PACE A VOI parte seconda
12.
«Giunse intanto anche Simon Pietro che
lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra e il sudario, che
gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo
a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al
sepolcro, e vide e credette».
I due discepoli, dopo la corsa affannosa verso il
sepolcro di Gesù, entrano, finalmente, e che cosa fanno? Semplicemente vedono.
Pietro vede, l’altro discepolo «vide».
Vedono le bende, vedono il sudario, il lenzuolo; osservano come sono disposti.
Ma questa osservazione fa sì che nel loro cuore cominci una nuova vita. «Credette«
dice l’Evangelista. Questa parola, dal testo greco, si potrebbe tradurre: «Cominciò a credere», cominciò cioé a fidarsi di Dio. Cominciò a
ritenere possibile e vera la parola pronunciata da Dio, la parola che Gesù
aveva detto loro, che dopo il terzo giorno sarebbe risorto. «Allora
vide e credette»: questa fede nasce dopo il vedere. Ma cos’è questo «vedere»?
Non hanno visto un miracolo, non hanno visto accadere qualcosa: hanno
semplicemente visto le bende; hanno visto, potremmo dire noi, niente di
particolare; ma questo vedere rivela che nel loro cuore e nella loro mente
c’era già una disponibilità ad osservare l’agire di Dio, a lasciare che
fosse Dio stesso il protagonista degli avvenimenti della loro vita.
Noi «vediamo« tante cose durante le nostre giornate.
Vediamo come vanno le situazioni, vediamo segni piccoli, umili, semplicissimi,
ma chiari, della presenza di Dio. Ma li «vediamo« quando il nostro cuore è
disposto a vederli, quando accettiamo che Dio intervenga nella storia; quando
accettiamo che Dio non sia il Dio lontano, ma il Dio «amico« dell’uomo, Dio
papà: allora riusciamo a ’vedere’. È una grande grazia poter vedere, perché
dal nostro vedere cresce la fede, cresce il credere. Questi discepoli videro e
cominciarono a credere.
Noi oggi vedremo tante cose, vedremo tanti fatti. Il nostro esercizio sarà
guardare al di là di quel che si vede per cogliere la mano di Dio dentro e
dietro i fatti che incontreremo. E allora ci accorgeremo che la nostra fede
aumenterà; diventerà più forte, più stabile.
«Signore Gesù, rendi puro il nostro sguardo, perché
non ci fermiamo alle cose che vediamo, ma attraverso di esse giungiamo a vedere
la tua opera, a vedere te. Ti ringraziamo perché in tanti modi semplici e
poveri, tu fai crescere la nostra fede, la fai diventare forte affinché essa
possa sostenere anche quella dei nostri fratelli.
Grazie, Signore Gesù, grazie che sei risorto per noi!».
13.
«Allora entrò anche l’altro
discepolo che era giunto per primo al sepolcro e vide e credette. Non avevano
infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai
morti. I discepoli, intanto, se ne tornarono di nuovo a casa».
Questi due discepoli, Pietro e quello che Gesù amava, dopo aver
cominciato a credere, cioè a fidarsi di Dio, se ne tornano a casa. E io
immagino che questo loro tornare a casa sia avvenuto in un profondo silenzio, un
silenzio interiore ed esteriore. M’immagino così che essi non abbiano nessuna
voglia e nessun pensiero di andare a denunciare l’accaduto, perché si rendono
conto, o hanno cominciato a rendersi conto, che è avvenuto qualcosa di grande,
dove Dio è all’opera; e cominciano a meditare.
Meditano i fatti che hanno visto alla luce delle Scritture.
L’evangelista annota esplicitamente: «Non
avevano ancora compreso la Scrittura». C’era ancora una incapacità nel
loro cuore e nella loro mente a leggere le Scritture. Forse le leggevano come
qualcosa che doveva avvenire in un tempo lontano o in luoghi distanti da loro o
in modo da non coinvolgere la loro vita. Adesso invece cominciano ad accorgersi
che la Scrittura, quanto è detto e scritto in essa, appartiene alla loro
esistenza, tocca proprio la loro vita, tocca i loro giorni, e proprio questi
giorni. Ed allora nasce un silenzio che prepara la comprensione, il vero ascolto
della Scrittura.
Noi conosciamo le Scritture, o almeno crediamo di
conoscerle, perché ne abbiamo ascoltato e
ne ascoltiamo ogni domenica qualche brano, anzi tu probabilmente tutti i giorni
ti fermi a leggerne una pagina.
Ma ci sono modi diversi di leggere la Scrittura; ci
sono modi che fanno crescere la nostra fede e il nostro amore, e ci sono modi
che fanno crescere soltanto la
nostra vanagloria, o l’orgoglio di sapere, o addirittura di poter dire: «Io sì
che leggo la Scrittura!».
Come va letta la Scrittura? Va letta rapportandola ai
fatti che ci capitano in quel giorno, che sono successi nella nostra vita, perché
possa dare luce. E che luce dà la Scrittura sui fatti della nostra vita? Dà
semplicemente questa luce: nei fatti della nostra vita Dio stesso è
all’opera. Il Padre ha in mano la nostra esistenza, e nei fatti della nostra
vita noi cominciamo a leggere perciò l’amore di quel Dio che ha risuscitato
Gesù dai morti. Allora anche i fatti più difficili, che ci hanno fatto
maggiormente soffrire, diventano luminosi; anche in essi, alla luce della
Scrittura, riusciremo a leggere quell’amore di Dio che altrimenti rimarrebbe
nascosto fino alla fine.
Prendi pure in mano la Scrittura, continua a leggere,
ma non preoccuparti di sapere, non preoccuparti di istruirti con le Parole di
Dio; preoccupati che quella Parola diventi la luce per quel giorno che stai
vivendo; preoccupati che quella Parola di Dio diventi un sostegno del tuo amore
per lui e della conoscenza del suo amore.
Ed allora cosa succederà? Che ti troverai nel cuore una grande forza di amare, così come Dio stesso la possiede.
14.
«Maria, invece, stava all’esterno,
vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva si chinò verso il sepolcro e
vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e
l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù».
Torniamo ad osservare Maria che se ne sta vicino al
sepolcro, all’esterno, in lacrime. Maria continua il suo pianto; è
sofferente; il corpo di Gesù, che lei cercava e che voleva profumare, non è più
là, ella non può più fare quello che desiderava per il suo Signore. Amava
ardentemente curare il suo cadavere e non può farlo. Chissà dov’è ora quel
corpo!
Maria piange. Questo suo pianto noi lo interpretiamo
come un pianto di amore, segno dell’affetto che lei portava a Gesù. Però, se
lo osserviamo meglio, questo pianto appare un segno della sua incredulità.Ella
non ha capito le Scritture, né ha fatto attenzione alle parole di Gesù. Egli
aveva detto: «Se mi amaste, vi
rallegrereste che io vado al Padre».
