Venite Applaudiamo - seconda parte - torna a prima parte
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Ascoltate oggi la sua voce:
«Non
indurite il cuore,
come
a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto,
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dove mi tentarono i vostri padri:
mi
misero alla prova
pur
avendo visto le mie opere.
L’invito ad
applaudire, render grazie e adorare è riecheggiato dalle mie labbra, ma io pure
l’ho udito rivolto a me da coloro che cantano con me queste parole nel buio
del mattino! Pure il nostro Dio, che non dorme mai, ha udito il nostro desiderio
di riconoscere la sua grandezza e di godere della sua cura benevola e sapiente.
Egli vede il nostro affetto di bambini, e fa come una mamma! Una mamma, al
bambino che si sveglia, rivolge per prima la parola: le sue sono parole dolci
che esprimono un amore continuo, parole di tenerezza che invogliano il figlio ad
alzarsi per vivere la giornata come un grande atto d’amore, parole ferme che
orientano il bambino alle sue attività, ai suoi impegni personali e di
famiglia, alle sue responsabilità quotidiane. Il bambino ascolta.
E se non ascoltasse?
«Ascoltate
oggi la sua voce!»
Dio è come una mamma:
egli ha vegliato, ha custodito i suoi figli come il pastore il gregge; ora che
noi siamo svegli egli ci rivolge la parola: parola dolce, parola tenera, parola
forte, indicazioni sicure. Egli ci ama, noi non facciamo come i bambini
capricciosi che rifiutano la tenerezza e ignorano le attese della mamma.
«Non
indurite il cuore!»
Questo invito mi viene
rivolto con preoccupata insistenza perché ormai è risaputo che io, ripiegato
su me stesso, anche se odo la voce del mio Dio, non le do ascolto, continuo a
seguire i miei pensieri e miei ragionamenti, a coltivare i miei desideri e i
miei sogni.
Continuo a ripetere la
storia che s’è svolta nel deserto di Refidim. Là il popolo che seguiva Mosè
si mise a lamentarsi e a protestare. Aveva già avuto varie dimostrazioni forti
della presenza e della potenza del suo Dio; era già stato ascoltato in maniera
inaspettata e miracolosa, esaudito in modi sorprendenti!
Nel deserto aveva
trovato l’acqua salata, e Dio l’addolcì; era senza pane, e Dio fece
scendere la manna; era senza carne, e Dio mandò quaglie in abbondanza! Ora
manca l’acqua, e il popolo non ha fiducia, si lamenta e protesta. Dio poteva
aspettarsi un gesto di abbandono fiducioso alla sua sapienza, avrebbe desiderato
vedere il popolo in attesa paziente e sicura del nuovo intervento prodigioso.
Nulla!
Nel deserto di Refidim
il popolo fa contestazione (= Meriba) quando viene messo alla prova (= Massa).
È un popolo che non
s’accorge dell’amore e della tenerezza con cui viene seguito e guidato dal
suo Dio, come il bambino che non s’accorge dell’amore premuroso e previdente
della mamma!
Noi non vogliamo
ripetere questa «storia»! Vogliamo imparare dagli errori del passato, e anche
dai nostri già commessi, e ritenere il nostro Dio capace di realizzare le
promesse. Il suo sguardo posato su di noi è uno sguardo d’amore previdente,
è lo sguardo di chi sa e può intervenire, ma non può dirmi tutto: del resto
ciò impedirebbe la fiducia e la serenità che caratterizzano il rapporto di chi
si ama reciprocamente!
«Ascoltate
oggi la sua voce!»
Ho applaudito il mio
Dio, l’ho ringraziato e adorato. Ora sto in attesa della sua Parola! La sua
Parola è la luce per i passi che muoverò in questo giorno. La sua Parola è
intelligente, è sapiente, è sicura, perché è parola di colui che mi ha
creato e amato senza infedeltà!
«Parla,
Signore, il tuo servo t’ascolta!»
