomo, del suo vedere e del suo toccare. Anche oggi molti
pensano come Tommaso: «Io non l’ho mai visto, quindi non credo!». Come se la
fede fosse qualcosa che produciamo noi...
La fede invece è dono di Dio! La vera fede, il
credere - cioè l’affidarsi a Colui che è risorto, il donargli la vita,
l’amare fino alla fine, il seguirlo -, questa fede è dono di Dio, non
conseguenza del nostro vedere e del nostro toccare. Questo dono non può esser
fatto a chi ha un cuore orgoglioso, ma soltanto a chi è umile e docile.
Tommaso aveva già ricevuto un segno grande: aveva
visto dieci uomini cambiati, trasformati. Tommaso aveva davanti a sé, proprio
in quel momento, dieci uomini che egli conosceva, che aveva lasciati addolorati,
spaventati, delusi e amareggiati; ebbene, quei dieci uomini, eccoli davanti a
lui nella gioia! Un segno più grande di questo dove lo si poteva trovare? Dieci
persone trasformate, dieci uomini contenti, capaci di amare, di esser generosi;
dieci uomini che hanno perso la paura... Queste dieci persone sono un segno
grandioso, un segno di Dio. Tommaso lo vede, ma ha il cuore chiuso e non
capisce. Come potrà capire altri segni? Se Dio gli darà i segni che egli
stesso richiede, potrebbe dire addirittura: «Ah, ho avuto un’autosuggestione!».
Non dobbiamo chiedere segni a Dio. Egli stesso ce li dà:
basta che noi apriamo gli occhi con umiltà e con amore, e li vedremo; segni non
solo della Risurrezione di Gesù, ma del grande amore che il Padre ci dona,
continuamente; segni della vita nuova che Dio vuol mettere e mette nei nostri
cuori perché anche noi viviamo, già oggi, da risorti.
Insieme con te prego lo Spirito Santo che venga a rinnovare il nostro
cuore.
Vieni, Spirito Santo, rinnova il cuore dei tuoi fedeli perché possiamo
credere nel Signore Gesù, donargli la vita e diventare un segno per i fratelli!
35.
«Otto giorni dopo i discepoli erano di
nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso».
«Otto
giorni dopo« o, come si traduce più esattamente dal greco: «L’ottavo
giorno erano di nuovo in casa».
«L’ottavo
giorno»: questa Parola del
vangelo è importante, perché ci lascia intuire come la Risurrezione di Gesù e
le sue successive apparizioni inaugurino un nuovo modo di vivere il tempo. I
giorni sono soltanto sette; finora abbiamo misurato il tempo col numero sette;
sono sette i giorni della settimana.
Qui, invece, si comincia con l’ottavo giorno: è il
giorno che viene dopo il tempo, è il giorno che inaugura un tempo nuovo,
quello, appunto, della Risurrezione del Signore. Noi siamo abituati a vivere il
nostro tempo con la paura o addirittura con l’incubo della morte davanti a
noi. Gesù, con la sua Risurrezione, ha fatto sparire questo incubo: egli ha
trasformato la morte in un atto d’amore, in un’offerta; e dell’amore non
si ha paura. Non si ha paura del momento in cui ameremo, come non abbiamo paura
del momento in cui amiamo, perché l’amore scaccia il timore.
La Risurrezione di Gesù, quindi, inaugura un nuovo
modo di vivere: non viviamo più nel tempo scandito dal numero sette, cioè non
viviamo più nel tempo scandito dalla legge, dall’obbligo, dal dovere, e
quindi nel tempo segnato dalla paura, dalla morte. Viviamo in un tempo scandito
dall’amore, in un tempo che non ha più differenze: non ci sono più
differenze tra un’ora e un’altra, tra un giorno e un altro. Quando si ama,
non si fanno differenze: chi ama non bada a calendari o a orologi. L’amore è
la nuova situazione del tempo nuovo. Gesù, risorgendo da morte, porta questa
grande novità, che è espressa, qui nel vangelo, semplicemente con la parola: «l’ottavo
giorno».