Così aveva detto Gesù, invece Maria piange. Non si
rallegra del fatto che Gesù è andato al Padre: ciò significa che non lo ama;
non è pronta ancora a donargli la propria vita, non è pronta a fare quello che
egli ha fatto, perché non lo ama. Il suo pianto è, in fondo in fondo, un segno
- possiamo dire così - di egocentrismo, per cui ella si ritiene al centro di
ogni attenzione. Gesù dovrebbe esser lì per lei, cioè basterebbe che il corpo
di Gesù fosse lì per lei, per poter fare ciò che ella ha pensato e ciò che
ella ha deciso. Il pianto di Maria è un pianto significativo per noi; ed è una
grazia che l’evangelista ce lo racconti, proprio perché alla luce di questo
pianto inutile, possiamo leggere, anche i nostri pianti.
Anche se viviamo nella gioia del Signore risorto,
quanti pianti continuano a sussistere nel cuore di molti cristiani. Un pianto,
il nostro, che dice: «Non credo che Gesù è risorto. Non credo che Dio può
essere Papà per me. Non credo...». Un pianto che indica non fede, un pianto
che indica spesso che non siamo capaci di leggere la Scrittura, di credere alla
Parola di Gesù, di essere attenti all’azione di Dio. I nostri pianti spesso
sono segno di amor proprio, di un egoismo che regna in noi senza che noi ce ne
accorgiamo .
Oh, certo, non è proibito piangere, anzi, può essere
un dono; però sempre, quando ci sono le lacrime sui nostri occhi, dovremmo
diventare capaci di guardare e di ricordare le parole che il Signore ha detto,
di ricordare quello che lui ha promesso, di ricordare che è lui, e lui
soltanto, la gioia del mondo intero. Se guardiamo a lui con questa certezza, le
nostre lacrime cominceranno ad asciugarsi e diventeremo capaci di asciugare
anche quelle dei nostri fratelli, con la parola della fede, con la parola
dell’amore del Signore.
Ti chiedo oggi di guardare un po’ i tuoi motivi di
pianto e di metterli nelle mani di Dio, tutti. Certamente hai motivi per
piangere, però oggi guarda al motivo della gioia: Gesù è risorto e con la sua
risurrezione fa sì che tutta la nostra vita assuma una nuova dimensione, quella
dell’amore. Anche le cose che ci fanno soffrire le possiamo presentare al
Padre, con umiltà, e offrirle a lui, come un gesto di amore perfetto. Ed
allora, invece di piangere, cominceremo a rasserenarci e a rallegrarci perché
Gesù è andato al Padre.
Ringraziamo il Signore Gesù, perché con la sua morte e la sua risurrezione ha dato alla nostra vita un significato nuovo, ha dato alle nostre sofferenze una nuova dimensione. Le nostre sofferenze non sono più segno di morte, ma sono inizio e garanzia di una vita nuova, da risorti.
15.
«Maria stava all’esterno, vicino al
sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva si chinò verso il sepolcro e vide due
angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei
piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna,
perché piangi?”».
Maria si volta verso il sepolcro con le lacrime agli
occhi, e ha una visione; ella però nemmeno s’accorge che questa è una
visione. Che cosa vede? Due angeli in bianche vesti, seduti l’uno di qua,
l’altro di là dove era stato posto il corpo di Gesù.
Questa visione contiene molti segni.
Anzitutto le vesti bianche. Sono un simbolo chiaro per
la cultura ebraica, quindi anche per Maria: la veste bianca è segno di
vittoria. Questi angeli vestiti di bianco sono dunque un annuncio, messaggio di
una vittoria completa e chiara.
Poi, essi sono seduti. Non stanno in piedi come lei,
non sono in ginocchio, non sono prostrati; sono seduti. Anche questa posizione
ha un significato. L’essere seduto indica il riposo, indica che un’opera è
stata portata a compimento. Gli angeli seduti danno questo messaggio a Maria:
l’opera della vittoria è completa, è terminata; ora c’è il riposo.
E poi dove sono seduti questi angeli? Sono seduti
proprio nel luogo che Maria sta osservando: il luogo dove era stato posto il
corpo di Gesù; Maria lo sta osservando piangendo perché il corpo non c’è più.
E questi angeli sono proprio lì. Il messaggio della vittoria e del riposo viene
proprio da quel luogo. È un messaggio pieno di gioia e di perfezione.
Maria riceve questo messaggio, vede questi angeli,
vede il bianco dei loro vestiti, vede il posto dove essi sono, vede che essi
stanno a sedere. Maria vede, ma ancora non comprende.
I messaggi di Dio, che arrivano a noi, possono essere
molto chiari, molto limpidi, molto completi, e noi possiamo ancora non vedere,
non capire, non ricevere, non entrare in comunione con Colui che ci dà il
messaggio, con Colui che ci vuol parlare.
Che cosa impedisce a Maria di accogliere questo
messaggio? Da quanto racconta il vangelo, credo che l’impedimento siano le sue
lacrime, l’esser ripiegata su di sé, l’aver fisse alcune idee, quello che
ella aveva deciso ma non può più fare. Tutto ciò non le permette di
accogliere un messaggio nuovo.Ciò non capita solo a Maria; capita anche a noi,
spesso, perché quando siamo ripiegati su noi stessi, quando vogliamo a tutti i
costi quello che vogliamo, quando non siamo pronti al cambiamento, neppure noi
riusciamo a comprendere nemmeno le cose più belle che Dio vorrebbe dirci, farci
comprendere, donarci. Il nostro ripiegamento su noi stessi blocca realmente la
Parola di Dio, fa sì che essa resti inascoltata, inattesa, incompresa.
In questo giorno vogliamo cercare di mettere da parte
i nostri programmi, le nostre idee, quello che abbiamo deciso, per dire: «Signore,
Padre della mia vita, se tu vuoi far qualcosa di diverso con me, ecco, fallo
pure. Padre, se tu vuoi che io faccia qualcosa che non ho previsto, eccomi,
dammi i tuoi segni!».
Se ci terremo in questo atteggiamento, riusciremo
certamente a cogliere quei segni di Dio che Egli ci presenta in tanti modi e che
per lo più rimangono senza risposta perché il nostro cuore non è puro, non è
libero; i nostri programmi, l’amor proprio che teniamo stretto in noi
c’impediscono, infatti, di scorgere i segni di Dio e di persino vedere il suo
volto.
Gesù aveva detto: «Beati
i puri di cuore perché vedranno Dio». Che significa «i puri di cuore»?