Egli conosce la mia
vita, il mio futuro, i risvolti della mia vita con gli altri e della loro vita
con me. Solo di lui mi posso fidare, solo della sua parola. Egli non me la
lascerà mancare, egli continuerà a pronunciare il mio nome e a chiamarmi a
collaborare con lui.
Ascolterò!
Ascolterò oggi: i miei
progetti a breve scadenza li metterò da parte, li lascerò cadere.
Ascolterò oggi: ogni
momento sarò pronto a cambiare i miei disegni e programmi.
Oggi Dio è interessato
alle mie risposte, oggi egli gode della mia fiducia e della mia obbedienza.
Oggi posso ascoltare,
oggi posso dare una prova di adorazione vera al mio Dio, che mi parla come un
papà!
Oggi compirò il gesto
più tipico del figlio: ascolterò la voce che in molti modi farà giungere al
mio orecchio e al mio cuore l’amore veramente paterno e materno del Dio più
grande di tutti gli dei!
6.
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Per
quarant'anni mi disgustai di quella generazione
e
dissi: Sono un popolo dal cuore traviato,
non
conoscono le mie vie;
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perciò ho giurato nel mio sdegno:
Non
entreranno nel luogo del mio riposo».
È ancora Dio stesso
che parla. La sua voce tenera e dolce non manca di assumere toni forti e decisi.
Egli sa che gli uomini sono fragili: corrono continuamente il rischio di
ripetere l’esperienza di Adamo. Come quegli si è lasciato ingannare dal
serpente, così noi ci lasciamo sedurre dalle apparenze. Il popolo che aveva
sperimentato in Egitto l’amore potente del suo Dio, continua a cadere nella
sfiducia verso di lui. Ogni difficoltà, occasione per lasciar fare a lui,
diventa invece momento di rottura. Dio è paziente, ma non è cieco né
insensibile:
«Per
quarant'anni mi disgustai di quella generazione».
Egli «soffre» per la
mancanza di fiducia continuamente riscontrata nei suoi beneficati. Egli non si
arrende troppo in fretta: è lento all’ira! Prima di decidere qualche
provvedimento attende, e attende ancora. Quarant’anni! Quarant’anni sono una
vita. Dio attende una vita prima di pronunciarsi. Alla fine non c’è più
nulla da sperare: questa generazione è incorreggibile, ma almeno diventi
lezione per quelle che verranno.
«Sono
un popolo dal cuore traviato».
Il male è nel
profondo, addirittura nel cuore, là dove sorgono i pensieri e dove si prendono
le decisioni. Il male è nelle radici.
Dio non abbandona il
popolo, no, non lo abbandona. Ma egli non può nemmeno lasciare che continui a
ribellarsi, a lamentarsi e quindi a disobbedire: si rovinerebbe! Un popolo che
non accoglie la sapienza di Dio si condanna allo sfacelo. Un popolo che per
quarant’anni vive seguendo i propri istinti rischia l’autodistruzione. A Dio
preme il futuro di questo popolo e perciò, come vero chirurgo, usa il bisturi.
«
Sono un popolo dal cuore traviato,
non
conoscono le mie vie».
È davvero preoccupante
la situazione. C’è ignoranza e non c’è buona volontà. Questo popolo
ignora le vie della vita e non ha volontà di cercarle. È come un figlio che
cerca la droga. Il padre, che vuole essere padre, che vuole dare nuovamente vita
al figlio, ricorre al rimedio estremo: lascia il figlio fuori casa. Lo consegna
alla miseria più nera. Potrebbe sembrare crudeltà, ma il padre sa che questo
è l’unico rimedio che gli resta. Il figlio, trovandosi privato di tutto,
anche di ciò che riteneva fosse suo di diritto, comincerà a modificare i
propri pensieri, comincerà ad ascoltare la voce del padre, comincerà a cercare
di vincere le proprie tendenze e ad opporsi ai propri veri nemici.
Così Dio ha agito col
suo popolo:
«Non
entreranno nel luogo del mio riposo.»
Li lascia fuori casa.