«L’ottavo
giorno i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso».
Ci sono tutti, nel giorno nuovo, nel giorno dell’amore, nel giorno in cui si
fa festa per il fatto più importante, quello che cambia la storia dell’uomo:
l’amore del Padre che si rivela nella Risurrezione del Signore Gesù!
Noi stiamo vivendo in questo tempo nuovo, il tempo che
non viene misurato più dai calendari e dall’orologio, ma dall’amore, dalla
capacità di donarsi, di offrirsi. È lo Spirito Santo che ci rende possibile
questa nuova realtà! È lo Spirito Santo che ci rende possibile vivere questa
vita che Gesù vuol trasmettere ai suoi discepoli.
E noi oggi proveremo a farne esperienza vivendo nell’amore: vivendo così
non calcoleremo più il tempo.
Vieni, Spirito Santo, vieni Spirito dell’amore del Padre, Spirito
dell’amore di Gesù, vieni in noi.
36.
«Otto giorni dopo i discepoli erano di
nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si
fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti
qua il tuo dito e guarda le mie mani”».
«C’era
con loro anche Tommaso»: questa volta la Comunità dei discepoli di Gesù è
al completo, ma si tratta di una completezza solo numerica: ci sono tutti, però
non tutti sono presenti allo stesso modo. Alcuni sono presenti come credenti,
uno di loro è presente come incredulo, come uno che non crede nemmeno alla
testimonianza dei suoi fratelli.
«Tommaso
era con loro»: la presenza di Tommaso potrebbe essere una gioia, ma, poiché
egli non crede, diviene un peso.
Così accade anche tra noi: quando la Comunità
cristiana si trova riunita nel Giorno del Signore, il giorno in cui egli si fa
presente in modo particolare in mezzo ai suoi, in quella comunità non tutti
sono credenti: molte volte tra gli altri c’è anche «Tommaso».
Questo non è un male, anzi, è ciò che la Comunità
deve desiderare, deve volere: la comunità deve far di tutto perché i suoi «Tommaso»
siano presenti. Se «Tommaso», cioè chi non crede ancora è fra i
discepoli, essi possono divenire testimoni di Gesù; per lui il Signore, che si
fa presente in mezzo ad essi, può nuovamente agire, trasformando l’incredulità
in fede. Non dobbiamo spaventarci, perciò, se nelle nostre comunità c’è
qualcuno che non crede o crede poco, qualcuno che dubita, che propone soltanto
la propria idea, espressione di orgoglio. La comunità, la nostra comunità,
deve accogliere questa presenza nella fede che il Signore può operare ancora i
suoi prodigi proprio nel cuore di chi non crede o di chi non crede del tutto; il
Signore opera questa trasformazione servendosi della riunione della comunità
dei credenti.
È proprio delle sètte, invece, presentarsi agli
occhi del mondo come «comunità» perfette, ideali; esse infatti dicono: «Noi
siamo i puri, tra noi tutti sono bravi, tra noi tutti credono,...»; ma di
queste aggregazioni si deve diffidare: sono gruppi nei quali l’uomo si vanta
di se stesso; in essi non è Dio, ma l’uomo a operare; per questo in tali sètte
l’uomo diventa dominatore degli altri. Ed essi, tutti insieme, senza neppur
rendersene conto, diventano oppressori delle coscienze dei singoli. Così sono
appunto le sètte, anche quelle che bussano alle nostre porte per cercare di
convincerci che la loro fede è quella che rende più puri, che rende più
santi, che rende perfetti. La Comunità dove Gesù appare, dove Gesù è
presente, è una Comunità dove c’è anche «Tommaso»,
dov’è presente colui che non crede ancora, colui che è sfiduciato, colui che
ha bisogno di qualche segno e di qualche aiuto e della misericordia degli altri
per giungere alla fede e all’unità piena con i suoi fratelli.
Invochiamo lo Spirito Santo sulle nostre Comunità cristiane, perché in
esse coloro che non credono, coloro che hanno soltanto il buio nel cuore,
possano essere accolti e ricevano la luce dal Signore.