Quelli che nel loro cuore non hanno propri programmi, propri giudizi, proprie
decisioni già belle fatte. Dobbiamo, come diceva S. Giacomo, tenerci disposti a
dire: «Se il Signore vorrà, faremo
questo»; «Se il Signore vorrà,
faremo quello». Faremo quello che il Signore ci mostrerà; siamo attenti,
distaccati da qualunque volontà nostra. Allora certamente potremo «vedere Dio».
Grazie, Signore Gesù, che ci mandi i tuoi angeli, che ci doni i tuoi
segni: segni di gioia, di luce, segni della volontà del Padre per la nostra
vita.
Chiediamo a te la capacità di rimanere liberi da noi stessi per poterli cogliere.
16.
«Maria piangeva; si chinò verso il
sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, l’uno dalla parte del capo e
l’altro dei piedi dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero:
“Donna, perché piangi?”».
Ci fermiamo a considerare queste ultime parole degli
angeli rivolte a Maria di Magdala. Essi non la chiamano per nome, la chiamano «donna».
Abbiamo già osservato che, quando l’evangelista non chiama per nome una
persona , intende rivolgere la sua parola a una cerchia più ampia.
Probabilmente egli aveva davanti a sé, in quel momento, tutta la Chiesa: la
Chiesa del suo tempo, la Chiesa perseguitata,sofferente. Le comunità cristiane
sparse sia nel mondo ebraico che in quello pagano non solo subivano
persecuzioni, ma soffrivano anche per varie divisioni al loro interno stesso
della comunità, o per delle risuonanti come tentazione agli orecchi dei
credenti. Giovanni quindi, intende questa domanda dell’angelo come rivolta a
tutta la Chiesa: «Chiesa, perché piangi? Che motivi hai per esser triste?».
Qui la donna, Maria di Magdala, credeva d’avere un
motivo per essere triste, ma quel motivo non esisteva: Maria di Magdala pensava
di non trovare più il suo Gesù, di non trovarlo più cadavere, morto; ed era
vero: non avrebbe più trovato il cadavere di Gesù perché Egli era vivo. Il
motivo del pianto non aveva consistenza.
Così è per la Chiesa: essa non ha motivo per
piangere perché, ogni volta che soffre persecuzione, nascono nuovi cristiani;
ogni volta che la Chiesa soffre può offrire a Dio il sacrificio puro del Corpo
di Cristo. Essa, Chiesa, è il Corpo di Cristo, e quindi, con le sue sofferenze,
può offrire al Padre veramente qualcosa di molto prezioso per la salvezza di
tutto il mondo. Quando la Chiesa soffre, quand’è perseguitata, non deve
dunque piangere, non deve temere: può già pensare alla vittoria grande e
gloriosa che sta raggiungendo. Gesù, quando è morto, aveva la certezza della
sua Risurrezione e della gloria immensa ed eterna gliene sarebbe derivata.
Vogliamo in questo giorno rivedere i motivi del nostro
pianto e rileggerli alla luce della Risurrezione di Gesù.
Certamente hai qualche situazione difficile da vivere
o qualche croce da portare. Ebbene, pensa: Gesù ha risolto la difficoltà della
morte, non risolverà anche le mie difficoltà?
Gesù non saprà usare anche la mia sofferenza per la salvezza di
qualcuno o di molti?
Ti ringraziamo, Signore, per la tua santità e la tua bontà. Ti
ringraziamo perché Tu sei sempre per noi, motivo di gioia di salvezza e di
serenità.
17.
«Ed essi le dissero: “Donna, perché
piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo
hanno posto”».
È la seconda volta che Maria usa quest’espressione:
«Hanno portato via».
Maria sta diventando sempre più sicura in questa sua
convinzione: qualcuno s’è fatto strumento del maligno per un’azione
sacrilega, per portare via il cadavere di Gesù dal sepolcro e nasconderlo. Ella
continua nel suo atteggiamento di accusa verso qualcuno che neppure conosce.
Questo atteggiamento interiore le impedisce di essere
attenta alla domanda degli angeli e di rispondervi. Essi le hanno chiesto:
«Perché piangi?».
Maria non è attenta a questo interrogativo, non
risponde, accusa invece delle persone ignote d’aver portato via il Signore dal
sepolcro. Quest’atteggiamento di accusa impedisce la riflessione, impedisce
l’ascolto; non permette un discernimento sereno.
Lo sperimentiamo anche noi: quando abbiamo qualche
risentimento, qualche accusa o condanna verso qualcuno, non siamo più capaci di
ascoltare le cose di Dio: Dio in quei momenti non ci dice più niente . Troviamo
vuota la nostra vita e ancor più la nostra fede. Gesù aveva detto infatti: «Beati
i puri di cuore perché vedranno Dio». Vedere Dio, intuire cioè le sue
proposte, le sue risposte, accorgerci dei suoi suggerimenti, è possibile
soltanto a un cuore puro, libero da ogni malizia e da ogni spirito di condanna e
accusa dei fratelli.
Maria di Magdala non ha questa purezza. Molte volte
neppure noi l’abbiamo: dobbiamo lasciar perdere le nostre accuse, le nostre
critiche, se vogliamo che il Signore possa mettere dentro di noi la luce del suo
Spirito, se vogliamo accogliere discernimento divino nelle scelte che dobbiamo
operare ogni giorno.
Oggi in particolare vogliamo fare questo esercizio:
non giudicare, non criticare, non accusare nessuno, non pensare male di nessuno.
In ogni situazione, anche in quella che mi fa soffrire, posso vedere la mano di
Dio, il suo aiuto, la sua grazia per me, per noi.
«Hanno portato via il mio Signore
dal sepolcro e non so dove lo hanno posto». Maria avrebbe potuto dire:
«Non so dov’è il mio Signore, non so cos’è successo», allora sarebbe
stata anche disponibile ad accogliere l’annuncio della Risurrezione.
Prima di accusare qualcuno o di pensare male di qualsiasi persona ci
metteremo davanti al Signore con grande umiltà; lo interrogheremo: «Forse sei
tu all’opera, Signore, in questa situazione?».
Grazie, Signore Gesù, perché tu ci concedi di vivere con cuore puro e semplice! Grazie che tu sei all’opera nella nostra vita! Quando noi cerchiamo te, tu ci concedi di vedere anche nelle nostre sofferenze le grandi opere dell’amore del Padre!
18.
«Detto questo si voltò indietro e vide
Gesù che stava lì in piedi, ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù:
“Donna, perché piangi? Chi cerchi?”».
