35 Insegnando nel Tempio, Gesù diceva: "Come mai gli scribi dicono
che il Cristo è figlio di Davide?
36 Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
Disse il Signore al mio Signore:
siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi.
37 Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?".
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.
38 Diceva loro nel suo insegnamento: "Guardatevi dagli scribi, che amano
passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze,
39 avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti.
40 Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi
riceveranno una condanna più severa".
41 Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete.
Tanti ricchi ne gettavano molte.
42 Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un
soldo.
43 Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: "In verità
io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più
di tutti gli altri.
44 Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella
sua miseria, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere".
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Signore Gesù, nessuno più t'interroga, tutti riconoscono che
la tua sapienza supera i ragionamenti di quelli che si ritengono e sono chiamati
maestri. Ma tu ti accorgi che nessuno sa chi tu sei. È vero che c'è
stato chi ha gridato che tu sei il Figlio di Davide (10,47) e che vieni ad
instaurare nuovamente il suo regno (11,10): sanno che sei il Messia, ma un
Messia atteso come un rivoluzionario politico. Non puoi lasciare la folla,
e soprattutto i tuoi discepoli, in questa illusione. E allora poni tu a tutti
una domanda, perché almeno comincino a dubitare delle loro certezze
e a convincersi di non essere in grado di conoscere i disegni di Dio senza
di te. La tua domanda riguarda un'affermazione degli scribi, affermazione
vera e basata sulle Scritture, ma gli scribi stessi non la sanno spiegare
in modo esauriente, perché non ti conoscono e non ti riconoscono: "In
che senso gli scribi dicono che il Cristo è Figlio di Davide?".
Essi lo dicono basandosi su molte Scritture (Is 9,1; 11,1; Ger 33,5; 33,14;
Ez 34,23…), ma dimenticano quello che Davide stesso disse nel suo canto 110:
"Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra", cioè
disse Dio al mio Messia…, quindi il Figlio di Davide è destinato alla
destra di Dio, ad esercitarne l'autorità e a sottomettere i suoi nemici.
Il figlio di Davide supera di gran lunga suo padre. Il regno del figlio di
Davide coincide col regno di Dio. Il figlio di Davide ha quindi dignità
divina. Tutti ascoltano. Avranno capito i tuoi nemici, Gesù, che saranno
messi da Dio stesso sotto i tuoi piedi? Anche se riusciranno ad ucciderti,
la parola di Dio non resterà senza effetto. Gesù, ora ti sei
rivelato a quanti non hanno pregiudizi contro di te. Hai quasi concluso il
tuo insegnamento, quello che puoi donare a tutti, nel tempio.
Ancora un particolare ti preme. Uno scriba ha parlato amichevolmente e con
sapienza, e gli scribi fanno delle affermazioni vere sul Cristo. Ciò
non vuol dire che gli scribi siano esemplari, ciò non significa che
si deve prendere l'esempio dal loro modo di vivere per piacere a Dio e per
prepararsi al suo regno. La folla ti ascolta volentieri, tu perciò
dai un avvertimento importante. Come Dio, che guarda il cuore e non l'apparenza,
così noi non guardiamo le vesti e l'esteriorità e il nome e
la qualifica di una persona. Il suo essere gradito a Dio non dipende da questo.
Gli scribi sono riveriti da tutti, dai profani e dai religiosi, sulle piazze,
nelle sinagoghe, nei banchetti. Tu ci dici ancora che questi non sono motivi
sufficienti per imitarli: se non conoscono te, saranno tra quelli considerati
nemici da Dio e posti sotto i tuoi piedi. Essi sanno persino approfittare
della sofferenza delle persone più deboli, le vedove, per arricchirsi.
E ancora sanno strumentalizzare le preghiere nella loro ricerca di gloria
umana: quella preghiera prolungata diventa bestemmia. Non entri nel merito
del loro insegnamento: per questo essi stessi hanno dovuto ammettere più
volte di conoscere poco e solo superficialmente le Scritture. È il
loro comportamento che li rende degni di sfiducia. Ciò che Dio dice,
essi non lo fanno. Ciò che tu hai insegnato non è da loro vissuto:
tu hai detto che bisogna servire e dare la vita (10,31), pregare con fede
perdonando (11,24s). Nessuno li condanna per la loro ipocrisia, vanagloria
ed egoismo. Ciò non vuol dire che essi non meritino e non ricevano
il castigo. Riceveranno quello di Dio, che è il più severo.
Dopo una giornata così intensa sei stanco, Gesù, ma continui
ad osservare quanto avviene qui, nel tempio. Ora sei nel cortile delle donne,
di fronte alle stanze del tesoro, dove sono posti i recipienti che accolgono
le offerte dei devoti. Sono offerte date a Dio, come i sacrifici bruciati
sull'altare. Ti siedi, per osservare con calma come la gente del tuo popolo
ama Dio, tuo Padre: tu lo senti come amore dato a te! Odi il tintinnio delle
molte monete che risuonano cadendo dentro le tredici casse a forma di trombe
capovolte, e odi pure l'ammontare di ogni somma donata, di cui un sacerdote
tiene registro. "Tanti ricchi ne gettavano molte". Sul loro volto
tu non vedi nulla di nuovo, nulla degno di nota. Quelle molte monete non cambiano
nulla nella loro vita. È amore quel tintinnio o è vanità?
Tu continui ad osservare, e, finalmente, vedi la gioia di Dio. E questa vuoi
che la contemplino i discepoli e che la contempliamo noi. Non è uno
scriba in lunghe vesti, non è un ricco generoso, è una donna,
vedova e povera, senza mezzi e senza affetti, non considerata né apprezzata.
Ecco la gioia di Dio, perché? "Essa ha messo tutto quello che
aveva, tutto quanto aveva per vivere": essa cioè ha fatto come
hai rivelato che devono fare i tuoi discepoli per essere tuoi discepoli, e
che hanno già cominciato a fare quando hanno lasciato tutto per seguirti
(10,28). Daranno ancora se stessi, come stai per fare tu: "dare la propria
vita in riscatto per molti" (10,45). È gioia di Dio chi ti somiglia
e ti segue nell'affidare al Padre la propria vita con una fede che ci fa capaci
di amarlo con tutto il cuore e tutta l'anima.
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