Vieni, Spirito Santo, infondi nel cuore dei tuoi fedeli la luce del tuo
amore!
37.
«Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò
in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il
tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e
non essere più incredulo, ma credente”».
Otto giorni dopo Gesù entra nuovamente nella Comunità dei discepoli, si
fa presente in mezzo a loro; inaugura, così, il giorno liturgico che noi
continuiamo a vivere e celebrare.
Gesù ripete quello che aveva già fatto la prima volta, il giorno della
Risurrezione; ripete nello stesso modo la sua presenza e ripete allo stesso modo
la sua parola: «Pace a voi!». Gesù
vuole, ogni volta che si fa presente in mezzo ai suoi discepoli, condividere le
sue ricchezze di vita: «Pace a voi!».
Gesù poi si rivolge direttamente a Tommaso: «Metti
qua il tuo dito». Chi attira per primo lo sguardo di Gesù non sono i discepoli
che credono, non è Pietro, non è Giovanni, né gli altri: è Tommaso. Gesù
vuole anzitutto che nella Comunità dove egli è presente si giunga all’unità
di spirito. Per questo vuole che tutti lo riconoscano; l’unità di spirito
infatti è possibile solo tra coloro che riconoscono Gesù come Signore, tra
coloro che riconoscono Gesù come il Risorto dai morti, come Colui che è
presente per l’eternità e che dà nuovo significato all’esistenza.
Gesù si rivolge quindi a Tommaso. Questo fatto mi fa
pensare alla mia esperienza di sacerdote, di parroco. Quando la domenica celebro
la S. Messa la mia attenzione si rivolge particolarmente a coloro che intuisco
stiano dubitando: c’è sempre qualcuno che dubita, che non crede o non crede
ancora abbastanza da saper gioire per la presenza del Signore e per l’amore
del Padre.
Ebbene, istintivamente mi sento attratto proprio da
queste persone e cerco che le parole che io dico durante l’Eucaristia - sia
quelle del Messale che quelle dell’omelia - siano parole dello Spirito di Dio
che tocchino il loro cuore. Per me talvolta questo è una sofferenza, perché
penso: «Ma ci sono qui tanti che credono; io devo parlare per loro, devo tener
conto della loro fede, aiutarli a crescere in essa e a godere della situazione
di credenti, a godere del Signore!».
Eppure la mia attenzione, senza che io lo voglia, è
attratta sempre da coloro che sono o si ritengono ai margini della fede. Questa
esperienza mi fa comprendere il modo di fare di Gesù; anzi, è proprio il modo
di fare di Gesù che prende anche il mio essere sacerdote mentre celebro
l’Eucaristia. Gesù si rivolge a Tommaso, perché vuole che anche questo
discepolo possa godere della riunione dell’ottavo giorno: se egli non crede
nella presenza del Signore, quell’assemblea per lui resterà un’assemblea di
condanna, invece che di vita e di salvezza.
Invochiamo lo Spirito Santo perché nelle nostre assemblee coloro che non
credono possano giungere alla fede; perché coloro che dubitano possano, dalla
parola del sacerdote, dal canto dei fedeli, dall’atteggiamento di quanti
pregano, essere aiutati ad aprire il cuore alla fede e all’amore del Signore
Gesù Risorto.
38.
«Poi disse a Tommaso: “Metti qua il
tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e
non essere più incredulo, ma credente!”».
Le parole di Gesù a Tommaso s’incontrano proprio col suo desiderio;
quel desiderio però era un desiderio d’orgoglio, un desiderio pretenzioso,
non umile, perciò le parole di Gesù ai suoi orecchi sono suonate certamente
come un rimprovero.
Tommaso non ha osato allungare la mano, non ha osato alzare le dita per
metterle nelle piaghe del Signore: gli è bastato vedere. Gesù ha voluto dare a
Tommaso proprio quello che egli riteneva necessario per poter credere: Gesù è
così misericordioso con questo discepolo come è misericordioso con molti di
noi, con tutti noi! Quante persone vogliono avere dei segni particolari per
poter credere, e il Signore li dona! Il Signore si piega alle nostre esigenze,
si piega persino davanti al nostro orgoglio: Egli è umile.