È ancora Maria di Magdala, si trova nel giardino dove c’è il
sepolcro. Ella si volta indietro e vede Gesù; ecco, la novità: Gesù si trova
là dove noi non pensiamo. Gesù non era nel sepolcro come s’attendeva Maria
di Magdala; si trova proprio dall’altra parte («si
voltò indietro»): Gesù è fuori, in un posto impensato, dove ella nemmeno
sospettava. Maria lo vede, ma «non sapeva
che era Gesù». Anche questo è interessante: gli occhi di Maria, come i
nostri, non bastano per riconoscere Gesù. Molti di noi dicono talora, o se lo
sentono dire ogni tanto: «Se vedessi Dio, allora crederei, ma non lo vedo mai!».
Maria di Magdala, proprio mentre vede Gesù, è sicura di non vederlo!
Così chissà quante volte noi «vediamo il Signore», ma non sappiamo che è
Lui! Siamo sicuri di non vederlo. I nostri occhi hanno davvero bisogno di una
luce nuova!
In questo giorno cercheremo di essere umili sapendo che il Signore vuole
incontrarci con noi, e s’incontra con noi molte volte... e noi non lo
sappiamo.
Ci terremo pronti, attenti a riconoscerlo; ci terremo pronti ad amarlo,
anzi, incominciamo subito ad amarlo: ancora prima di vederlo incominciamo a
offrire a lui le varie attività di questa giornata, i vari momenti, gli
incontri con le persone. Se staremo in questo atteggiamento di amore per Gesù,
di attenzione a lui, di offerta, potremo veramente amarlo anche senza
accorgercene.
Gesù stesso ha detto a quelli che stavano alla sua destra:
«Venite, benedetti dal Padre mio, perché avevo fame e m’avete dato da
mangiare« ed essi non sapevano di averlo fatto...
Gesù non lo riconosciamo tanto facilmente: egli desidera trovare nel
nostro cuore un amore gratuito e pieno verso di lui, anche quando non lo
vediamo; attraverso quest’amore puro, anche i nostri occhi si apriranno...
Spirito Santo, donaci luce e umiltà per essere disponibili e pronti a
offrirci continuamente al Padre e poter così accogliere la luce che tu ci vuoi
donare per vedere il Signore, dove egli è presente.
19.
«Donna, perché piangi? Chi cerchi?».
Già gli angeli avevano rivolto a Maria questa domanda: «Donna,
perché piangi?». Gesù aggiunge: «Chi
cerchi?». Proviamo a ritradurre questa parola in una maniera un po’ più
ampia: «Donna, perché piangi? Che motivo hai d’essere triste? Se io, tuo
Signore, ho offerto la vita al Padre e l’ho offerta fino alla fine, tu
dovresti rallegrartene! Se io, persino nella morte, nei tormenti più crudeli,
non ho ceduto neppure un istante a sentimenti di odio, di vendetta, di violenza,
di critica, di lamentela, come dovresti essere contenta! E tu, invece, piangi?
Io sono tornato al Padre e ora godo la sua gloria: se tu mi amassi, ti
rallegreresti della mia gioia. Perché piangi? Chi cerchi?
Tu stai cercando un cadavere, ma io sono vivo! Chi cerchi? Non ti accorgi
di voler qualche cosa per te? Tu non vuoi donare la tua vita; non vuoi farne un
atto d’amore continuo come ho fatto io!
Se lo volessi, non ti sarebbe necessario trovare quello che stai
cercando... se tu volessi veramente essere un dono d’amore di Dio per gli
uomini, potresti esserlo: potresti esserlo anche in questo momento!
Quante persone devono ancora conoscere l’amore di Dio! E tu potresti
donarlo loro!
«Chi cerchi?». La domanda che Gesù rivolge a Maria vale anche per noi,
oggi. I motivi di pianto non possono dominare la nostra vita, non possono
impedirci di diventare amore.
Quando cerchiamo qualche cosa per noi, siamo egoisti; è in questi
momenti che piangiamo. Cerchiamo, invece, di essere amore: le situazioni ce le
dona Dio stesso, giorno per giorno, ora per ora.
Le diverse situazioni, gli stessi contrattempi che incontreremo durante
le nostre giornate sono occasioni nelle quali possiamo vivere, possiamo «tradurre«
l’amore di Dio: forse in modo diverso da come avremmo pensato noi, ma, proprio
per questo, con maggiore pienezza e verità.
Signore Gesù, concedici di non desiderare per noi stessi la tua
presenza; donaci invece di desiderare d’esser tuo strumento d’amore per i
fratelli.
20.
«Essa -
Maria di Magdala - pensando che fosse il
custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi
dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”».
Maria di Magdala non ha risposto alla domanda che Gesù
stesso le aveva rivolto: «Perché piangi?
Chi cerchi?». Ella non risponde, è tutta presa dalla propria sofferenza e
dalle proprie considerazioni. Ne è presa così fortemente
che per la terza volta esprime il suo giudizio e la sua accusa; questa
volta - strano, stranissimo - l’accusa la rivolge personalmente nientemeno che
a Gesù. Ella non sa che la persona che ha davanti è Gesù, non lo sa... È per
questo che proprio a lui rivolge l’accusa: «Se
l’hai portato via tu, dimmi...».
Questo fatto ci fa veramente pensare e tremare: Maria,
continuando a rimuginare la sua condanna verso persone ignote, finisce per
accusare nientemeno che Gesù.
Ed è proprio così: quando noi accusiamo e
condanniamo qualcuno, stiamo offendendo il Signore; lo stiamo offendendo in una
maniera palese, grave. Ogni volta che noi accusiamo un fratello o teniamo nel
cuore sentimenti di condanna verso qualche persona, anche sconosciuta, stiamo
rovinando il Regno di Dio, stiamo distruggendo la sua opera che è opera di
comunione, di fraternità; stiamo offendendo il Signore in persona. Lo
offendiamo in noi stessi, perché, mentre teniamo questi atteggiamenti
d’accusa, di condanna e di lamentela escludiamo dal nostro cuore lo Spirito
Santo, lo rattristiamo, lo allontaniamo. Davanti a noi, poi, può esserci
qualche persona che è proprio mossa dal Signore cosicché la nostra accusa
ricade su di lui: rifiutiamo il Signore stesso!
La Risurrezione di Gesù ci aiuti a operare un vero
cambiamento nella nostra vita, un cambiamento interiore per il quale eviteremo
di condannare, di accusare, di pensare male di chiunque. Non per nulla
l’Apostolo ci dice: «Non pensare male di nessuno»! È vero: se penso male di
qualcuno, offendo il mio Signore, lo escludo dalla mia vita; perciò non vedrò
più gli altri con la luce di Dio, e i miei pensieri saranno errati. Succede
proprio quello che diceva Gesù: guardando la pagliuzza nell’ occhio del
fratello, non vediamo l atrave che sta nel nostro occhio... Siamo noi
nell’errore, sempre, quando accusiamo e giudichiamo.