Non li fa entrare là dove hanno sempre sognato di arrivare. Così s’accorgono
che nella loro casa c’è qualcuno che li accoglie sì, ma non per litigare! Si
accorgono che Dio non è tale solo di nome, che egli non va sfruttato, ma
obbedito. Senza obbedienza a Dio, la sua casa, consegnata all’uomo, non
sarebbe più casa, luogo di riposo e di felicità, ma diverrebbe luogo di
tormento e di disordine.
Il salmo, iniziato con
gioia e con l’applauso al Dio vivo e Salvatore, termina con l’avvertimento e
lo stimolo alla vigilanza. A Dio stesso preme che noi possiamo continuare a
vivere nella gioia, e perciò ci mette in guardia dalla tentazione, sempre
ricorrente, di far conto solo di noi senza pensare a lui!
Noi non vogliamo
rimanere esclusi dal riposo di Dio, noi vogliamo godere la comunione con lui,
essere accolti dal suo abbraccio gioioso e paterno. Per questo continuiamo a
tenerci in ascolto, continuiamo a donare fiducia al Signore, ad abbandonarci
nelle sue braccia!
Continuiamo
l’adorazione e la contemplazione del suo volto e della sua opera!
Passano gli anni e Dio
non invecchia mai. Le sue parole sono sempre vive, come appena pronunciate. Il
suo cuore è sempre pronto, le sue mani non si sono stancate di sostenere la
terra.
Io continuo a cantare: Venite,
applaudiamo al Signore!
Venite, qui c’è la
Vita, qui c’è la vera felicità: applaudiamo
al Signore!
7.
Grandi
e mirabili sono le tue opere,
o
Signore, Dio onnipotente;
giuste
e veraci le tue vie, o Re delle genti! (Ap
15,3)
È il cantico
dell’Agnello, fiorito sulla bocca dei vincitori che hanno attraversato la
morte come Mosè aveva attraversato il Mar Rosso. E come Mosè cantò un inno di
gioia e di lode, così i redenti che hanno vinto la «bestia» lodano il loro
Dio e Padre!
Coloro che sono stati
fedeli a Gesù hanno un cuore puro, sono capaci di uno sguardo limpido e
penetrante. Ci uniamo a loro per lodare e benedire il Signore, pronunciando
anche noi le loro parole!
«Grandi
e mirabili sono le tue opere, o Signore, Dio onnipotente»!
Il nostro sguardo si
alza al volto del Padre dopo aver visto la grandezza e bellezza delle sue
creature. Sono queste a risvegliare la nostra ammirazione e la nostra
riconoscenza.
I fiori, dai più
semplici a quelli più strani, le infinite varietà di foglie, lo stupendo
variare delle nubi nel cielo, il cinguettio degli uccelli ignari del nostro
ascolto, il complicatissimo e ordinatissimo congegno del nostro organismo sono
solo alcune delle mirabili e grandi opere di Dio; sono sufficienti però a farci
aprire la bocca per cantare e lodare e dire: Tu sei onnipotente!
I redenti che cantano
nell’eternità questo inno non pensano, però, né ai fiori né alle nubi. Per
loro questo nostro mondo visibile è passato per sempre. Essi stanno pensando a
quelle opere meravigliose del Padre che hanno avuto come conclusione la loro
salvezza! Essi pensano all’Incarnazione del Figlio di Dio, mistero tanto
sublime quanto per noi inimmaginabile: Dio divenuto uomo, e questo, solo perché
tra gli uomini, tutti peccatori, ci fosse Dio!
Quale solidarietà di
Dio con l’uomo! Attraverso l’Incarnazione del Figlio, Egli ci ha mostrato la
sua Paternità! Non l’avremmo altrimenti conosciuta né potuto goderla!
I redenti pensano alla
Passione e alla Morte di Gesù, ulteriore mistero della povertà di Dio. Egli,
consegnando il Figlio alla morte, si umilia di fronte a tutti gli uomini e a
tutto il creato. Ma ecco, cosa inaspettata, proprio quest’umiliazione estrema
rivela pienamente la grandezza del suo amore. Gli umili e i semplici, i puri di
cuore, e coloro che non hanno nulla da perdere, comprendono questo mistero.