Ebbene, guardando quest’umiltà di Dio che certamente si è manifestata
più volte anche nella nostra vita, cercheremo di imparare e di accogliere dallo
Spirito Santo soprattutto lo spirito di umiltà.
Quando siamo umili il Signore ci può rivelare i suoi misteri, i misteri
più grandi e più profondi, quelli che penseremmo di non poter mai riuscire a né
comprendere né acredere. Ebbene, se noi diciamo: «Signore, io queste cose non
le capisco, però tu, quando vorrai, me le potrai far comprendere: se vorrai,
quando vorrai... Intanto io ti amo ugualmente, anche se non capisco; continuo
ugualmente a partecipare alla vita della tua Chiesa; continuo ugualmente a
essere presente là dove la tua Comunità si fa presente».
Se viviamo in questa umiltà, certamente il Signore aprirà il nostro
cuore. Tommaso, nonostante la sua incredulità, è andato all’incontro
dell’ottavo giorno dei suoi fratelli. È andato all’incontro nonostante la
sua incapacità a credere, nonostante le sue tentazioni di orgoglio: questa
umiltà ha fatto sì che il Signore aprisse il suo cuore e si manifestasse a
lui.
Vieni, Spirito Santo, rivestici dell’umiltà che attira la grazia
divina!
39.
«Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio
Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto: beati quelli
che pur non avendo visto crederanno”».
È molto bella la risposta che Tommaso ha dato a Gesù; vedendolo egli è
esploso in questa espressione di fede: «Mio Signore e mio Dio!». Queste parole
uscite dalle labbra di Tommaso ci lasciano stupiti; ci fanno capire che egli non
solo giunge a credere che Gesù è risorto, ma che in lui nasce una fede molto
più profonda: egli crede che Gesù è Dio, che Gesù è il Signore. Lo chiama
«mio Signore e mio Dio»: è una
professione di fede e, insieme, una professione di amore; fede e amore che
camminano insieme e che riempiono la vita!
«Mio
Signore e mio Dio!»: questa fede di Tommaso non è certamente frutto del
suo vedere, non è frutto dell’azione umana né del ragionamento di Tommaso,
ma è dono di Dio, perché soltanto il Padre può mettere nel cuore d’un uomo
una fede così pura e bella, una fede che porta il cuore a donarsi. Dicendo: «Mio
Signore», Tommaso mette in evidenza il fatto che ora egli vuole ubbidire a
Gesù, vuole offrirsi a lui, vuole sottomettersi alla sua volontà e alle sue
parole. È una fede grande e bella quella che scaturisce dal cuore di Tommaso;
è opera di Dio, non del ragionamento dell’uomo.
«Gesù
gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo
visto crederanno!»». Tommaso è giunto alla fede dopo aver avuto un segno,
ma l’Evangelista sa che molti arriveranno a credere in Gesù soltanto
basandosi sulla parola degli Apostoli. E così
è accaduto a noi: la nostra fede, la mia e la tua, non sono conseguenza del
nostro vedere; noi non abbiamo visto Gesù Risorto, noi abbiamo creduto alla
parola degli Apostoli e questa fede ha messo nei nostri cuori la beatitudine,
una gioia più grande ancora di quella di Tommaso. Infatti la gioia nel vedere
Gesù, che ha avuto Tommaso, era un pochino smorzata dallo scoprirsi così
orgoglioso, così superbo e pretenzioso nei riguardi del Signore. La nostra
fede, il nostro credere nel Signore risorto, l’affidarci a lui, il donargli la
vita, è una fede che ci dà una gioia più pura, più libera dal nostro io, più
libera dal nostro amor proprio. «Beati
quelli che pur non avendo visto crederanno»!