Oggi pregherò il Signore perché non ti succeda di pensare male, di
giudicare qualcuno, e tu prega per me, perché questa disgrazia non capiti
neppure a me. Grazie!
Signore Gesù, rendici attenti e disponibili a vedere il tuo volto sul
volto di ogni persona che oggi incontreremo. Rendici pronti ad amare te ogni
volta che ci farai incontrare qualcuno.
21.
«Gesù le disse: “Maria!”. Essa
allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: “Rabbunì!” che
significa: Maestro».
Leggiamo con commozione queste parole: Gesù, che si
sente giudicato, certamente involontariamente, da Maria, la chiama per nome:
Maria! Ed è solo in questo momento che ella s’accorge che la persona che le
sta davanti è Gesù.
Non se n’era accorta nel vederlo, non se n’era
accorta nel sentirlo parlare; se ne accorge solo ora, quando si sente
riconosciuta da lui, quando egli pronuncia il suo nome, quando ella s’accorge
che colui che le sta davanti vuol parlare proprio a lei, in prima persona, e la
conosce: Maria! È in questo momento che ella s’accorge che quell’uomo è
Gesù: proprio il suo Signore, che ella pensava morto; egli è invece là, vivo,
che le rivolge la parola e la ama...
Questo succede spesso anche nella mia, nella tua vita.
Noi viviamo in maniera superficiale; i nostri incontri spesso sono freddi e
senza luce, senza la luce di Dio.
Quando ci accorgiamo che Gesù stesso è presente, che
si accorge di noi e ascolta la nostra parola, anche se imperfetta, anche se
impropria, allora è come ci svegliassimo da un sonno o da un sogno. Quando ci
sentiamo conosciuti e amati, allora ci accorgiamo di Gesù e incominciamo a
vivere con lui. Che questo possa succederti oggi!
Se io ti conoscessi, ti chiamerei per nome in questo
momento; la mia voce che ti chiama per nome potrebbe sembrarti la voce di Gesù
e tu potresti rispondere con un’espressione d’amore come Maria: Rabbunì!
che significa: Maestro! Cioè: «Voglio imparare; sono grande ignorante nel
lavoro del vivere; voglio imparare da te a vivere, voglio imparare da te a
morire, voglio imparare da te ad essere presente al Padre in ogni momento della
giornata»!
Viviamo così, oggi, desiderando d’essere presenti
al Padre: egli ha una parola di amore chiaro e profondo per ciascuno di noi.
Egli ci chiama per nome: è lui che ti chiama per nome; quando siamo chiamati
per nome ci sentiamo vivere, ci sentiamo di metterci a disposizione con coraggio
e decisione sempre rinnovati.
Ti ringrazio, Padre, perché mi conosci per nome; grazie, Signore Gesù,
perché pronunci anche il mio nome con chiarezza, perché anche a me vuoi
affidare una missione.
Grazie; eccomi: sono a tua disposizione per tutto questo giorno!
Alleluia!
22.
«Gesù le disse: “Non mi trattenere,
perché non sono ancora salito al Padre, ma va’ dai miei fratelli e di’
loro: io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
Maria di Magdala ha cercato di bloccare Gesù. Un
altro evangelista dice che «gli ha abbracciato i piedi».
Ella è così contenta di riconoscere il suo Signore e
di ritrovarlo vivo, che ne vuol godere la presenza in maniera sensibile e
continua. Gesù però glielo
impedisce: «Non mi trattenere». È
come se Egli dicesse: «Non sono qui per te, non sono qui per darti
soddisfazioni sensibili, perché tu goda di me».
«Non mi trattenere perché non sono ancora salito al Padre»: la mia
presenza, finché è fisicamente riscontrabile, non è ancora piena. Finché tu
mi vedi al di fuori di te, è segno che non sono dentro di te. Finché tu mi
vedi all’esterno, è segno che non sono ancora nel tuo cuore: questa mia
presenza, perciò, non è ancora la più piena e vera.
«Non sono ancora salito al Padre»: la mia presenza in te non è ancora
spirituale. Tu godi la mia presenza fisica, e questo è troppo poco... Non mi
trattenere, non voler godere di me, in maniera sensibile, ma va’ dai miei
fratelli, ubbidiscimi. Se mi ubbidisci è segno che mi ami».
«Chi
mi ama osserva la mia parola« aveva detto Gesù. L’amore per lui non lo si misura
con i sentimenti che si provano. Quando vogliamo sentire, provare, godere,
sentire devozione, sentir fervore, sentire qualcosa dentro di noi, non stiamo
amando Gesù; quello è amor proprio, amore di noi stessi. Vogliamo sentire noi
soddisfazione. Questo è un ‘amore’ che ci ferma, ci fa pensare a noi
stessi, non ci rende disponibili ai fratelli...
L’amore vero per Gesù è quell’amore che
ubbidisce: «Chi mi ama, osserva la mia
parola». «Chi osserva i miei comandamenti, questi mi ama»; questo aveva
detto Gesù; ed ora egli dice a Maria: «Va’
dai miei fratelli e di’ loro...». Le affida una missione, un compito per
gli altri. La manda nella comunità dei suoi fratelli.
Ecco come Maria deve amare Gesù: deve smettere di
godere la sua presenza sensibile, deve lasciarlo e andar via, andare ad
annunciare la sua parola, il suo messaggio, agli altri discepoli. Ecco il modo
concreto di amare Gesù, un modo che non ci permette né di illuderci né di...
rimanere ripiegati su noi stessi; è un modo che non lascia posto a
scoraggiamenti se non sentiamo nulla e se non proviamo sensazioni nel nostro
cuore. Amare Gesù, infatti, non vuol dire questo; amare Gesù è ubbidirgli,
fare quanto egli chiede anche se non si prova niente, anche se non si sentono
devozioni particolari. L’amore per Gesù è l’obbedienza alla sua parola
concreta, parola che troviamo tutti
i giorni nella Chiesa santa di Dio.
23.
«Maria di Magdala andò subito ad
annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e anche ciò che le aveva
detto».
Ecco, finalmente vediamo che Maria di Magdala ama Gesù; finora, mentre
piangeva, mentre tratteneva Gesù davanti al sepolcro, non mostrava amore per
lui, ma soltanto per se stessa: desiderava Gesù per poter godere, per poter
essere nella gioia.
Ora, dalla sua ubbidienza pronta, vediamo che, invece, lo ama davvero e
lo ama nella maniera giusta. «Maria di
Magdala andò subito». Ella ubbidisce a Gesù che la manda dai suoi
fratelli.
«Andò subito ad annunziare ai
discepoli: “Ho visto il Signore!”».