I redenti ancora
pensano alla Risurrezione di Gesù, mistero così vivo che rivela
l’onnipotenza del Padre! La morte regna nella creazione, e spaventa ogni
essere vivente. Conosciamo davvero il Padre quando egli risuscita il Figlio dai
morti! Questo mistero ci manifesta il vero e ultimo significato della Paternità
di Dio: egli è Padre per sempre, egli dona la vita che sorpassa i confini del
tempo, egli vince l’invincibile nemico dell’uomo.
Tutti i misteri
dell’amore di Dio riguardano noi, uomini, noi peccatori!
Tutti i misteri del suo
amore passano per il Figlio, uomo con noi, perciò i redenti cantano la gloria
di Dio contemplando le sue opere che ci lasciano stupiti e ammirati.
Con loro diamo anche
noi al Padre questo bellissimo titolo: Re delle genti!
Tutti i popoli, e non
solo quello d’Israele, gli possono ubbidire! Tutte le genti, tutti i popoli
hanno la stessa dignità: sono sudditi dello stesso Re, sono amati dallo stesso
Re, sono guidati dall’unico Re!
Egli è un Re che
indica dei comportamenti, che chiede a tutti le stesse cose: «giuste e veraci le tue vie!».
I redenti sanno che i
voleri, le vie di Dio sono giuste: giuste perché portano alla santità chi le
percorre; portano ad amare nel modo
in cui Dio stesso ama, conducono chi li osserva ad essere santificati, anzi
possiamo dire ‘divinizzati’!
Non solo giusti sono i
voleri di Dio, ma anche «veraci»! Essi infatti corrispondono a lui, che è
Verità, e corrispondono al vero bene dell’uomo stesso, perché lo guidano a
realizzare pienamente il suo essere, a soddisfare tutte le sue aspirazioni,
anche quelle più profonde che egli non sa nemmeno d’avere. Queste
ispirazioni, infatti, di natura spirituale, solo quando sono appagate fanno
gustare all’uomo le gioie più profonde e belle: Dio lo sa, e ci conduce con
amore sapiente sulle sue vie che ci portano a dissetarci nel profondo, a godere
la piena comunione con lui e tra noi!
Così il nome di Padre,
con cui ci rivolgiamo a lui, assume dimensioni ancora più belle e ampie!
Con gioia sempre
crescente dunque pronunciamo questo nome con cui Gesù, il Figlio, si rivolgeva
a Dio con dignità e tenerezza!
8.
Chi
non temerà, o Signore,
e
non glorificherà il tuo nome?
Poiché
tu solo sei santo. (Ap
15,4ab)
I redenti continuano a
manifestare il loro stupore per la grandezza e bellezza di Dio. Essi l’hanno
sperimentata, essi ne godono. E si meravigliano che qualcuno sulla terra possa
ancora rimanere insensibile all’amore del Padre. Egli è l’unico che deve
essere temuto e glorificato!
Che significa «temere
il Signore»? Un Dio così grande e così buono, che vuole solo salvare il
peccatore, non fa paura. Egli non è quel dio che va in cerca delle
trasgressioni per punirle, quel dio che sta nascosto per poter cogliere in fallo
il disobbediente e castigarlo, quel dio che gode delle sofferenze dell’uomo
per potergli dire: hai visto? Te l’avevo detto io!
No, di Dio non hanno
paura i redenti, che si sanno amati e perdonati, accolti e santificati. Essi
sanno che il loro Dio non è la bellacopia del dio dei pagani, tutto potere e
severità, un dio che ha bisogno di essere rabbonito dalle nostre offerte, dai
nostri sacrifici e dal nostro comportamento. Egli è già buono, egli è già
benevolo verso di noi, egli sta già cercando le strade per farci uscire dai
vicoli ciechi in cui ci siamo smarriti.