Ringraziamo il Signore che concede anche a noi di esprimere la fede nella
sua presenza e nella sua divinità. Lo ringraziamo perché la fede che c’è
nel nostro cuore non è una nostra conquista, non è qualcosa che noi ci siamo
guadagnati, non è opera nostra, né frutto della nostra bontà, ma è dono del
Padre. È il Padre che rivela il Figlio al cuore dell’uomo incapace d’amare,
incapace di vedere le cose grandi di Dio, i misteri della sua Vita!
Grazie, o Padre, che ci concedi di credere nel tuo Figlio Gesù; grazie
che doni anche a noi di offrire la nostra vita a lui e di metterci ai suoi piedi
per ubbidirgli.
40.
«Molti altri segni fece Gesù in
presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi
sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e
perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome».
Noi non sappiamo tutto quello che Gesù ha fatto, non abbiamo conoscenza
di tutti i segni e quindi nemmeno di tutta la realtà della vita di Gesù. Tra
questi «molti altri segni che Gesù fece»
e che non sono stati scritti, ci sono anche quelli che Gesù ha compiuto
nella nostra vita o in quella delle persone che ci vivono accanto; segni che noi
abbiamo visto, osservato attorno a noi e che servono soltanto per noi.
«Molti altri segni fece Gesù...
non sono stati scritti...». Chissà quanto amore Gesù ha effuso nel mondo, nella
nostra vita e attorno a noi, e noi, vedendolo e godendolo, siamo cresciuti nella
fede e nell’amore!
Per credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, non è necessario
però che noi vediamo grandi e nuovi segni: quelli che sono stati scritti sono
sufficienti, sono sufficienti da soli, a far sgorgare nel cuore di un uomo la
fede in Gesù: «Questi sono stati scritti
perché crediate»: quindi, questi segni, i segni che Gesù ha compiuto e
che sono raccontati nei vangeli, sono sufficienti per sostenere la nostra fede;
non occorre nulla di più, non occorre che andiamo in cerca di chissà che
cosa... Ci sono persone che vanno in cerca di parole dall’al di là o che si
buttano persino in braccio a maghi e negromanti e a gente che fa parlare i
demoni, pur di avere dei segni dall’al di là; no, noi non ne abbiamo bisogno!
«Questi sono stati scritti perché
voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio»:
fondiamo la nostra fede sulla testimonianza degli Apostoli che troviamo in
questo libro, nel vangelo: questa testimonianza è sufficiente per sostenere
tutta la fede della Chiesa. Gli altri segni possono essere un aiuto, ma non sono
necessari e non fondano la fede della Chiesa: la Chiesa è sostenuta da quanto
è scritto nei vangeli.
E quale funzione ha la fede nella nostra vita? «Perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome». La fede ci
comunica la vita: quando noi crediamo, quando cioè stiamo in rapporto di
fiducia, di amore, di abbandono e di confidenza a Gesù, e attraverso di lui al
Padre, nel nostro cuore c’è vita, e noi ce ne accorgiamo. È qualcosa che non
siamo capaci di dire agli altri; difficilmente possiamo trasmetterlo con le
parole: semplicemente viviamo questa vita d’amore e di fiducia e di abbandono
al Padre. Quando viviamo così, questa vita la trasmettiamo; se, invece, non
viviamo in questo modo, anche se parlassimo esponendo ragionamenti convincenti,
non saremmo capaci di trasmettere nulla: la vita di Dio è vita, e si comunica
con la vita, non con i discorsi, con le convinzioni, con le parole.
Questo è il nostro compito nel mondo: vivere la vita eterna, la vita di
Dio, vivere credendo, fidandoci di Gesù che il Padre ha mandato come suo
Figlio. Questo è il nostro compito, ed è questa l’opera dello Spirito Santo
nella nostra esistenza: lo Spirito Santo fa sì che in noi ci sia la vita di
Dio, e che noi, vivendo questa vita, vivendo in rapporto d’amore col Padre
attraverso Gesù, diffondiamo il suo stesso Spirito; partecipiamo anche noi,
quindi, all’effusione dello Spirito in quella continua Pentecoste a cui Dio
stesso si è impegnato quando ha promesso il suo Spirito a coloro che avrebbero
creduto in Gesù suo Figlio!
Vieni Spirito Santo!