Prima di tutto, Maria si fa testimone, annuncia quanto ha visto, e poi
annuncia pure le parole che Gesù le ha ordinato di dire. Prima comunica la
propria esperienza, ed è questo che la rende credibile.
La comunicazione della propria esperienza, può anche farla soffrire;
difatti sappiamo da altri evangelisti che a questo annuncio Maria è stata
ritenuta pazza, una che vaneggia... e lei si è lasciata trattare così per
amore di Gesù. Ha obbedito a lui.
Chi ama Gesù, non ha paura di compromettersi con lui e per lui. Egli
stesso ha detto: «Chi si vergognerà di
me e delle mie parole, anch’io mi vergognerò di lui, ma chi non si vergognerà
di me e delle mie parole...».
Ecco, Maria di Magdala non si vergogna né di Gesù né delle sue parole,
ma annuncia con chiarezza decisione e gioia la propria esperienza e le parole
che il Signore le ha affidato. Ella annuncia quella parola senza cambiarla.
«Io salgo al Padre mio e Padre
vostro, Dio mio e Dio vostro». La Parola di Gesù è una parola
di gioia e di comunione; di comunione col Padre, ma anche con i discepoli. Egli
guarda allo stesso Padre e allo stesso Dio che hanno i discepoli.
D’ora in avanti, se i discepoli vorranno pensare a Gesù, dovranno
pensarlo insieme al Padre e, se vorranno pensare al Padre, dovranno pensarlo
attraverso Gesù, attraverso l’esperienza che essi hanno avuto con lui.
«Nessuno conosce il Padre se non
il Figlio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre», «Io e il Padre siamo
uno« aveva detto Gesù. E ancora: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Gesù è e
dev’esser conosciuto così dai discepoli, come l’unica via che conduce al
Padre; tutti coloro che vogliono conoscere Dio lo conosceranno soltanto
guardando a Gesù, attraverso di lui.
L’annuncio di Maria di Magdala è un annuncio veramente missionario,
grande. Vogliamo accoglierlo anche noi: guardare al Padre attraverso Gesù e
cercare Gesù solamente e sempre accanto al Padre.
Potremo anche noi oggi, annunciare a qualcuno, che Gesù è vivo, e che
la sua presenza è fonte di speranza e di gioia!
Signore Gesù, tu che hai mandato Maria, ora mandi la tua Chiesa a dire a
tutti che sei accanto a noi, che vai dal Padre per intercedere a nostra
salvezza: accogli il nostro grazie e la nostra lode! E rivestici del tuo spirito
di coraggio e di amore perché anche noi possiamo dare a tutti coloro che
incontreremo un messaggio divino! Alleluia!
24.
«La sera di quello stesso giorno, il
primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i
discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù».
Lo stesso giorno della Risurrezione, dopo essere apparso alle donne, Gesù
appare anche ai suoi discepoli. Prima però si fa annunciare loro dalle donne;
prima desidera che essi facciano un atto di umiltà e di fede.
Gesù chiede ai suoi discepoli di credere all’annuncio delle donne:
essi stessi devono fare l’esperienza che sarà poi di tutti i cristiani, i
quali crederanno dopo aver sentito l’annuncio dai discepoli. I discepoli
stessi, prima di correre ad annunciare, devono far l’esperienza
dell’incredulità e della fede. Essi non credono a quanto dicono le donne: lo
vediamo dal fatto che tengono le porte chiuse per timore dei Giudei. I discepoli
non hanno dato importanza alle parole di Maria di Magdala e delle altre donne
che avevano visto Gesù. I discepoli non credono; e conseguenza del non credere
è la paura, il timore degli uomini, dei Giudei. È la paura di essere scoperti
come discepoli del Crocifisso, di Colui che è stato rifiutato, hanno paura di
essere rifiutati, di essere perseguitati, accusati… hanno paura. Perché? Da
dove viene la loro paura? Viene dal fatto che essi tengono alla propria vita su
questa terra molto di più che all’opera di Dio; credono di più alle proprie
forze che non agli interventi di Dio. Si chiudono dentro; non hanno fiducia nel
Padre, si fidano solo dei propri accorgimenti.
Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, chiuse per
timore dei Giudei. I discepoli vivono nella paura degli altri, perché gli altri
possono dir male, accusare, perseguitare, uccidere. L’uomo che ama se stesso
teme gli altri uomini. I discepoli fanno l’esperienza dell’incredulità e
della paura, ma è bello vedere che Gesù non si lascia vincere da queste
debolezze dei suoi e appare loro nonostante tutto. Gesù si fa presente là dove
essi sono radunati, mentre essi hanno ancora paura, mentre ancora non credono né
sono capaci di offrirsi. Notiamo da ciò la gratuità della presenza di Gesù.
Nessuno può «meritare« di vederlo, nessuno può meritare la sua presenza:
questa è soltanto dono. Ringraziamo anche noi in questo giorno il Signore Gesù
perché si fa presente a noi e c’incontra nonostante le nostre paure,
nonostante che amiamo noi stessi più di lui, e che non siamo ancora capaci di
offrire la vita, di lasciarci deridere, perseguitare, accusare per amor suo.
La nostra vita è ancora debole, la nostra fede è ancora incerta; eppure
egli si fa presente a noi ugualmente. Questo è fonte di grande gioia, una gioia
che che può occupare il nostro cuore e aprirci a una fede e a un amore più
forte.
Signore Gesù, che non ti sei lasciato fermare dall’incredulità e
dalla paura dei tuoi discepoli né dal loro amor proprio, vieni anche nella
nostra vita. La tua presenza, i tuoi gesti di amore gratuito possano cambiare il
nostro cuore, possano aprirlo perché impariamo ad offrirci e a non vergognarci
di te.
25.
«La sera di quello stesso giorno, il
primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i
discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse:
“Pace a voi!”».
«Gesù si fermò in mezzo a loro»:
la presenza di Gesù è una presenza nuova. Mentre egli camminava su questa
terra prima della sua morte, stava sempre «davanti a loro« ed essi i
discepoli, «lo seguivano». Lo seguivano per imparre dal Maestro, a vivere, ad
amare, a offrirsi. Ora Gesù non è “davanti”, ma «in
mezzo a loro»: questo è il nuovo modo di essere presente di Gesù risorto.
Egli è presente tra i suoi «in mezzo»,
quando essi sono radunati, quando essi sono riuniti nel suo Nome. Egli l’aveva
già detto: «Quando due o più sono
riuniti nel mio Nome, io sono in mezzo a loro».
Luogo della presenza di Gesù, ora, è la comunità, la Comunità dei
suoi discepoli che si riunisce nel suo Nome, per amor suo, per realizzare la sua
Parola e i suoi progetti d’amore: ecco il nuovo luogo della presenza di Gesù!