Come fare a dire un
grazie adeguato a tanto amore? Come faremo a rispondere a gesti di misericordia
così inaspettati? Come potremo mantenere fede al dono di grazia che abbiamo
ricevuto?
Ecco il timore che ci
pervade di fronte a Dio. È il timore di non essere all’altezza, o meglio, di
non essere piccoli abbastanza per accogliere e far fruttificare tutta la
ricchezza di cui siamo ritenuti degni.
La misericordia che ho
ricevuto e la pazienza che il Padre ha avuto per me sono tanto «lunghe», che
io non sarò capace né di dire un grazie sufficiente, né di portare alla luce
e rendere attuale quella stessa pazienza e misericordia nei miei rapporti col
prossimo. Temo di far offesa al mio Dio tenendo nascosto il tesoro del suo amore
di cui ho goduto, temo di non riuscire a trasmettere ad altri il dono che rende
bella e serena la mia vita.
Ci può essere qualcuno
che ha questo «timore»? Certamente,
coloro che si sono accorti che Dio è Padre, coloro che hanno avuto l’annuncio
della propria redenzione!
Coloro che lo «temono»
lo vogliono pure «glorificare»!
«Chi non glorificherà il tuo nome?». Che cosa significa la parola
«glorificare»?
Quando nel nostro mondo
si vuol glorificare qualcuno, si pensa a metterlo su di un piedistallo, come si
fa con i vincitori di gare atletiche, o a mettere su di un piedistallo la sua
immagine, per abbellire qualche piazza di città. Non credo che Dio goda di una
gloria simile!
Egli è degno di
un’altra «gloria». La vera gloria,
quella che lo fa «godere», è il vedere che Egli occupa il cuore dell’uomo!
Io glorifico il mio Dio, quando penso solo a diffondere il suo modo di fare,
l’amore, quando mi occupo di ciò di cui lui si occupa, quando col mio modo di
vivere e di sperare faccio conoscere il suo modo di agire e le sue promesse! Io
lo glorifico quando prendo decisioni che fanno eco al suo amore per ogni uomo,
buono o cattivo che sia, quando tutto il mio essere trasmette la bellezza della
sua luce e il calore del suo cuore!
Chi comincia a «conoscere»
il Padre cerca in tutti i modi non solo di farlo conoscere ad altri, ma
soprattutto di diventare una concretizzazione della sua Bontà e della sua Verità!
In questo modo la gloria che gli diamo non è fatta solo di parole o di gesti di
apparenza e di convenienza.
«Poiché
tu solo sei santo!»
Io temo e glorifico il
mio Dio perché egli è l’unico che si può dire: «santo»!
Egli è al di sopra e
al di fuori della terra e quindi al di fuori dell’egoismo che rende la terra
valle di lacrime.
Egli è al di sopra, e
non è la causa di tutto quel male che rende la terra luogo di paure e di
disperazioni.
Egli è al di fuori, e
perciò non è imputabile di quel peccato che pervade tutto ciò che viene fatto
dall’uomo. Poiché egli è fuori di questo mondo, può entrarvi portando
purezza e gioia, consolazione e speranza, luce e carità!
Egli è santo!
Con la sua santità è
venuto, si è avvicinato al mondo, lo ha sollevato e persino cambiato!
Mandando il suo Figlio,
che ora nel mondo vive risorto dai morti e rimane con noi tutti i giorni, il
Padre ha manifestato a tutti la sua santità, il suo amore agli uomini, tutti
peccatori, tutti bisognosi di nuova vita!
Con i redenti anch’io
perciò canto: «Tu solo sei santo»!
Tu, Padre mio e nostro!
9.
Tutte
le genti verranno
e
si prostreranno davanti a te,
perché
i tuoi giusti giudizi si sono manifestati. (Ap 15,4cd)
Il canto dell’Agnello accompagnato dalle arpe si
conclude con questa gioiosa certezza:
«Tutte
le genti verranno
e
si prostreranno davanti a te»!