E se noi vogliamo incontrare Gesù, dove dobbiamo recarci? Ci recheremo là dove
c’è una Comunità riunita nel suo Nome. Ogni domenica e ogni giorno, quando
la Comunità dei discepoli celebra l’Eucaristia, là Gesù stesso è presente.
Ogni volta che anche tu, nella tua famiglia o con altre persone, ti riunisci nel
Nome di Gesù, per pregare, per amare o per realizzare qualcosa per amor suo, là,
in quell’unione di cuori, unione di persone, è presente lui.
«Si fermò in mezzo a loro»:
è grande e bella la presenza di Gesù ed è molto consolante il fatto che egli
si trovi là dove i suoi discepoli sono riuniti!
Questo ci fa pure capire che non possiamo essere cristiani da soli, senza
tener conto della Comunità. È importante, perciò, essere uniti nella Comunità
cristiana, perché un cristiano da solo, che volesse far da sé, non è neppure
un cristiano, non si accorgerà della presenza di Gesù, non la potrà godere e
nemmeno potrà essere strumento della presenza del Signore.
Abbiamo visto che Gesù s’è fatto presente a persone fuori della
comunità, ma solo per orientarle ad essa. Le donne, a cui egli si è
manifestato, le ha mandate là dov’erano riuniti i discepoli; i due discepoli
di Emmaus, accortisi della presenza di Gesù quando egli era ormai scomparso,
sono balzati in piedi e sono tornati là dov’erano riuniti gli altri. Nessuno
può presumere d’esser cristiano da solo: sarebbe l’orgoglio peggiore, che
rende triste la vita, perché non permette a Gesù di essere presente.
Ringraziamo il Signore che ci concede di poter vivere in una Comunità
cristiana, lo ringraziamo anche se la nostra comunità non è perfetta; lo
ringraziamo perché ci permette di godere la sua presenza, forte, sicura e
benedicente.
26.
«Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro
e disse: “Pace a voi!”».
Gesù sta in mezzo ai discepoli e rivolge loro questo saluto, un saluto
che riceviamo anche noi ogni volta che celebriamo l’Eucarestia:
«Pace a voi».
Nella sua lingua, Gesù deve aver usato il termine: «shalom»; cosa
significa questa parola? Essa non è un augurio e nemmeno un saluto normale: un
aneddoto che ho trovato su un libro di cui non ricordo l’autore può spiegare
il significato del termine «shalom»:
Un uomo camminava sotto il sole di luglio, tutto sudato, portando il suo
fagotto sulle spalle. Finalmente passò vicino a una vigna: purtroppo però in
essa era seduto il padrone. Il viandante non poteva neppure sognarsi di entrare
per riposare, ma ecco che, passando là accanto, si sente rivolgere
quest’invito: «shalom!». Fu sufficiente questa parola, ed ecco che il
viandante, non solo entrò nella vigna, ma depose il suo fagotto, si sedette
all’ombra, staccò un grappolo, si dissetò, si ristorò. Perché?
Perché la parola «shalom», che noi traduciamo col termine «pace», ha
appunto questo significato: vieni a godere ciò di cui io godo, vieni anche tu a
prender parte dei miei beni, ricevi anche tu partecipazione delle mie ricchezze,
delle mie sostanze: quanto io ho, godilo anche tu!
Questo è il significato della parola usata da Gesù quando dice ai suoi
discepoli: «Pace a voi!». È come
dicesse: «quello che io ho, lo comunico anche a voi, le ricchezze che il Padre
ha dato a me, io le dono anche a voi». Vedremo come Gesù ha reso concreto
questo dono di comunione espresso con la parola «pace».
Ti ringraziamo, Signore Gesù, che ci vuoi rendere partecipi della tua
vita, delle ricchezze che tu hai ricevuto dal Padre, soprattutto del tuo Santo
Spirito. Grazie, Signore Gesù!
27.
«Gesù si fermò in mezzo a loro e
disse: “Pace a voi!”. Detto questo mostrò loro le mani e il costato».
Gesù è risorto, egli dona i suoi beni e la sua ricchezza ai
discepoli: «Pace a voi!». Mentre dice queste parole mostra loro le mani e il
costato: Gesù risorto porta ancora chiari ed evidenti i segni della Passione.
Gesù si presenta a noi, sempre, coi segni della croce. Egli ha offerto la
propria vita, ed è per questo che il Padre lo ha esaltato, è per questo che
egli è stato innalzato: perché ha offerto se stesso. Ora, l’offerta di sé
non può essere cancellata; la gloria, la gioia sono conseguenza di questa
offerta.
Gesù mostra i segni della sua Passione come segni di vittoria, come i
segni dell’amore più grande. Gesù è sempre Colui che ama offrendosi. Egli
offre se stesso, continuamente, anche oggi, nella Chiesa.
La Chiesa oggi è il Corpo di Cristo, e la Chiesa, come Corpo di Cristo,
sta continuamente portando i segni della Passione. La Chiesa è sempre
perseguitata, sempre in croce; se non lo è qui, in casa mia e nella mia
parrocchia, lo è altrove; in varie parti della terra ancora oggi la Chiesa è
perseguitata. Ma qualche piccola o grande persecuzione la sperimentiamo anche
noi. In molti posti di lavoro e in molti ambienti chi si dichiara di Gesù
Cristo viene deriso, rifiutato, anche allontanato.
Una certa persecuzione l’abbiamo sperimentata tutti e non è un male:
fa parte dei segni che oggi il Corpo di Cristo glorioso porta; i segni della
Passione, i segni dell’amore che giunge a donare la vita.
Ci sono cristiani che vorrebbero vivere senza croce, e contemplano un Gesù
che porta soltanto al successo, alla gloria umana. Nascono così gruppi, sètte,
che vedono l’essere cristiani soltanto come mezzo per riuscire ad esser sempre
sani, ad aver successo, denaro, a cercare che tutto vada bene in questo mondo.
Ma questo non è seguire Gesù, il vero Gesù!
Gesù porta sempre i segni della sua croce!
Il Corpo di Cristo, la Chiesa, porta ancora i segni delle piaghe e
soffre, pur godendo interiormente di poter esser unita a Colui che dona la vita.
Grazie, Signore Gesù, che ci mostri i segni della tua Passione e ci
rendi capaci di portarli! Ti ringraziamo e ti adoriamo!
28.
«Gesù disse loro: “Pace a voi!”.
Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al
vedere il Signore».