Nel mondo diviso dalle molte immagini di Dio, diverse e
contrastanti, che l’uomo si è «costruito», ecco un segno di speranza: tutte
le genti davanti all’unico Dio, tutti i popoli davanti al Padre di tutti, per
riconoscerlo, per prostrarsi in adorazione e quindi per ubbidirgli con amore! È
l’unica condizione che ci permette la speranza di poter godere una convivenza
di pace sul nostro pianeta!
Molte voci auspicano questa pace, e l’attendono come
frutto di un convergere delle varie fedi in uno sforzo comune di tolleranza o di
collaborazione. Purtroppo si dimentica che questo sforzo comune degli uomini è
già stato tentato, ed è finito a Babele con una dispersione e inimicizia
ancora maggiore.
Gli uomini che agiscono con la loro buona volontà si
scontrano con la buona volontà degli altri uomini, ritenendo ciascuno migliore
la propria!
L’unica speranza è il Padre! Gesù è entrato nella
morte per aprirci i cieli e per aprire il nostro cuore e la nostra mente affinché
possiamo vedere, conoscere e amare il Padre! Gesù è morto per dare a Dio
l’occasione di risuscitarlo e così conoscere e amare un Dio capace di dare la
vita, Papà!
Coloro che conoscono il Padre, grazie alla rivelazione
dataci dalla vita e dalla morte di Gesù, possono vivere nella pace, a qualunque
popolo e nazione e lingua e razza appartengano, perché si riconoscono fratelli!
Conoscere il Padre è vita eterna! Amare il Padre è
fonte di fraternità tra gli uomini. Chi si accontenta di chiamare Dio soltanto
Dio non ha amore per tutti e non ha forza per vincere il proprio e l’altrui
egoismo. Ce ne rendiamo conto guardando da vicino le altre religioni che si
mescolano sulle nostre strade.
La speranza per la pace nel mondo e per la gioia degli
uomini è posta unicamente e totalmente nel conoscere, riconoscere, temere e
glorificare il Dio del Signore Gesù Cristo, Padre santo e buono! Il futuro
dell’umanità, la nuova città – quella che i santi, che cantano la gloria
di Dio, già contemplano, è il vero luogo della pace: là, infatti, tutti gli
uomini saranno rivolti al Padre, non più ripiegati su di sé nella ricerca del
benessere o della supremazia di una nazione sull’altra.
Quando tutti i cristiani guarderanno con amore al Padre,
e attireranno in questo sguardo anche gli ebrei e i musulmani, e diventeranno un
segno perché anche il cuore degli induisti e dei buddisti si apra a dire
grazie, allora vedremo il regno di Dio!
Quando gli uomini dicono a Dio: sei mio Padre, allora Gesù
vede il frutto della sua vita e della sua morte e vede compiersi la gioia della
sua risurrezione!
Tutti gli uomini prostrati davanti al Padre, «perché
i tuoi giusti giudizi si sono manifestati»!
Quali sono i ‘giusti giudizi’ di Dio?
La morte e la risurrezione di Gesù, “il Giusto servo
che giustifica molti”: ecco i giudizi di Dio che vuole la salvezza degli
uomini!
I ‘giusti giudizi’ di Dio lo manifestano come Padre
misericordioso, Padre che ama e pazienta e attende il figlio peccatore per far
festa! E coinvolge il figlio unico, il prediletto, fino a dargli la morte, non
come castigo, ma come atto di amore da compiere per poter togliere il castigo
della morte a tutti gli altri figli che l’hanno meritata.
Mi
prostro davanti a te, Padre, con tutti i redenti, con coloro che hanno vinto il
mondo e si sono aggrappati al Figlio tuo! Con loro canto la tua lode, con loro
canto la bellezza di Gesù, il più bello tra i figli dell’uomo, che dona la
sua bellezza divina a tutti gli uomini di ogni popolo e lingua!
Tu
sei grande, ma soprattutto tu sei buono e sei degno di essere amato e
glorificato da tutti! Padre mio, Padre nostro, Padre di Gesù! Gloria a te!
Nihil Obstat: D. Iginio Rogger, cens. Eccl., Trento, 26 giugno 1999