Finalmente i discepoli vedono il Signore e sono contenti, gioiscono: la
presenza di Gesù toglie dal loro cuore l’incubo provocato dalla sua
crocifissione. Torna la gioia sul loro volto; la gioia è l’espressione
esteriore di ciò che è avvenuto dentro: si sono convinti che Gesù è vivo e
sono contenti.
La gioia è la prima reazione al credere che Gesù è risorto; è la
prima, non l’ultima; la prima reazione, ma essa non è ancora tutto, non è
sufficiente. S. Luca, riferendo nel suo vangelo questa gioia dei discepoli che
vedono il Signore, si esprime così: «...
per la grande gioia ancora non credevano». La gioia era un impedimento alla
fede; come può essere? La gioia, in fondo, è un atteggiamento bello,
desiderato, che però ci fa stare ancora rivolti a noi stessi, alla nostra
situazione, alla nostra vita, ai nostri sentimenti; ci fa stare attenti a quanto
succede dentro di noi e ci fa osservare quello che vediamo in funzione di noi
stessi, in funzione di una nostra soddisfazione. E questo, dice l’evangelista,
non è ancora fede.
Che cos’è la fede? La fede è l’appoggiarsi sul Signore per vivere
per lui, per donare a lui la vita. La gioia può impedirci di esser pronti a
offrirci. La gioia è un primo passo, ma non è l’ultimo.
«Per la grande gioia ancora non
credevano». Vogliamo, sì, credere nel Signore, godeva della sua
Risurrezione, ma anche presentarci a lui disponibili perché egli, Risorto,
possa adoperare la nostra vita per i suoi disegni, possa riempire il nostro
cuore del suo Spirito, se ci fermassimo alla gioia, rimarremmo ancora attenti a
noi stessi e nel momento della difficoltà non saremmo capaci di resistere e di
rimanere fedeli.
Signore Gesù, tu che ci dai la gioia di vederti Risorto, donaci una fede
più matura, che non tenga conto di quanto succede a noi, ma che sappia
cominciare a offrirsi con generosità alla tua volontà!
29.
«Gesù disse loro di nuovo: “Pace a
voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”».
Dopo aver già detto una volta: «Pace
a voi!» e aver mostrato le mani e il costato, e aver lasciato assaporare la
gioia ai discepoli, Gesù fa fare loro un altro passo. Egli porge ai discepoli
un dono. La parola «pace« significa,
appunto, come abbiamo già detto, condivisione: godete anche voi dei miei beni;
ed ecco che Gesù comincia a donare ai suoi discepoli le stesse sue ricchezze. E
qual’è la ricchezza di Gesù? La ricchezza di Gesù è il compiere la volontà
del Padre. Egli l’aveva detto: «Mio
cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato». Gesù gode di poter
realizzare la parola del Padre, di poter essere servo fedele di Dio. Questa
realtà, questa vita la vuol donare anche ai suoi discepoli: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi».
Gesù dà ai suoi lo stesso compito che egli ha ricevuto: vivere non per se
stessi, ma per lui, come egli è vissuto per il Padre; vivere facendo non la
propria volontà, ma la sua, come egli è vissuto realizzando il volere del
Padre.
«Come il Padre ha mandato me, così
io mando voi». Il Padre ha mandato Gesù come agnello in mezzo a lupi, così
Gesù manda i suoi. Il Padre ha mandato Gesù per amare tutti gli uomini, i
peccatori tra i primi, così Gesù manda i suoi ad amare tutti gli uomini, i
peccatori tra i primi.
Il Padre ha mandato Gesù perché manifestasse il suo Nome di «Padre» a
tutti gli uomini, così anche Gesù manda i discepoli perché facciano conoscere
il vero volto di Dio che è Papà, Padre che ama e dà la vita. Questo è il
vangelo che essi annunceranno, questo è il compito dei discepoli, il compito
mio e il compito tuo.
Il Nome del Padre, cioè la realtà dell’Amore del Padre, la possiamo
far conoscere con le parole, ma soprattutto con la nostra vita; una vita vissuta
nell’amore, nella fedeltà, in adorazione, nella verità della santità.
Ti ringrazio che anche tu oggi accogli e ti impegni in questo compito: di
amare e di diventare così un segno della santità di Dio per quanti
t’incontreranno.
Grazie, Signore Gesù, che ci mandi come il Padre ha mandato te! «Pace
a voi!».
30.
«Dopo aver detto questo, alitò su di
loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”».
Gesù, dopo aver fatto sperimentare ai suoi discepoli
la gioia e dopo aver donato loro la stessa sua missione, fa compiere un terzo
passo.
Come potrebbero i suoi discepoli, che si lasciano
prendere così facilmente dalla paura e dall’amore di se stessi, realizzare la
missione del Padre, quando la gioia non ci sarà più? Non ci riusciranno! Ed
allora ecco che Gesù compie il terzo passo, fa un terzo dono ai discepoli: «Ricevete
lo Spirito Santo». È la ricchezza più grande ricevuta da Gesù dal Padre.
All’inizio della sua missione lo Spirito era sceso su di lui per rimanervi;
era sceso come colomba; e sulla croce Gesù aveva riconsegnato al Padre lo
Spirito: «Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito». «E chinato il capo,
consegnò lo Spirito». Ora, Gesù vuol donare ai suoi questo Spirito. Per
farlo non ha nemmeno bisogno di parole: «Alitò
su di loro». Gesù compie un gesto divino: all’inizio della creazione,
Dio aveva alitato lo Spirito vivente sull’uomo, su Adamo; ora Gesù alita sui
suoi discepoli, destinati ad essere la figura del nuovo Adamo, dell’uomo
nuovo, destinati a portare la novità della vita umana nel proprio cuore. Egli
alita su di loro il suo Spirito, lo Spirito Santo, quello Spirito che li
trasformerà, che li renderà capaci di offrirsi, di donarsi senza paura, quello
Spirito che li renderà testimoni del suo Nome.
Gesù dice: «Ricevete
lo Spirito Santo». Egli accompagna il suo soffio con questa Parola. Una
parola che è allo stesso tempo comando e dono. È come se Egli dicesse: «Io vi
faccio dono dello Spirito Santo, voi aprite il cuore per riceverlo».
«Ricevete
lo Spirito Santo». Lo Spirito Santo è un dono, ma va accolto; l’uomo
deve voler accoglierlo, deve aprire il proprio cuore, altrimenti, se il cuore
dell’uomo rimanesse chiuso, occupato da altri spiriti, lo Spirito di Dio non
potrebbe entrarvi e non potrebbe trasformarlo.
Ti ringraziamo, Signore Gesù, di aver donato ai tuoi Apostoli lo Spirito
Santo; ti ringraziamo che lo doni anche a noi oggi, perché riusciamo, nelle
varie situazioni che incontreremo, a offrirci, a donarci per amor tuo.